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MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Va preliminarmente rilevato che il contraddittorio è correttamente instaurato benché il ricorso non sia stato notificato agli altri aventi causa di […], giacché non sussiste litisconsorzio necessario ne’ tra condebitori solidali, cui si estendono gli effetti della sentenza favorevole non fondata su ragioni personali e non anche quelli della sentenza sfavorevole (ex art. 1306 c.c.), ne’ tra coeredi, attesa l’autonomia dei rispettivi rapporti obbligatori (ex art. 754 cod. civ.).
1.1. Col primo motivo – deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 1258, 2935, 2946 e 2947 c.c.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione; omesso esame di un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, – i ricorrenti si dolgono che la Corte d’Appello abbia ritenuto che il termine di prescrizione decennale del diritto a risarcimento del danno da inadempimento non fosse decorso in quanto “i diritti vantati nel presente giudizio sono sorti a seguito della pronuncia definitiva della Corte di Cassazione (19.4.1974), la quale ha reso irrevocabile la statuizione della Corte d’Appello sulla risoluzione del contratto per inadempimento del conduttore […]”; e ciò sulla scorta del rilievo che, in relazione alla natura costitutiva della pronuncia, il contratto è risolto alla data della pronuncia medesima e che, prima del giudicato, “non esisteva il diritto al risarcimento del danno ed al pagamento della penale convenuta”.A tanto obiettano che la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere e che la domanda di risoluzione del contratto per inadempimento non costituisce un ostacolo alla proponibilità della domanda di risarcimento dei danni conseguiti all’inadempimento stesso.
1.2. La censura è fondata.
Costituisce principio costantemente enunciato da questa Corte – dal quale la sentenza impugnata s’è discostata – che la domanda di risarcimento dei danni per inadempimento contrattuale può essere proposta congiuntamente o separatamente da quella di risoluzione, giacché l’art. 1453 cod. civ., facendo salvo in ogni caso il risarcimento del danno, esclude che l’azione risarcitoria presupponga il necessario esperimento dell’azione di risoluzione del contratto (Cass., nn. 11103/04, 10741/02, 5774/98, 6887/94), che costituisce un rimedio e tutela dell’equilibrio sinallagmatico del contratto (Cass., nn. 2221/87, 1021/84, 729/83) e non ha funzione accertativa dell’inadempimento, che esiste o no, con tutte le conseguenze sul piano del diritto al risarcimento del creditore della prestazione inadempiuta, indipendentemente dall’eventuale pronuncia risolutiva. Secondo quanto disposto dall’art. 2935 c.c., il termine di prescrizione inizia dunque a decorrere, in relazione al risarcimento di ogni danno da inadempimento, dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, che è indipendente dalla data della pronuncia risolutiva.
È appena il caso di rilevare che, infatti, […] aveva agito anche per il risarcimento dei danni da inadempimento nel giudizio iniziato con l’atto di citazione dell’8.2.1962, poi rinunciando alla relativa domanda all’udienza di precisazione delle conclusioni, con riserva di proporla separatamente (cfr. pagina 2 dell’atto di citazione notificato da […] il 17.3.1977, di cui al primo grado del presente procedimento).La sentenza va conseguentemente cassata affinché il Giudice di rinvio esamini se il diritto fosse prescritto, avendo riguardo al termine di prescrizione decennale. Benché non condivisa dai ricorrenti, non ha invero costituito oggetto di specifica censura l’affermazione della Corte d’appello che non si verte nella specie “in materia di danni derivanti da responsabilità extracontrattuale, in quanto (gli stessi) attengono comunque ad inadempimento di obbligazioni nascenti da contratto e si estinguono per prescrizione ordinaria decennale ex art. 2946 cod. civ.”.Resta ovviamente impregiudicata la questione, sulla quale la Corte d’appello non si è pronunciata (sicché è in questa sede preclusa la possibilità della sollecitata pronuncia nel merito ex art. 384 c.p.c.), della efficacia degli atti interruttivi che le controricorrenti sostengono essere stati posti in essere dalla Armenio prima che la cessione acquistasse efficacia (cfr. pagina 6, punto 3, della sentenza in questa sede impugnata, concernente il secondo motivo dell’atto di appello […] in data 15.10.1993, notificato il giorno successivo).
2.1. Col secondo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 752 cod. civ. e vizio di motivazione per avere la Corte d’appello condannato solidalmente i convenuti benché essi fossero stati evocati in giudizio per rispondere di un debito ereditario (in relazione alle attività poste in essere dal dante causa […]).
2.2. Al di là dell’erroneo riferimento dei ricorrenti all’art. 752 cod. civ., che regola i rapporti tra coeredi e non quelli con i creditori, cui fa invece riferimento l’art. 754 cod. civ. (che viene da questa Corte esattamente individuato in ragione della inequivocità del contenuto della doglianza), anche tale censura è fondata, avendo la Corte territoriale provveduto in difformità dal disposto della citata disposizione, la quale stabilisce che gli eredi sono tenuti verso i creditori al pagamento dei debiti ereditari in proporzione delle loro quote.
In caso di successione di più eredi nel lato passivo del rapporto obbligatorio si determina un frazionamento pro quota dell’originario debito del de cuius tra i vari aventi causa, con la ulteriore conseguenza che il rapporto che ne deriva non è unico ed inscindibile e, nell’ipotesi di giudizio instaurato per il pagamento, non si determina litisconsorzio necessario tra gli eredi del debitore defunto ne’ in primo grado ne’ nelle fasi di gravame, neppure sotto il profilo della dipendenza di cause (ex plurimis Cass., nn. 785/98 e 6040/84).
Inconferente è il richiamo dei controricorrenti a Cass., n. 7216 del 1997, la quale ha affermato il principio che la norma va interpretata nel senso che il coerede convenuto per un debito ereditario ha l’onere di indicare al creditore questa sua condizione di coobbligato passivo entro i limiti della propria quota, integrando tale dichiarazione un’eccezione propria, la cui mancata proposizione consente al creditore di chiedere legittimamente il pagamento per l’intero.
Nel caso di cui alla citata sentenza, emessa su ricorso avverso sentenza del conciliatore pronunciata secondo equità, non era infatti risultato quali fossero gli altri coeredi tenuti al pagamento, in quanto non indicati dal convenuto, figlio del de cuius e ritenuto dal conciliatore responsabile per aver assunto le vesti di tutore di fatto della madre.
La fattispecie è, dunque, radicalmente diversa da quella data nel presente procedimento, nel quale i coeredi erano, per un verso, tutti noti e, per altro verso, tutti parti in causa; e nel quale, inoltre, i creditori avevano addirittura chiesto di potersi avvantaggiare della separazione dei beni ex art. 512 cod. civ..
3. Il Giudice del rinvio, che si indica in diversa sezione della stessa Corte d’Appello e che provvederà anche a regolare le spese del giudizio di legittimità, esaminerà dunque se il diritto al risarcimento era prescritto secondo quanto rilevato sopra (sub 1.2.) e, in caso di condanna degli eredi, provvederà in conformità del disposto dell’art. 754 cod. civ..
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