Corte di Cass., sez. 3, Sentenza n. 32969 del 2005, dep. il 07/09/2005

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con l’ordinanza in epigrafe il tribunale del riesame di Forlì confermò il decreto di sequestro preventivo di un manufatto abusivo emesso dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Forlì il 2 aprile 2005 in relazione ai reati di cui agli artt. 44, lett. b), e 95 d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380, per i quali erano indagati […], quale committente, […], quale direttore del lavori e […], quale esecutore delle opere abusive.

Osservò, tra l’altro, il tribunale del riesame che nessun valore poteva avere la domanda di condono avanzata dal […] perché questa riguardava un manufatto con caratteristiche del tutto dissimili da quello sequestrato sicché sarebbe stato comunque irrilevante un eventuale effetto estintivo derivante dalla sanatoria richiesta; che in ogni caso la presentazione della domanda di condono edilizio non impedisce l’adozione di provvedimenti urgenti, quali il sequestro probatorio o preventivo; che sussisteva il periculum in mora perché i vigili urbani avevano constatato il costante procedere delle opere abusive, che comunque non erano state ultimate, di modo che vi era il pericolo di un ulteriore aggravio del reato commesso;
che del resto il sequestro preventivo può essere emesso anche nei confronti di un manufatto già ultimato.

[…] propone ricorso per cassazione deducendo:

a) mancanza assoluta di motivazione o motivazione meramente apparente in relazione alla pretesa irrilevanza della domanda di condono edilizio ed in particolare della procedura di completamento delle opere nell’ambito della valutazione delle esigenze cautelari;
inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 32, co. 46, d.l. 269/03, 35 legge 28 febbraio 1985, n. 47, e 39 legge 23 dicembre 1994, n. 724, come richiamati dall’art. 32, co. 25, d.l. 269/03 e dall’art. 37, co. 4, legge reg. Emilia-Romagna 23/04. Lamenta in particolare che erroneamente l’ordinanza impugnata ha ritenuto irrilevante l’effetto estintivo derivante dalla sanatoria per la pretesa difformità tra l’oggetto della domanda di condono e l’immobile sequestrato, senza considerare che il titolare dell’abuso è legittimato a provvedere al completamento delle opere oggetto della domanda di sanatoria e che, a tal fine, il […] aveva allegato alla pratica l’atto unilaterale d’obbligo. Inoltre, il tribunale del riesame ha erroneamente ritenuto che vi fosse la suddetta divergenza tra l’oggetto della domanda di condono e l’immobile sequestrato, e ciò perché non vi era la prova che l’immobile fosse stato demolito e poi ricostruito e perché, anche qualora lo fosse stato, tale intervento sarebbe stato comunque consentito, così come non vi era la prova di una diversa collocazione interna dei vani. Era infine irrilevante la mancata presentazione di idonea documentazione fotografica perché ciò era consentito dalla legislazione regionale in tema di condono edilizio. Poiché quindi non vi era alcuna differenza tra quanto realizzato e quanto rappresentato con la domanda di condono edilizio, la motivazione sulla pretesa irrilevanza della domanda di condono risulta meramente apparente, mentre l’indagato aveva comunque attivato la procedura prevista dall’art. 35 legge 28 febbraio 1985, n. 47, per il completamento delle opere sotto la propria responsabilità.

b) inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 321 cod. proc. pen. sotto il profilo della mancata concretezza del periculum a fronte di un immobile ultimato nonché mancanza assoluta di motivazione sul punto.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo è infondato ed in parte inammissibile. Sono infatti inammissibili, trattandosi di ricorso avverso provvedimento cautelare reale, quei profili di ricorso che si risolvono, in sostanza, in una denuncia di manifesta illogicità o di insufficienza di motivazione circa la difformità fra il manufatto indicato nella domanda di condono edilizio e quello oggetto di accertamento da parte dei vigili urbani che hanno proceduto al sequestro. Non può infatti certamente ritenersi che la motivazione sul punto sia assolutamente mancante o meramente apparente, avendo anzi il tribunale del riesame adeguatamente e congruamente motivato sulle ragioni per le quali doveva ritenersi che l’opera eseguita fosse diversa da quella oggetto della domanda di condono edilizio presentata dal […] (in quanto, tra l’altro, non si era trattato di semplice ristrutturazione con conservazione di alcune parti delle murature interne e semplice rafforzamento delle murature esterne, bensì di demolizione dell’intero edificio e ricostruzione di un nuovo fabbricato su nuova platea di fondazione in cemento armato e con diversa disposizione dei vani interni, senza nemmeno che fosse possibile stabilire, in mancanza di qualsiasi prova anche fotografica fornita fagli indagati, che vi fosse stata una demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma) e doveva di conseguenza ritenersi che una eventuale condono concesso in relazione alla domanda presentata sarebbe stato del tutto irrilevante e privo di qualsiasi effetto sanante rispetto al diverso manufatto realizzato e sequestrato. Queste considerazioni valgono di per se stesse ad escludere ogni possibilità di applicazione nella specie delle disposizioni invocate dal ricorrente relative alla possibilità per chi presenta domanda di condono edilizio di completare le opere abusive sotto la propria responsabilità.

In ogni caso, in relazione a quest’ultimo motivo, ossia motivo secondo cui, essendo stata presentata domanda di condono, vi sarebbe stato il diritto di completare le opere abusive il che impedirebbe la possibilità di un sequestro preventivo, può osservarsi che nella specie tale diritto non sarebbe ravvisabile nemmeno qualora vi fossero in ipotesi tutte le condizioni per la applicazione del condono edilizio (condizioni invece escluse dal giudice del merito per la difformità tra il fabbricato realizzato e quello oggetto della domanda di condono). E difatti, anche qualora l’immobile sia condonabile, la costruzione può essere legittimamente proseguita soltanto quando sia puntualmente rispettata la procedura prevista dall’art. 35, comma 14, legge 28 febbraio 1985, n. 47, e quindi soltanto quando: a) siano decorsi 120 giorni dalla presentazione della domanda di condono e vi sia stato il versamento della seconda rata della oblazione; b) si tratti delle opere di cui all’art. 31 non comprese tra quelle indicate dall’art. 33; c) l’interessato abbia notificato al comune il proprio intendimento di completare le opere consentite, allegando perizia giurata ovvero documentazione avente data certa in ordine allo stato dei lavori abusivi; d) i lavori inizino non prima di trenta giorni dalla data della notificazione. È per questo motivo che la giurisprudenza di questa Corte ha sempre affermato che “il fatto che, a norma del quattordicesimo comma dell’art. 35 legge 28 febbraio 1985, n. 47, il presentatore dell’istanza di sanatoria possa completare sotto la propria responsabilità, le opere edilizie abusive suscettibili di sanatoria non significa di per sè che vengano meno le esigenze preventive che legittimano il sequestro cautelare a norma dell’art. 321 cod. proc. pen. (nella specie la S.C. ha osservato che non risultava si fossero già realizzate le condizioni richieste dalla norma per il completamento delle opere, vale a dire oltre al decorso di centoventi giorni dalla presentazione della domanda di sanatoria, il versamento della seconda rata dell’oblazione, nonché la notifica al comune dell’intendimento di completare le opere, con l’allegazione di perizia giurata, ovvero di documentazione avente data certa in ordine allo stato dei lavori abusivi: in assenza di queste condizioni il completamento delle opere nella prospettiva della sanatoria era evento solo futuro e incerto, sicché permanevano le esigenze cautelari che presiedevano all’istituto del sequestro preventivo)” (Sez. 3^, 2.5.96, Prestigiacomo, m. 205.253) e che “l’ambito di applicabilità della disciplina contemplata dall’art. 35, quattordicesimo comma, della legge n. 47 del 1985 prevede tutta una serie di adempimenti con prestabilite scansioni temporali, il cui verificarsi deve essere rigorosamente dimostrato, e non esclude la possibilità del sequestro penale, attese le differenze proprie della materia penale e di quella amministrativa. Ed invero permarrebbe sempre in capo al giudice la possibilità di accertare se la prosecuzione dei lavori per il loro completamento sia legittima o meno, giacché il presentatore dell’istanza di condono esegue gli stessi sotto la propria responsabilità, sicché occorre sempre effettuare una valutazione, necessariamente sommaria in sede di riesame, sulla sussistenza della causa di estinzione prevista dalle leggi n. 47 del 1985 e n. 724 del 1994” (Sez. 3^, 2.7.96, De Santis, m. 206.050). D’altra parte, anche nell’ipotesi di condonabilità delle opere abusive, la prosecuzione dei lavori di integrale completamento dello stabile senza l’osservanza della procedura di cui all’art. 35, comma 14, legge 28 febbraio 1985, n. 47, determina l’applicabilità delle sanzioni penali, escluse quelle amministrative (art. 38, comma 4), giacché se la detta procedura non sia stata rispettata o non sussistano i presupposti richiesti o se i lavori siano posti in essere prima del momento in cui la legge consente la loro esecuzione, il reato edilizio, che ha natura permanente, è del pari configurabile, pur se l’immobile non debba essere demolito (Sez. 3^, 10.5.1999, Cimini, m. 214.368), tanto che, nel caso in cui un immobile sequestrato e poi oggetto di condono sia stato restituito al proprietario a seguito di dissequestro, la prosecuzione della costruzione senza il rispetto della procedura stabilita dall’art. 35, comma 14, legge 28 febbraio 1985, n. 47, configura un nuovo ed autonomo reato urbanistico (Sez. 3^, 8.11.2000, Martino, m. 218.001). In definitiva, attese le differenze proprie della materia penale e di quella amministrativa, la possibilità, per il presentatore dell’istanza di concessione o autorizzazione in sanatoria, di completare sotto la propria responsabilità le opere di cui all’art. 31 legge 28 febbraio 1985, n. 47, prevista dal successivo art. 35, quattordicesimo comma, non può escludere la possibilità del sequestro penale, ne’ può far venir meno automaticamente il sequestro preventivo, che potrà essere caducato solo quando il giudice penale, nell’ambito delle sue attribuzioni, riterrà che sia cessata la funzione cautelare o quando, al verificarsi di tutte le condizioni occorrenti, dichiarerà che il reato è estinto (Sez. 3^, 15 dicembre 1995, Russo, m. 204.315). Nella specie il ricorrente non solo non ha dato nessuna prova ma non ha nemmeno allegato di avere iniziato la procedura di cui all’art. 35, co. 14, legge 28 febbraio 1985, n. 47, sicché non può vantare, sotto nessun profilo, alcun diritto alla prosecuzione della costruzione abusiva.

È ugualmente infondato anche il secondo motivo. A prescindere infatti dalla possibilità di sottoporre a sequestro preventivo anche i manufatti abusivi ultimati quando vi sia pericolo di ulteriore pregiudizio per gli interessi tutelati dalla norma penale, nel caso di specie il tribunale del riesame ha accertato in punto di fatto, con adeguata motivazione, che l’edificio abusivo non era stato ancora ultimato e che era stato constatato il costante incedere delle opere edilizie abusive, sicché esattamente è stato ritenuto sussistente il concreto pericolo che la disponibilità della costruzione abusiva potesse aggravare ulteriormente le conseguenze del reato commesso. Del resto, lo stesso ricorrente parla di manufatto “sostanzialmente” ultimato, il che significa che appunto non era ancora completamente ultimato e si limita a porre in evidenza il fatto che l’edificio appariva privo di qualsivoglia impalcatura, mentre, secondo la costante giurisprudenza di questa Suprema Corte, la cessazione della permanenza nella contravvenzione di costruzione abusiva oltre che dall’esistenza di un provvedimento autoritativo, amministrativo, civile o penale, o dalla cd. desistenza volontaria, deriva dalla ultimazione dell’opera, ivi comprese le rifiniture esterne ed interne (Sez. 3^, 3 giugno 2003, Sorrentino, m. 225.553; Sez. 3^, 8 marzo 2001, Tavella, m. 219.382; Sez. 3^, 21 novembre 1997, Di Pietro, m. 209.54 9; Sez. 3^, 12 luglio 1999, Farad, m. 215.035; Sez. 3^, 8 marzo 2001, Tavella, m. 219.382; Sez. 3^, 16 marzo 1994, Imperato, m. 199.12 5; Sez. 3^, 22 settembre 1995, Di Giovanni, m. 203.019). Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

[…]