Corte di Cassazione, Sentenza 25 giugno 2014, n. 14449, dep. il 25 giugno 2014

[…]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La […] s.n.c., in persona del legale rappresentante […], conveniva in giudizio […], […] e […], chiedendo la condanna dei convenuti al pagamento della somma di L. 62.850.000, portata da 15 cambiali, emesse il 21/3/1985 senza data di scadenza e sottoscritte dai tre convenuti, deducendo che erano state formate con l’intesa di porle all’incasso un anno dopo, con facoltà per il prenditore di riempirle secondo tale accordo, e che il pagamento non era mai avvenuto.
I convenuti si costituivano e, tra le altre difese, eccepivano la carenza di legittimazione attiva della società, deducendo che questa era venuta meno ai sensi dell’art. 2272 c.c., per essere deceduto il ../../92 l’unico socio, […], senza che la pluralità dei soci fosse stata ricostituita nei sei mesi successivi, donde l’estinzione della società e la nullità della delibera per atto notaio […] del 26/10/92, che aveva posto in liquidazione la società, nominando liquidatore […].
Il Tribunale di Genova, con sentenza depositata il 26/5/03, respingeva la domanda accogliendo l’eccezione di prescrizione sollevata dai convenuti.
La Corte d’appello, con sentenza 22/6-5/8/2006, in accoglimento dell’appello principale avanzato dalla società, ha condannato gli appellati al pagamento della somma di Euro 32459,32, oltre interessi al tasso legale; ha respinto l’appello incidentale condizionato ed ha condannato gli appellati alle spese del grado. La Corte del merito, esaminando prioritariamente l’appello incidentale, in quanto involgente questione potenzialmente preclusiva delle altre questioni, ha respinto l’eccezione di difetto di legittimazione attiva della società, rilevando che col decorso del semestre dal venir meno della pluralità dei soci si verifica solo lo scioglimento, con l’avvio della fase della liquidazione, come nel caso avvenuto ad opera degli eredi dell’unico socio con la delibera per atto notaio […]; che al più, si sarebbe potuto ritenere che, decorso il semestre, l’attività fosse proseguita come oggetto dell’attività individuale del socio superstite, sì che, questi deceduto, i rapporti sarebbero confluiti nell’universum jus del defunto, facendo capo ai figli, […] e […], che come tali erano legittimati attivi per il recupero delle attività facenti capo al padre.
Secondo la Corte territoriale, a tutto concedere, si sarebbe potuta proporre l’azione, riferita ai rapporti che facevano capo alla disciolta società, dallo […] in proprio o quale avente causa del padre […], da cui l’esclusione dell’interesse a sollevare l’eccezione.
Avverso detta sentenza ricorrono […], […] e […], sulla base di un unico motivo.
Si difende con controricorso la società […]s.n.c. in liquidazione, in persona del liquidatore […].
La società ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1.- Con l’unico motivo, i ricorrenti denunciano vizi “ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione al combinato disposto di cui all’art. 2272 c.c., n. 4, e art. 2284 c.c.”, nonchè il vizio ex art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione agli artt. 75 e 100 c.p.c., sostenendo la nullità dei giudizi di merito per l’assoluta carenza di legittimazione in capo a […] quale socio e liquidatore. I ricorrenti evidenziano, sul piano del fatto, che nel 1990, a seguito della sentenza del Tribunale di Genova 1042/90, alla società veniva a mancare la pluralità dei soci nelle persone di […] e […]; tale pluralità non veniva ricostituita nei sei mesi dall’unico socio, […], per cui, secondo la parte, non si è determinata la trasformazione della società di persone in impresa individuale, con cessione dell’azienda, e gli eredi dello […] non sono subentrati nella posizione di socio, ma solo nella quota, per cui non potevano disporre la liquidazione e la nomina del liquidatore.
I ricorrenti, in relazione ai diversi profili del motivo, hanno articolato il seguente quesito di diritto: “se gli eredi dell’unico socio superstite di una snc possano essi stessi subentrare in virtù della loro sola qualità di eredi nella titolarità del capitale sociale e, assumendo la qualifica di soci, disporne la liquidazione e procedere alla nomina di un liquidatore”.
2.1.- Il motivo è infondato.
Va rapidamente disattesa l’eccezione di inammissibilità del motivo, sollevata dalla controricorrente, sul rilievo che la decisione impugnata, nel respingere l’eccezione di difetto di legittimazione attiva, si sarebbe basata essenzialmente sulla rilevata carenza di interesse, in ogni caso, a sollevare l’eccezione.
A riguardo, si deve evidenziare che la sentenza, nel respingere l’eccezione, si è pronunciata respingendo la tesi della parte, e sostenendo che l’esito della mancata ricostituzione della pluralità dei soci è la messa in liquidazione, come effettivamente avvenuto nel caso ad opera degli eredi, mentre il rilievo della carenza di interesse si configura quale motivazione ad abundantiam, e non già fulcro della decisione.
Ciò posto, e rilevato che il motivo, alla stregua del quesito e della espositiva è articolato con riferimento al vizio ex art. 360, n. 3, si deve rilevare che l’art. 2272 c.c., n. 4, prevede lo scioglimento e non già l’estinzione della società, che, nel regime anteriore alla riforma del diritto societario, si determinava solo in seguito alla regolazione di tutti i rapporti, e che, dopo la novella di cui al D.Lgs. n. 6 del 2003, si determina a seguito della cancellazione dal registro delle imprese, nel caso specifico neppure allegata.
Come affermato dalla pronuncia 3670/07, lo scioglimento della società, che a norma dell’art. 2272 c.c., n. 4, si determina per la sopravvenuta mancanza della pluralità dei soci, se la società non sia ricostituita nel termine di sei mesi, quando riguarda una società di persone non determina alcuna modificazione soggettiva dei rapporti facenti capo all’ente, la titolarità dei quali si concentra nell’unico socio rimasto; l’attesa semestrale dell’eventuale ricostituzione della pluralità dei soci può essere anticipatamente interrotta dalla scelta del socio superstite di non trovare altri soci, bensì di continuare l’attività come impresa individuale, e tale vicenda non integra una trasformazione nel senso tecnico inteso dall’art. 2498 c.c., riferito alla trasformazione di una società da un tipo ad un altro, bensì un rapporto di successione tra soggetti distinti, distinguendosi, appunto, persona fisica e persona giuridica per natura, e non solo per forma, e l’atipica “trasformazione” in parola è preceduta dallo scioglimento della società e dalla liquidazione della stessa, concludentesi con l’assegnazione del patrimonio sociale residuo al socio superstite ai fini della successiva estinzione della società stessa (artt. 2311 e 2312 c.c.).
E’ altresì principio costante che nelle società di persone, gli eredi del socio defunto non acquisiscono la posizione di quest’ultimo nell’ambito della società, e non assumono perciò la qualità di soci, ma hanno soltanto il diritto alla liquidazione della quota del loro dante causa, diritto che sorge indipendentemente dal fatto che la società continui o si sciolga (vedi in tal senso, le pronunce 6263/05, citata dagli stessi ricorrenti, e 3671/01).
Ciò posto, si rileva che la particolarità della situazione di specie è data dal fatto che l’unico socio, dopo la mancata ricostituzione della pluralità dei soci nei sei mesi, e senza avere messo la società in liquidazione, è venuto a mancare, ed i suoi eredi hanno provveduto a mettere la società in liquidazione.
Nell’applicare le norme ed i principi richiamati al caso di specie, si deve ritenere che per il socio superstite, una volta non ricostituita la pluralità dei soci, v’è l’obbligo della messa in liquidazione della società, che costituisce la premessa indispensabile per regolare i diritti sulle quote dei soci usciti dalla società e dello stesso unico socio o dei suoi eredi, atteso che la riduzione della compagine sociale ad un solo socio non comporta l’inapplicabilità dell’art. 2284 c.c..
E già la sentenza 4169/1995 si è pronunciata per l’applicabilità dell’art. 2272 c.c., n. 4, e art. 2284 c.c., nel caso di morte di uno dei due soli soci di una società personale, evidenziando il diverso ambito di applicazione delle due norme, sul rilievo che il diritto degli eredi alla liquidazione della quota e lo scioglimento della società sono conseguenze di due eventi distinti: il primo, costituito dalla morte del socio; il secondo, dalla mancata ricostituzione della pluralità dei soci; che le norme, pertanto, hanno un diverso ambito, inerendo la prima ai rapporti esterni tra società e terzi e la seconda ai rapporti interni tra soci, da cui consegue che, nel caso di morte di uno dei due soci, il socio superstite deve procedere innanzitutto alla liquidazione della quota spettante agli eredi (salve le eccezioni previste dallo stesso art. 2284), fermo restando lo scioglimento della società se, nei termini di cui alla norma cit., non venga ricostituita la pluralità dei soci.
Gli eredi, come si è già visto, non subentrano nella società, ma nel diritto alla quota di liquidazione, ed il loro diritto verso la società (così la pronuncia resa a sezioni unite,291/2000, e conf. la sentenza 816/2009), ove siano eredi dell’unico socio superstite, non può attuarsi se non attraverso la messa in liquidazione della società, in qualità di eredi e non come soci.
Ne consegue che correttamente la Corte d’appello ha ritenuto proposta l’azione di restituzione da parte della società messa in liquidazione dagli eredi del socio superstite.
2.1.- Il ricorso va pertanto respinto e va affermato il seguente principio di diritto:
“Nel caso in cui sia venuta a mancare la pluralità dei soci nella società personale e non sia stata ricostituita entro sei mesi la pluralità dei soci, allorquando sopravvenga il decesso dell’unico socio, che non abbia provveduto a mettere in liquidazione la società, gli eredi del socio defunto devono mettere in liquidazione la società, per potere realizzare il proprio diritto alla quota di liquidazione e provvederà a regolare la posizione degli altri soci”.
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