Corte di Cassazione, Sez. 1, Ordinanza n. 20617 del 2017 , dep. il 31/08/2017

[…]

FATTI DI CAUSA

1. — Nel dicembre 2004[…] evocava in giudizio […] s.p.a. deducendo di essere titolare, presso la medesima, di un conto corrente con annesso conto titoli e di aver acquistato — nell’ottobre del 2000, dietro consiglio del personale della filiale — delle obbligazioni Cirio per un ammontare complessivo di € 250.000,00; rilevava di aver appreso solo a seguito del noto default l’altissimo rischio che comportava l’operazione e il fatto che i titoli risultavano privi di rating; aggiungeva, poi, che la banca non aveva sollecitato informazioni circa la sua propensione al rischio, né gli aveva prospettato l’inadeguatezza dell’investimento. Domandava pertanto accertarsi la nullità o l’annullamento degli acquisti dei titoli, con condanna della convenuta alla restituzione della somma di € 250.000,00 oltre interessi e rivalutazione; in subordine, chiedeva risolversi per inadempimento della banca i contratti di acquisto dei titoli, con condanna della convenuta al pagamento della somma sopra indicata o condannarsi, comunque, la banca stessa al risarcimento dei danni, nella misura dell’importo predetto, per la violazione dei doveri professionali su di essa incombenti.
[…] si costituiva in giudizio e chiedeva il rigetto delle domande attrici, assumendo, tra l’altro, di non essere a conoscenza della situazione economica della società emittente e di non aver violato i doveri informativi, i quali, oltretutto, erano invocati nei confronti di un soggetto dotato di grande esperienza in materia finanziaria.
A seguito dell’esperimento dell’interrogatorio formale dell’attore e della prova testimoniale, il Tribunale di Napoli dichiarava risolti per grave inadempimento i contratti di acquisto dei prodotti finanziari di cui trattasi e condannava la convenuta al pagamento della somma di € 250.000,00, oltre interessi.
2. — La sentenza era impugnata dalla banca, la quale confermava di aver ignorato la situazione finanziaria della Cirio e ribadiva l’adeguatezza dell’investimento rispetto al profilo di rischio del cliente, che aveva acquistato molti titoli ad alto rendimento, ponendo così in essere operazioni fortemente speculative.
Si costituiva in giudizio l’appellato, che instava per il rigetto del gravame.
La Corte di appello di Napoli, con sentenza del 10 marzo 2013, respingeva l’impugnazione.
3. — Contro tale pronuncia […] ha proposto un ricorso per cassazione affidato a sei motivi, illustrati da memoria. Resiste con controricorso […].

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. — Il primo motivo reca in rubrica la deduzione dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, con riferimento all’applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 21, 1° co., lett. a), b), d) t.u.f. (e cioè d.lgs. n. 58/1998) e 26, lett. e), 28 e 29 reg. Consob n. 11522/98. E’ richiamato il passaggio argomentativo della pronuncia in cui il giudice di appello ha osservato che, sul tema della mancata conoscenza della situazione della Cirio all’epoca degli acquisti, l’appellante aveva citato, per stralci non documentati, sentenze di merito e una relazione del presidente della Consob del gennaio 2004. Si osserva che la controparte non aveva contestato la veridicità delle suddette fonti e che era compito della Corte territoriale rinvenire i testi integrali delle pronunce e della relazione in questione: secondo l’istante, per un verso spettava al giudice del merito ricercare i precedenti giurisprudenziali pertinenti; per altro verso, era mancata, da parte di […], alcuna specifica impugnativa di quanto trascritto dell’atto di appello con riguardo
alle circostanze, relative alla situazione finanziaria della Cirio, che erano esposte nelle motivazioni delle sentenze e nella richiamata relazione del presidente della Consob. Rileva pertanto la ricorrente che il giudice dell’impugnazione aveva omesso la disamina degli elementi di fatto risultanti dagli atti nominati, dai quali si sarebbe desunto che nell’ottobre 2000 i bond Cirio, sebbene privi di rating, non evidenziavano l’altissimo grado di rischiosità lamentato dalla controparte e dai quali, altresì, si sarebbe ricavato che non sussistevano nemmeno ragioni per ritenere incerta la capacità del gruppo di far fronte ai propri impegni finanziari. Nel motivo è inoltre lamentato che l’interpretazione offerta dalla Corte di merito con riferimento ad una deposizione testimoniale risultava del tutto illogica e contraria a quanto riferito dal testimone.
1.1. — Il motivo va disatteso.
Occorre premettere che la Corte di merito, dopo aver dato atto della mancata produzione delle sentenze di merito e della relazione del presidente della Consob del gennaio 2004, ha affermato che le deduzioni svolte dalla  ricorrente erano smentite dal contenuto di una deposizione testimoniale, dalla quale risultava: che all’epoca non veniva consigliato l’acquisto delle  obbligazioni Cirio, le quali non facevano parte del portafoglio dell’istituto, ma veniva effettuata solo la raccolta di ordini; che, inoltre, in quel periodo i bond Cirio non raggiungevano, secondo il giudizio espresso dalle agenzie finanziarie internazionali, la soglia della tripla B; che per tale ragione le obbligazioni in  parola non potevano entrare a far parte dei titoli che componevano le gestioni. Sulla base di quanto riferito dal testimone — un funzionario della banca — la Corte di merito ha tratto il convincimento che l’odierna ricorrente non potesse sostenere di non essere in grado di prevedere la preoccupante situazione finanziaria della Cirio.
Tale conclusione poggia su un apprezzamento del giudice del merito che non è sindacabile nella presente sede.
Il giudizio della Corte del gravame non è poi inficiato dall’omesso esame dei fatti indicati nel corpo del motivo. Dalla sentenza impugnata non risulta, infatti, che il giudice distrettuale abbia mancato di considerare le circostanze dedotte da […] (l’assenza dell’elevatissimo grado di rischiosità delle obbligazioni Cirio e l’incertezza circa la capacità del gruppo di fronteggiare i propri impegni): il giudice del gravame ha infatti dato atto della mancata produzione dei documenti menzionati nel corpo del motivo e, senza rilevare che tale circostanza precludeva di prenderne in considerazione i contenuti, ha poi conferito rilievo determinante a quanto emerso dall’istruttoria testimoniale; tale è il senso dell’affermazione, presente nella sentenza, per cui le «deduzioni [della banca] sono però smentite dalle dichiarazioni del teste […]». In definitiva, dunque, la Corte di Napoli ha inteso valutare comparativamente i diversi elementi portati al suo esame, ritenendo poi decisive le affermazioni del teste circa la considerazione di cui godevano i titoli Cirio all’interno dell’istituto  bancario.
Non ricorre, pertanto, il lamentato omesso esame. Per completezza, va peraltro segnalato che la mancata considerazione dei fatti di cui si discorre non sarebbe in sé idonea a giustificare l’accoglimento della censura, dal momento che a tal fine è pur sempre necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054; con riferimento al testo previgente dell’art. 360, n. 5 c.p.c., per tutte: Cass. 24 ottobre 2013, n. 24092; Cass. 29 settembre 2006, n. 21249; Cass. 28 giugno 2006, n. 14973). Nella fattispecie, un esito siffatto risulterebbe comunque escluso per effetto del rilievo dirimente conferito dalla Corte di Napoli alla deposizione di cui si è detto più volte.
Per quel che concerne, poi, il deplorato cattivo apprezzamento della suddetta deposizione, qualificato illogico e contrario a quanto riferito dal teste, è sufficiente osservare che, in base alla nuova formulazione dell’art. 360, n. 5, risultante dall’art. 54 d.l. n. 83/2012, convertito in I. n. 134/2012, deve negarsi la sindacabilità in sede di legittimità della correttezza logica della motivazione di idoneità probatoria di una determinata risultanza processuale, non avendo più autonoma rilevanza il vizio di contraddittorietà della motivazione (Cass. 16 luglio 2014, n. 16300).
2. — Col secondo motivo è lamentata la falsa applicazione degli artt. 21, 1° co., lett. a), b), d) t.u.f. e 26, lett. e), 28 e 29 reg. Consob n. 11522/98. La censura investe l’accertamento della Corte di appello circa il mancato adempimento, da parte dell’intermediario, degli obblighi informativi che gli facevano carico. Osserva la ricorrente che i dati sulla profilazione del cliente andavano valutati alla luce della condizione soggettiva di chi aveva effettuato l’investimento e che nella fattispecie assumeva rilievo che […] era un affermato professionista, in possesso di significative conoscenze finanziarie, anche in ragione della pluriennale esperienza da lui maturata sui mercati nazionali ed internazionali. La banca disponeva quindi di elementi certi e concreti per ritenere che la controparte fosse un investitore preparato e autonomo, il quale assumeva le proprie decisioni senza considerare i consigli che gli venivano forniti, e che era inoltre animato dalla ferma volontà di orientare la propria scelta di investimento sui prodotti che gli offrivano la miglior remunerazione. Né, secondo l’istante, poteva presumersi che […] avesse una propensione al rischio minima solo perché in precedenza aveva omesso di rilasciare informazioni a tale riguardo; in tali casi — osserva la ricorrente — occorrerebbe infatti far riferimento alla pregresse esperienze in strumenti finanziari a conoscenza della banca, sicché rilevava il trading attuato per oltre due anni dal cliente su titoli sicuramente aggressivi: evenienza questa, di per sé sufficiente ad attribuire al cliente un profilo di rischio speculativo. D’altro canto, all’epoca l’intermediario non possedeva notizie in ordine al concreto pericolo di perdite economiche relative al titolo Cirio da evidenziare alla controparte. Sostiene ancora la banca che risultava errata l’affermazione, contenuta nella sentenza,
secondo cui tutte le notizie fornite dall’investitore sulla natura e sui rischi dell’investimento dovevano risultare dal contesto documentale dell’ordine di acquisto: infatti, tale necessità della forma scritta non troverebbe riscontro della disciplina legislativa e regolamentare.
2.1 — Il motivo è infondato.
E’ senz’altro vero che le informazioni fornite dall’investitore non debbano essere riprodotte nell’ordine di investimento. Un tale vincolo formale non sussiste nemmeno nel caso di segnalazione di inadeguatezza dell’operazione (Cass. 6 giugno 2016, n. 11578).
Nondimeno, nel caso in esame la Corte di merito non ha comunque rilevato l’adempimento dell’obbligo informativo (che la banca era tenuta a provare) e ha anzi osservato come dalla deposizione testimoniale del funzionario che ricevette i due ordini di acquisto era emerso che il predetto soggetto aveva assunto una «posizione neutrale», avendo mancato di interloquire sulle scelte del cliente, che sapeva essere investitore abituale.
Il giudice dell’impugnazione ha pure osservato che il rifiuto dell’investitore di fornire indicazioni sul suo profilo di rischio non esonerava l’intermediario della valutazione dell’adeguatezza dell’operazione, rilevando che, in applicazione del principio di diligenza, la banca avrebbe dovuto anzi agire in base alla massima cautela. Ha evidenziato, inoltre, come non potesse ritenersi rilevante il fatto che l’investitore si considerasse esperto in strumenti finanziari, non esimendo tale circostanza dall’adempimento, da parte dell’intermediario, degli obblighi informativi.
Queste ultime affermazioni sono indubbiamente coerenti coi principi affermati dalla S.C. nella materia che qui interessa. Per un verso, infatti, l’intermediario finanziario non è esonerato dall’obbligo di valutare l’adeguatezza dell’investimento nemmeno ove l’investitore si sia rifiutato di fornire le informazioni sui propri obiettivi di investimento e sulla propria propensione al rischio: in tal caso, infatti, l’intermediario stesso deve comunque compiere quella valutazione, in base ai principi generali di correttezza e trasparenza, tenendo conto di tutte le notizie di cui egli sia in possesso (Cass. 16 marzo 2016, n. 5250; Cass. 19 ottobre 2012, n. 18039). Per altro verso, se il cliente ha in precedenza acquistato titoli a rischio, ciò non basta a renderlo operatore qualificato ai sensi della normativa regolamentare dettata dalla Consob (Cass. 19 gennaio 2016, n. 816; Cass. 29 ottobre 2010, n. 22147; Cass. 25 giugno 2008, n. 17340), sicché è escluso che in tal caso la banca sia esonerata dall’adempiere all’obbligo informativo.
Ciò detto, le restanti doglianze della ricorrente investono questioni di fatto che come tali sfuggono al sindacato di legittimità. E’ agevole notare, infatti, che le censure mirano a colpire l’attività valutativa del giudice con riguardo alle risultanze di causa: ma il vizio di violazione di legge, dedotto col motivo, consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito (Cass. Sez. U. 5 maggio 2006, n. 10313; in senso conforme, ad es.: Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 30dicembre 2015, n. 26110; Cass.4 aprile 2013, n. 8315).
3. — Oggetto del terzo motivo è la doglianza di falsa applicazione degli artt. 1453 e 1455 c.c. con riferimento, alle disposizioni di cui agli artt. 21, 1° co., lett. a), b), d) t.u.f. e 26, lett. e), 28 e 29 reg. Consob n. 11522/98. Lamenta la ricorrente che la Corte distrettuale aveva ritenuto esistente il requisito dell’importanza dell’inadempimento senza tener conto di quanto dedotto e provato dalla banca, con particolare riguardo al fatto che, con riguardo ai titoli Cirio, non si prospettava, all’epoca, alcun concreto rischio di default della società emittente. Osserva ancora l’istante che nel proprio atto d’appello aveva rimarcato come il Tribunale avesse dichiarato risolti gli ordini d’acquisto senza individuare gli elementi di prova certa quanto al nesso causale che doveva sussistere tra le presunte violazioni poste in atto dall’intermediario e il danno subito dal cliente dagli ordini di acquisto, aggiungendo che gli eventuali adempimenti agli obblighi informativi non potevano assumere l’importanza richiesta dall’art. 1455 c.c.. Rileva, poi, […] che l’omesso adempimento dell’obbligo informativo non poteva rilevare atteso che […] era fatto rientrare tra i «clienti di fascia elevata». Infine l’istante deduce che l’accoglimento della tesi dell’inadempimento contrattuale «comportava la possibilità per la Corte territoriale di valutare il concorso di colpa del creditore ai sensi dell’art. 1227 c.c.».
3.1. — Anche in questo caso il motivo è infondato.
Anzitutto, non hanno attinenza al tema della risoluzione contrattuale, e non possono quindi incidere sulla legittimità dell’impugnata statuizione risolutoria, le deduzioni svolte dalla ricorrente con riguardo al nesso causale (tra l’inadempimento e il danno) e al concorso del creditore nella causazione del pregiudizio ex art. 1227 c.c.. Tali profili, difatti, rilevano sul diverso piano del risarcimento del danno e concernono, pertanto, un rimedio giuridico diverso rispetto a quello che si concreta nello scioglimento del vincolo.
Ciò detto, la Corte di appello ha evidenziato che il legislatore ha inteso conferire pregnanza, nell’economia del rapporto, agli obblighi di  comportamento gravanti
sull’intermediario: sicché la violazione di tali obblighi rivestiva carattere di particolare gravità, ed era tale da giustificare, nella fattispecie, la risoluzione del contratto per inadempimento dell’intermediario.
A tale affermazione la ricorrente contrappone rilievi che, per inerire, nuovamente, alla materia degli accertamenti devoluti al giudice del merito, si sottraggono a censura. E’ noto, del resto, che la valutazione della gravità dell’inadempimento ai fini della risoluzione di un contratto a prestazioni corrispettive, ai sensi dell’art. 1455 c.c., costituisce questione di fatto, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito (per tutte: Cass. 30 marzo 2015, n 6401; Cass. 28 giugno 2006, n. 14974).
4. — Il quarto mezzo denuncia ancora — falsa applicazione degli artt. 1453 e 1455 c.c. con riferimento alle disposizioni di cui agli artt. 21, 10co., lett. a), b), d) t.u.f. e 26, lett. e), 28 e 29 reg. Consob n. 11522/98. Vi si afferma che — in base a quanto già dedotto nell’atto di gravame — gli ordini di acquisto impartiti dal controricorrente odierno erano privi di un vero e proprio contenuto negoziale, dovendosi considerare come atti di gestione del contratto di mandato stipulato tra le parti il […]. In conseguenza, l’eventuale accertata violazione degli obblighi imposti dal testo unico non avrebbe consentito la pronuncia di risoluzione dei singoli ordini di acquisto. Secondo il ricorrente, infatti, i singoli ordini di acquisto impartiti dal cliente all’intermediario in base al contratto quadro integravano delle dichiarazioni di volontà prive di natura negoziale e costituivano, pertanto, atti esecutivi posti in essere dal mandatario su incarico del mandante in adempimento del contratto di mandato.
4.1. — Nemmeno tale motivo merita accoglimento.
Il tema della risoluzione dei negozi di investimento è stato affrontato di recente da questa Corte (Cass. 9 agosto 2016, n. 16820; Cass. 27 aprile 2016, n. 8394; Cass. 6 novembre 2014, n. 23717, non massimata), la quale ha concluso nel senso dell’ammissibilità di una domanda orientata in tal senso.
Il Collegio condivide tale conclusione, che offre lo spunto per le seguenti considerazioni.
Le Sezioni Unite, nel prendere in esame il rapporto intercorrente tra il contratto quadro e le successive operazioni che l’intermediario compie per conto del cliente, ha evidenziato come queste ultime, benché possano consistere in atti di natura negoziale, costituiscono pur sempre il momento attuativo del precedente contratto d’intermediazione (Cass. Sez. U. 19 dicembre 2007, n. 26724; Cass. Sez. U. 19 dicembre 2007, n. 26725).
Ribadito questo principio, va precisato che non è il contratto quadro a determinare il singolo investimento o disinvestimento: il contratto quadro definisce il contenuto delle operazioni che potranno essere poste in atto in futuro e determina l’insorgenza di taluni obblighi: ma è con il singolo «ordine» che l’investitore decide quale atto porre concretamente in essere avvalendosi dell’operato dell’intermediario (conferendo, ad esempio, all’intermediario stesso uno specifico mandato avente ad oggetto l’acquisto o la vendita di alcuni prodotti finanziari, oppure concludendo direttamente con detto soggetto contratti relativi a titoli che quegli già detenga nel proprio portafoglio). Appare, pertanto, lontana dalla realtà l’opinione secondo cui il momento negoziale delle singole operazioni di investimento sia da rinvenire nel contratto quadro. In tali termini è da approvare il rilievo, svolto da Cass. 27 aprile 2016, n. 8394, secondo cui le operazioni di investimento sono atti di natura negoziale autonomi rispetto al contratto quadro. Del resto, come si è detto, le Sezioni Unite ammettono che le operazioni poste in atto dopo la conclusione del contratto quadro possano assurgere a veri e propri negozi giuridici.
Deve però subito chiarirsi che nelle operazioni di investimento o disinvestimento vengono in discussione, per l’intermediario, obblighi particolari, che vanno tenuti distinti da quello consistente nel porre in essere l’atto dispositivo indicato dall’interessato: obblighi che, per così dire, si collocano a monte del singolo incarico che viene di volta in volta conferito dal cliente.
Come è noto, l’art. 21 t.u.f. e la normativa secondaria contenuta nel reg. Consob n. 11522/1998 pongono obblighi di comportamento che, al pari di quelli contemplati dalla precedente disciplina — su cui si sono pronunciate le Sezioni Unite nelle sentenze prima citate —, risultano finalizzati al rispetto della clausola generale che attribuisce all’intermediario il dovere di comportarsi con diligenza, correttezza e professionalità nella cura dell’interesse del cliente. Taluni di tali obblighi si collocano nella fase che precede la stipulazione del contratto quadro di intermediazione finanziaria: ciò vale per quello avente ad oggetto l’obbligo di consegnare il documento informativo suirischi generali degli investimenti in strumenti finanziari e per l’obbligo di acquisire le informazioni sull’investitore circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento e la sua propensione al rischio (art. 28, comma 1 , reg. Consob cit.). Altri obblighi hanno invece ragione di configurarsi dopo la conclusione
del contratto quadro: si allude a quello di informazione c.d.attiva, circa la natura, i rischi e le implicazioni della singola operazione (art. 28, comma 2, reg. Consob cit.), a quello che impone all’intermediario di astenersi dal porre in esecuzione operazioni inadeguate (art. 29 reg. Consob cit.) e a quelli che sono correlati alle situazioni di conflitto di interessi (art. 21, comma 1, lett. c, t.u.f., nel testo vigente ratione temporis, e art. 27 reg. Consob cit.).
Circoscrivendo l’attenzione agli obblighi di informazione attiva, gli stessi vengono dunque in questione dopo la stipula del contratto quadro.
Può sostenersi, altresì, che essi valgano a definire l’oggetto dell’impegno contrattuale dell’intermediario ogni qual volta si tratti di porre in atto specifiche operazione di investimento. Il contratto quadro, difatti, programma futuri negozi di investimento: questi ultimi, in base all’integrazione del comando normativo (art. 1374 c.c.), non consistono nel semplice conferimento all’intermediario dell’incarico di porre in essere una data operazione, ma vincolano, altresì, l’intermediario stesso alla spendita di una specifica attività informativa che è funzionale al corretto apprezzamento, da parte dell’interessato, della natura, del contenuto e dei rischi di quella stessa operazione finanziaria che si vorrebbe compiere.
In detta prospettiva l’obbligo informativo viene a modellare lo schema contrattuale del singolo negozio di investimento; la funzione economico-sociale del contratto di investimento non andrà dunque riguardata attribuendo rilievo alla sola vicenda traslativa voluta dal disponente: concorrerà a delineare tale funzione anche il preventivo esercizio di un’attività informativa da parte dell’intermediario. In tal senso, va condiviso il rilievo, formulato in dottrina, per cui i contratti di investimento avrebbero struttura complessa, rivestendo in essi l’intermediario sia il ruolo di ausiliario nella scelta (dell’operazione da compiersi), sia quello di mandatario nell’esecuzione dell’acquisto e nel ritrasferimento (del prodotto finanziario).
Il deficit informativo rileverà, dunque, proprio in termini di inadempimento dell’intermediario a un obbligo cui lo stesso é tenuto in vista del compimento dell’atto dispositivo.
E’ escluso, invece, che — guardando al singolo contratto di investimento — la responsabilità dell’intermediario possa essere relegata nell’area della responsabilità precontrattuale: una tale conclusione potrebbe certo sostenersi ove si reputasse che gli obblighi di informazione attiva (che attengono al singolo strumento finanziario) si delineino nella fase che precede la conclusione del contratto diretto alla negoziazione del titolo. Ma la disciplina legislativa e regolamentare non impone di considerare l’esistenza di negozi di investimento cui sia estraneo l’obbligo, da parte dell’intermediario, di rendere edotto l’investitore delle connotazioni specifiche dell’operazione finanziaria. Appare, anzi, rispondente alle prescrizioni della normativa, primaria e regolamentare, l’idea che nella fase attuativa del contratto quadro si configurino negozi di contenuto complesso, in cui l’intermediario debba prima rappresentare all’investitore le caratteristiche e le implicazioni della singola
operazione e poi, se del caso, porre in essere quest’ultima. E appare, ancora, conforme non solo ai dettami della detta normativa, ma anche alle finalità che la ispirano, ritenere che, nell’economia della singola operazione, l’obbligo informativo assuma rilievo determinante, essendo diretto ad assicurare scelte di investimento realmente consapevoli: per modo che in assenza ,di un consenso informato dell’interessato il sinallagma del singolo negozio di investimento manchi di trovare piena attuazione, giustificandosi, per tale via, la risoluzione per inadempimento del medesimo.
5. — Il quinto motivo contiene una censura di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, con riferimento all’applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 21, 1° co., lett. a), b), d) t.u.f. e 26, lett. e), 28 e 29 reg. Consob n. 11522/98. Deduce la ricorrente che l’investitore si era limitato a invocare un rapporto di causalità fra l’omessa informazione e il danno senza provare il nesso eziologico tra l’inadempimento e il pregiudizio patrimoniale: con ciò aveva mancato di assolvere all’onere processuale posto a suo carico dall’art. 23 t.u.f.. Osserva, infatti, che l’investitore che deduca la violazione dell’obbligo di informazione debba provare tale nesso causale e dimostrare, quindi, anche a mezzo di presunzioni, che ove fosse stato esaurientemente informato il cliente avrebbe desistito, in tutto o in parte, dall’operazione finanziaria.
5.1. — La censura non coglie nel segno.
L’istante sembra supporre che la condanna di cui essa è destinataria abbia natura risarcitoria, mentre nulla lo lascia supporre. Infatti, nella sentenza impugnata non si fa cenno ad una liquidazione dei danni in favore di […]: si legge, invece, che il Tribunale ebbe a dichiarare risolti per inadempimento i due «contratti di acquisto» (e cioè i due ordini) e a condannare la convenuta al pagamento dello stesso importo sborsato per procacciarsi i bond Cirio. Proprio la condanna al pagamento di una somma determinata — e non già al risarcimento del danno liquidato in un dato ammontare — appare coerente con una pronuncia di contenuto restitutorio: con una pronuncia, cioè, volta a regolare l’effetto più diretto e naturale della risoluzione.
Ne consegue che, anche in questa circostanza, le deduzioni svolte con riguardo al nesso causale non appaiano conferenti.
6. — Con il sesto mezzo è sempre dedotto l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, con riferimento agli artt. 21, 1° co., lett. a), b), d) t.u.f. e 26, lett. e), 28 e 29 reg. Consob n. 11522/98. Rileva la ricorrente di aver domandato, nella precorsa fase di merito, il rigetto della pretesa attorea ovvero la riduzione del quantum. In particolare, la banca, con il proprio gravame, aveva evidenziato: che dalla somma di € 250.000,00, per cui era stata pronunciata condanna, andava detratto l’importo di € 18.750,00 percepita da […] il 5 novembre 2001 per pagamento di una cedola; che doveva essere disposta la restituzione, in favore di essa banca, dei titoli per cui è causa; che in data 3 marzo 2006 la procedura commissariale della Cirio aveva rimborsato al controricorrente la somma lorda di € 2.311,39.
6.1. — Il motivo non si confronta con la pronuncia impugnata e va disatteso.
La Corte di appello ha ritenuto inammissibili le domande avanzate per la prima volta in appello dalla banca in ordine alla condanna dell’appellato alla restituzione dei titoli, nonché alla detrazione, dal’importo di € 250.000,00, delle somme versate all’odierna controricorrente quale cedola dei detti titoli e quale rimborso da parte della procedura commissariale della Cirio.
[…] oppone, nella presente sede, che la Corte di merito sarebbe incorsa nell’omesso esame di un fatto decisivo, asserendo che il giudice del gravame avrebbe dovuto tener conto di quanto da essa dedotto e rilevando che nella specie venivano in discorso le conseguenze della disposta risoluzione (il venir meno del contratto comportando la caducazione di tutti gli effetti dello stesso).
In tal modo, però, la ricorrente non ha efficacemente censurato la ratio decidendi della statuizione adottata, che poggia sulla rilevata novità, in appello, delle richieste formulate.
Denunciare, infatti, l’omesso esame di un fatto decisivo significa non misurarsi con il contenuto della decisione, che nella specie si è arrestata alla constatazione della inammissibilità delle deduzioni qui riproposte.
7. — Il ricorso è dunque infondato […]