Corte di Cass., Sez. 3, Sentenza n. 2853 del 2005

[…]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
[…] chiedevano che il giudice dichiarasse risolto per inadempimento, il contratto di locazione ad uso diverso dall’abitazione da essi stipulato con […], avente ad oggetto l’immobile sito in Pomigliano D’Arco, alla […].
Essi chiedevano la condanna della […] al rilascio del suddetto immobile nonché al pagamento della somma di L. 2.280.000 a titolo di canoni scaduti, assumendo che la […] non aveva effettuato il pagamento del canone in moneta contante e presso l’abitazione dei locatori, a partire dal mese di marzo 1998, dalla quale data aveva iniziato ad inviare vaglia postali; che la stessa aveva omesso di aggiornare il canone; che nei mesi di dicembre 1998 e gennaio 1999 aveva provveduto ad un’autoriduzione del canone a pretesi fini compensativi per spese sostenute per l’offerta reale della mensilità di marzo 1998.
Si costituiva […], la quale chiedeva il rigetto della domanda e l’accoglimento della spiegata riconvenzionale, volta al conseguimento delle maggiori spese sostenute per essere stata costretta ad eseguire i vaglia postali.
Il tribunale di Nola, con sentenza n. 2064/2000, rigettava la domanda principale ed, in parziale accoglimento della domanda riconvenzionale, condannava gli attori al pagamento nei confronti della convenuta della somma di L. 120.000. Avverso questa sentenza proponevano appello gli attori. La Corte di appello di Napoli, con sentenza n. 2578/2001, depositata il 25.9.2001, in parziale accoglimento dell’appello, condannava la convenuta al pagamento in favore dei locatori attori della somma di L.. 8.081.900, per canoni da aprile 1998 al giugno 2001 e per il 50% dell’imposta del registro, confermando nel resto l’impugnata sentenza. Riteneva la corte territoriale che esattamente il giudice di primo grado aveva rigettato la domanda di risoluzione per inadempimento della conduttrice, poiché non sussisteva una colpa della stessa nel mancato pagamento del canone presso l’abitazione dei locatori, ma con vaglia postali da questi rifiutati, in quanto, poiché i locatori si rifiutavano di rilasciare quietanza di pagamento, la conduttrice attraverso tale modalità di pagamento, si forniva di detta prova;
che essa non aveva effettuato un’autoriduzione del canone, poiché aveva solo compensato il suo credito per l’offerta reale effettuata per la mensilità di marzo 1998, con il suo debito di pagamento del canone; che, quindi, il comportamento della conduttrice, che non aveva più provveduto alle offerte amichevoli del pagamento del canone in contanti e presso l’abitazione dei locatori, era da ascriversi a colpa esclusiva di quest’ultimi; che la conduttrice andava condannata al pagamento dei canoni scaduti dall’aprile 1998 al giugno 2001 (pari a L. 202.700 mensili per i primi undici mesi e successivamente a L. 205.400), ritenendo che per quest’ultimo mese era inammissibile in appello ogni questione attinente al titolo (canone locativo o indennità di occupazione).
La conduttrice veniva anche condannata al pagamento su detta somma degli interessi legali a norma dell’art. 1224 c.c.. Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione […]. Resistono con controricorso gli attori […], che hanno proposto ricorso incidentale. Resiste con controricorso la […]. Nelle more del primo giudizio i locatori […], con atto di intimazione di sfratto per morosità, citazione per la convalida e richiesta di ingiunzione di pagamento, notificato il 13.2.2001 a […], sempre in relazione al predetto contratto di locazione, chiedevano al tribunale di Nola la convalida dell’intimato sfratto per morosità, avendo essi respinto il pagamento del canone effettuato con vaglia postali e non avendo la conduttrice effettuato gli aggiornamenti del canone a partire dal marzo 1998. Gli attori chiedevano altresì ordinanza immediatamente esecutiva per pagamento della somma di L. 9.205.000, quale importo dei canoni scaduti nonché ingiunzione di pagamento per i canoni a scadere.
Si costituiva […], la quale chiedeva che fosse dichiarata la litispendenza con il precedente procedimento; che fosse dichiarata l’estinzione di altro titolo esecutivo, costituito dall’ordinanza del 23.1.2001, formatosi nel procedimento di convalida di licenza per finita locazione. Il Tribunale di Nola, con sentenza n. 1892 del 2001, dichiarava la risoluzione del contratto per inadempimento della conduttrice e condannava la stessa al pagamento della somma di L. 10.873.000, oltre interessi legali dal 13.2.2001. Proponeva appello la […].
La Corte di appello di Napoli, con sentenza n. 1612/2001, depositata il 13.5.2002, rigettava l’appello. Riteneva la sentenza impugnata che nella specie non sussistesse un’ipotesi di litispendenza con il precedente giudizio, ma, al più’ di continenza; che non sussisteva un secondo titolo per incassare due volte la stessa somma, poiché “basta porre mano ai conteggi scaturenti dalla seconda decisione, comprensiva della prima per eliminare l’inconveniente”; che non era esatto che l’altra sentenza della corte di appello aveva accertato un canone aggiornato di L. 202.700 a fronte di un canone aggiornato accertato dal tribunale in questo procedimento pari a L. 263.000, poiché nell’altro procedimento nessuna parte aveva richiesto una pronuncia sulla legittimità di quella quantificazione. Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per Cassazione […]. Resiste con controricorso […] e […].
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente vanno riuniti i ricorsi principale ed incidentale nei confronti della sentenza n. 2578/2001, a norma dell’art. 335 c.p.c.. Ai ricorsi così riuniti, va poi disposta la riunione, a norma dell’art. 274 c.p.c., del ricorso proposto dalla […] avverso la sentenza n. 1612/2002, stante l’evidente connessione. Infatti il principio posto dall’art. 274 c.p.c. secondo cui se più procedimenti relativi a cause connesse pendono davanti allo stesso giudice questi, anche d’ufficio, può disporne la riunione, ha carattere generale e trova, quindi applicazione anche in sede di legittimità, atteso che fra i compiti istituzionali della Corte di cassazione rientra l’assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge e l’unità del diritto oggettivo nazionale, e di garantire quindi la certezza del diritto, che costituisce (insieme con l’economia e con il minor costo dei giudizi) il risultato cui mira la menzionata disposizione del codice di rito civile (Cass. 04/04/1997, n. 2922; Cass. n. 7275/2001).
2. Passando ad esaminare le impugnazioni avverso la sentenza n. 2578/2001, ritiene questa Corte che è opportuno trattare preliminarmente il ricorso incidentale proposto da […] e […]. Con il primo motivo di detto ricorso i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1182, 1277, 1587, 1175, 1375 e dell’art. 2 del contratto di locazione; la violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e 1455 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.c. e la violazione degli artt. 115 e 116 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.
Assumono i ricorrenti incidentali che il fatto che essi avessero rifiutato il pagamento diretto con offerta amichevole per i mesi di marzo ed aprile 1998 non comportava automaticamente il rifiuto di detta forma di pagamento anche per i mesi successivi, per cui in mancanza della prova del rifiuto da parte di essi locatori, la […] non poteva provvedere al pagamento attraverso vaglia postali. Avendo invece la […] così fatto, sussisteva un suo grave inadempimento.
Ritengono i ricorrenti che sussista un vizio motivazionale dell’impugnata sentenza, presentando la stessa lacune nel procedimento logico di esclusione della colpa della […].
3.1. Ritiene questa corte che il motivo sia fondato e che lo stesso vada accolto.
Osserva preliminarmente questa Corte che la colpa dell’inadempiente, quale presupposto per la risoluzione del contratto è presunta sino a prova contraria e che tale presunzione è destinata a cadere solo a fronte di risultanze positivamente apprezzabili, dedotte e provate dal debitore, le quali dimostrino che quest’ultimo, nonostante l’uso della normale diligenza, non sia stato in grado di eseguire tempestivamente le prestazioni dovute per cause a lui non imputabili (Cass. 14.5.1983, n. 3328). Tra le cause di non imputabilità dell’inadempimento vi è anche il rifiuto ingiustificato del creditore di riceversi la prestazione. Senza entrare nella vexata quaestio se la posizione del creditore riguardo alla necessità di una sua cooperazione all’adempimento costituisca solo un suo onere (come ritiene la maggioranza della dottrina) ovvero un vero e proprio diritto del debitore (come ritiene altra, minoritaria corrente), sta di fatto che non può essere pronunciata la risoluzione del contratto in danno della parte inadempiente, ove questa superi la presunzione di colpevolezza dell’inadempimento, dimostrandone la non imputabilità a causa dell’ingiustificato rifiuto della controparte di ricevere la prestazione (nella specie, canoni di locazione). Tale esclusione della colpa dell’inadempimento non è condizionata all’offerta reale della prestazione, secondo la procedura prevista dagli artt. 1209 e segg. C.C., costituendo questa offerta una facoltà della quale il debitore può avvalersi al diverso fine di determinare gli effetti della mora credendi e di conseguire la propria liberazione (Cass. 13.6.1975, n. 2382; Cass. 7.5.1982, n. 2852).
3.2. Sennonché diventa poi una questione di merito accertare se il creditore ha effettuato detto rifiuto della prestazione e se detto rifiuto è illegittimo. Tale accertamento rientra nei poteri del giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità, se immune da vizi logici o giuridici. A tal fine va osservato che il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, denunciatale con ricorso per Cassazione ex art. 360 n. 5 c.p.c. si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (Cass. 2 giugno 1995, n. 6189). Nella fattispecie la sentenza impugnata non ha motivato sulla base di quale percorso logico abbia ritenuto che il solo fatto che i locatori non avessero accettato due canoni di locazione, comportasse anche il rifiuto dei successivi, tanto più che era mancata l’offerta degli stessi, a seguito della quale sorgeva un dovere collaborativo dei creditori di riceversi la prestazione, con la conseguenza che è viziata la motivazione dell’impugnata sentenza nella parte in cui ritiene che nella fattispecie l’inadempimento della conduttrice non fosse colpevole e che, invece, fosse colpevole il comportamento dei locatori.
3.3. L’accoglimento di questa prima censura comporta l’assorbimento delle restanti censure contenute nel primo motivo, nonché del secondo motivo del ricorso incidentale.
4. Con il primo motivo del ricorso principale avverso la sentenza n. 2578/2001, la ricorrente principale […] lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 447 bis, 1^ comma, 420, 1 ed ult. e, 4141, 437 e 345, 112 c.p.c., 1206, 1207, 1176, 1218 e 1220 c.c., nonché motivazione insufficiente e contraddittoria, circa la condanna al pagamento dei canoni e degli interessi, nonostante la piena conferma della sentenza del primo giudice, secondo cui non era ravvisabile nella condotta posta in essere dalla […], alcun inadempimento. Lamenta la ricorrente che erratamente la sentenza di appello non ha rilevato l’inammissibilità della domanda, introdotta solo in sede di conclusioni del giudizio di appello, con cui si chiedeva il pagamento anche dei canoni relativi ai mesi di marzo, aprile e maggio 2001, nonché della domanda di pagamento dell’indennità di occupazione per il mese di giugno 2001, quando era scaduto il termine della locazione, e che erratamente il giudice ha ritenuto che esulasse dal tema decidendum ogni questione attinente al titolo, decidendo in merito con violazione dell’art. 112 c.p.c.. Lamenta, inoltre la ricorrente che la sentenza impugnata l’abbia condannata al pagamento del canone pagato con offerta reale, mentre questa era stata accettata, nonché degli interessi su tutti i canoni scaduti, pur essendo stato escluso ogni suo inadempimento colpevole.
5.1. Ritiene questa Corte che il motivo è solo parzialmente fondato. È infondata la censura di inammissibilità della domanda di pagamento dei canoni scaduti nel corso del giudizio di appello. Infatti, come emerge anche dalla sentenza impugnata (pag. 37), gli appellanti avevano richiesto già con l’atto di appello che la conduttrice fosse condannata al pagamento dei canoni scaduti nonché al pagamento dei canoni a scadere fino all’esecuzione del provvedimento di rilascio. Osserva questa Corte che la domanda di pagamento dei canoni e degli oneri accessori scaduti successivamente alla sentenza di primo grado, non costituisce domanda nuova, ai sensi dell’art. 437 (richiamato dall’art. 447 bis) c.p.c.. Infatti la diversa quantificazione della pretesa, fermi i fatti costitutivi di essa, non comporta prospettazione di una nuova “causa petendi” in aggiunta a quella dedotta in primo grado e, pertanto non da luogo ad una domanda nuova, inammissibile in appello ai sensi degli art. 345 e 437 c.p.c. (Cass. 23 giugno 2000, n. 8566; Cass. 6.3.1990, n. 1743). A tal fine va osservato che la domanda di pagamento degli ulteriori canoni maturati in corso di causa, proposta in sede di precisazione delle conclusioni, si risolve in un ampliamento quantitativo della somma originariamente richiesta che, mantenendo inalterati i termini della contestazione, incide solo su petitum mediato, relativo alla entità del bene da attribuire, e determina, quindi, solo una modifica (piuttosto che il mutamento) della originaria domanda, ammessa ai sensi del combinato disposto degli art. 420 e 414 c.p.c. (Cass. 14 marzo 1991, n. 2693).
5.2. Egualmente ritiene questa Corte che non vi sia violazione dell’art. 112 c.p.c., se il giudice liquidi, in presenza di una domanda di condanna del convenuto al pagamento di tutti i canoni fino all’esecuzione del provvedimento di rilascio, anche il pagamento dei canoni per il periodo successivo alla scadenza del contratto e fino alla data della decisione, a norma dell’art. 1591 c.c.. Va, infatti, osservato che il conduttore in mora nella restituzione della cosa locata continua a godere del bene in base al rapporto contrattuale, salvo l’obbligo, espressamente stabilito dall’art. 1591 c.c., di pagamento del corrispettivo della locazione e di risarcimento del maggior danno (Cass. n. 2328/2000; Cass. 09/11/1993, n. 11055). È stata, quindi, definitivamente abbandonato il risalente originario orientamento, secondo cui l’azione proposta dal locatore, a norma dell’art. 1591 c.c., costituisse un’azione di natura extracontrattuale, per occupazione abusiva del bene già locato. Le due obbligazioni (pagamento del corrispettivo convenuto e risarcimento del maggior danno) a carico del conduttore in mora nella restituzione della cosa locata sono autonome ed hanno una diversa natura: di valuta la prima e di valore la seconda.
5.3. Avendo quindi il locatore proposto un’azione contrattuale per il pagamento del canone convenuto fino alla riconsegna, in questa domanda è compresa anche la richiesta del pagamento del corrispettivo convenuto, successivamente alla scadenza del contratto, a norma dell’art. 1591 c.c.. Attribuire alla domanda il significato di avere così chiesto solo il corrispettivo dovuto in costanza di contratto e di aver chiesto solo questo e non anche di quello dovuto, sempre per effetto del contratto, alla scadenza dello stesso e fino alla data della riconsegna significherebbe attribuire una portata riduttiva ed abdicativa in contrasto col fine dichiarato del locatore di ottenere il corrispettivo dovutogli fino alla data della riconsegna dell’immobile, come è obbligo del conduttore di pagare, a norma dell’art. 1591 c.c..
5.4. Diversa è l’ipotesi in cui il locatore richieda il maggior danno di cui all’art. 1591 c.c.. Ciò integra un’obbligazione autonoma rispetto a quella del pagamento del corrispettivo convenuto, per cui da una parte necessita di autonoma domanda e dall’altra, se proposta nel corso del giudizio, integra domanda nuova.
Infatti, detta domanda del “maggior danno”, rispetto al canone, introduce nel processo fatti e termini di indagine diversi ed ulteriori rispetto a quella relativa al pagamento del corrispettivo convenuto, ex art. 1591 c.c. (a tal fine va ricordato che detto principio è pacifico in tema di “maggior danno” di cui all’art. 1224, c. 2^, c.c., cfr. Cass. S.U. 16.9.1992 n. 10597 e tutta la giurisprudenza successiva).
Ne consegue che è infondata la cesura relativa all’assunta violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione alla condanna al pagamento del corrispettivo convenuto anche per il mese di giugno 2001, successivo alla scadenza contrattuale.
5.5. Infondata è anche la censura avverso la condanna al pagamento dei canoni scaduti e non riscossi, pur avendo la sentenza impugnata escluso la colposità dell’inadempimento.
Non sussiste, infatti, la lamentata contraddittorietà della sentenza, poiché essa ha escluso solo la colposità dell’inadempimento, ma non ha ritenuto che la conduttrice fosse liberata dalla sua obbligazione: e ciò esattamente, in quanto detta liberazione poteva avvenire solo con il deposito accettato o dichiarato valido, con sentenza passata in giudicato ex art. 1210 c.c..
6.1. Fondata è invece la censura relativa alla condanna al pagamento degli interessi sui canoni scaduti, sia pure nei termini che seguono. Infatti detti interessi potrebbero essere, in astratto, di due nature: corrispettivi o moratori.
Sennonché, ove si ritenessero corrispettivi, essi non sarebbero dovuti, a norma dell’art. 1282 c.c., che espressamente statuisce al secondo comma: “Salvo patto contrario, i crediti per fitti e pigioni non producono interessi se non dalla costituzione in mora”. Detta norma è probabilmente l’ultimo risultato dell’influsso di un superato orientamento dottrinale tendente a distinguere tra debiti civili e commerciali. Detta norma non deve, però, essere intesa come deroga a quella prevista dall’art. 1219, e. 2 n. 3 (che stabilisce che il debitore è in mora – ex re – se la prestazione deve essere eseguita al domicilio del creditore) e cioè nel senso di stabilire che, lì ove si tratti di fitti o di pigioni, è in ogni caso necessaria, perché possano prodursi interessi, una costituzione in mora ex persona, bensì va intesa come norma derogatrice esclusivamente della norma del 1^ c. dell’art. 1282 c.c., e valevole, perciò solo nei casi in cui il n. 3 del e. 2 dell’art. 1219 c.c. non risulta applicabile (ad esempio perché il debito è querable e non portable).
6.2. Sennonché presupposto della mora, anche nelle ipotesi di mora ex re a norma dell’art. 1219, c. 2, n. 3, è sempre un inadempimento colpevole del debitore.
Infatti, in tema di obbligazioni pecuniarie ed in ipotesi di ritardato pagamento, la richiesta degli interessi moratori e quella di risarcimento del maggior danno – di cui, rispettivamente, al comma 1 e 2 dell’art. 1224 c.c. – trovano comune origine e presupposto nell’inadempimento colposo del debitore (Cfr. Cass. 4/03/2003, n. 3187; Cass. S.U. 8/07/1993, n. 7478; Cass. 20/04/1991, n. 4266). 6.3. Ne consegue che è errata in diritto la sentenza impugnata che da una parte ha escluso che l’inadempimento della conduttrice fosse colposo, addebitando invece il comportamento colposo ai locatori, e dall’altra parte ha condannato la conduttrice al pagamento degli interessi legali sui canoni scaduti e non pagati.
Ciò comporta che, tenuto conto dell’accoglimento del ricorso incidentale in merito alla statuizione di inadempimento non colposo della […], solo ove il giudice di rinvio ritenesse che sussiste un inadempimento colposo della stessa, dovrebbe condannare questa al pagamento degli interessi sui canoni scaduti, a norma dell’art. 1219, e. 2, n. 3, mentre se ritenesse che l’inadempimento non è colposo, nessuna condanna agli interessi su detti canoni potrebbe conseguire.
7. Infondata è la censura, secondo cui la […] non poteva essere condannata al pagamento del canone relativo al mese di marzo 1998, essendo stata accettata l’offerta reale di tale canone. Infatti, come emerge dalla sentenza impugnata (pag. 61), la conduttrice è stata condannata al pagamento dei canoni di locazione relativi ai mesi dall’aprile 1998 al giugno 2001.
8. Con il primo motivo di ricorso avverso la sentenza n. 1612/2002 della corte di appello di Napoli, la ricorrente […] lamenta il mancato esame da parte del giudice di appello di specifici motivi di impugnazione: A)Inesistenza dell’inadempimento da parte della […] circa le obbligazioni derivanti dal contratto di locazione; B) Rinnovazione del contratto di locazione per estinzione del titolo esecutivo costituito dall’ordinanza di convalida per finita locazione del 23.1.2001. Violazione dell’art. 112 c.p.c. Error in procedendo. Motivazione materialmente inesistente o meramente apparente. Nullità della sentenza e del procedimento. Violazione dell’art. 3^, c. 7, Cost. Assume la ricorrente che essa aveva impugnato la sentenza di primo grado sostenendo che la domanda di risoluzione del contratto di locazione, proposta in epoca successiva all’ottenimento di un precedente sfratto per finita locazione (ordinanza di convalida del 23.1.2001), integrasse la sopravvenuta ricostituzione del rapporto contrattuale, con estinzione del precedente titolo esecutivo, e sostenendo, altresì, che essa non si era affatto resa inadempiente rispetto alle obbligazioni derivanti dal contratto, avendo effettuato il pagamento del canone dovuto, comprensivo degli aggiornamenti e pari a L.. 202.700, con vaglia postali, come accertato dalla sentenza della Corte di appello di Napoli, n. 2578/2001. Lamenta la ricorrente che sulla prima censura la sentenza impugnata non ha motivato e che sulla seconda non si è pronunciata.
9. Ritiene questa Corte che il motivo è solo parzialmente fondato e che lo stesso vada accolto per quanto di ragione. Quanto alla prima censura essa è inammissibile per carenza di interesse. Infatti, in un giudizio quale l’attuale di risoluzione del contratto di locazione per morosità, l’eccezione proposta dalla convenuta, secondo cui, essendo stata la domanda proposta in epoca successiva all’ottenimento di ordinanza di convalida di licenza per finita locazione, essa integra la sopravvenuta ricostituzione del rapporto processuale e comporta l’estinzione del titolo esecutivo dell’ordinanza di convalida della licenza, non è conferente con il thema decidendum della risoluzione per morosità e, quindi, non è il grado di paralizzare l’accoglimento della domanda, attenendo a tutt’altra questione. Ciò comporta che la convenuto non ha interesse processuale a detta eccezione, in questo giudizio, e conseguentemente non ha interesse al motivo di ricorso avverso la sentenza che ha rigettato detta eccezione senza motivazione, come assume la ricorrente, ovvero che non l’abbia proprio esaminata (cfr. Cass. 22/04/1995, n. 4571). Detta questione dell’assunta estinzione del titolo esecutivo può essere proposta in sede di opposizione all’esecuzione (a tal fine i resistenti danno atto che sul punto pendono sia un’opposizione all’esecuzione che agli atti esecutivi). 10.1. Fondata è invece la seconda censura.
Premesso che nell’intimazione di sfratto per morosità è implicita la domanda di risoluzione per inadempimento, con la conseguenza che occorre fare riferimento al momento di tale domanda per apprezzare la morosità (Cass. 08/08/1995, n. 8692), il giudice di appello, pur confermando la sentenza di primo grado che aveva statuito la risoluzione del contratto per inadempimento della […], non si è pronunciato sul motivo di appello, proposto dall’appellante, secondo cui un inadempimento colpevole, in effetti, non sussisteva, poiché essa aveva sempre inoltrato il pagamento dei canoni con vaglia postali, rifiutati dai locatori, che non intendevano rilasciare quietanza per i pagamenti in contante.
Così operando il giudice di appello, ha violato il principio di cui all’art. 112 c.p.c. di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato.
10.2. Inoltre è carente la motivazione del giudice di appello in merito alla doglianza secondo cui l’aggiornamento del canone dava luogo alla somma di L. 202.700 e non di L. 263.000, come ritenuto dal primo giudice, non risultando il percorso argomentativo adottato dallo stesso per giungere a detta ultima somma.
11. L’accoglimento del primo motivo di ricorso, nei termini suddetti, comportando la cassazione dell’impugnata sentenza, comporta l’assorbimento del secondo motivo di ricorso.
Infatti, tenuto conto che, sulla base di quanto sopra detto, vanno cassate sia la sentenza n. 2578/2001) sia la sentenza n. 1612/2002, e tenuto conto della disposta riunione dei giudizi, non sussiste più il pericolo della contraddittorietà di giudicati, posto in luce dal ricorrente nel raffronto tra le due impugnate sentenze. 12. Ne consegue che va accolto per quanto di ragione il ricorso n. 29879/2001, ed il primo motivo del ricorso incidentale n. 2949/02, assorbito il secondo, nonché per quanto di ragione il primo motivo del ricorso n. 22317/02, assorbito il secondo; vanno cassate entrambe le sentenze impugnate, con rinvio, anche per le spese di questo giudizio di Cassazione ad altra sezione della Corte di appello di Napoli, che si uniformerà ai principi di diritto suddetti.
[…]