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FATTO E DIRITTO
1.- […] e […] ricorrono per cassazione nei confronti della […], articolando due motivi avverso la sentenza resa dalla Corte di Appello di Venezia in data 21 febbraio 2014, in via di conferma di quella emessa nel primo grado del giudizio dal Tribunale di Padova, n. 1599/2007.
Con l’indicata pronuncia, la Corte territoriale ha escluso che – con specifico riferimento a un’operazione di acquisto di titoli emessi dallo Stato argentino, intervenuta il 9 maggio 2001 – la Banca abbia violato gli obblighi di informazione dei clienti che il vigente sistema normativo dei servizi di investimento pone a suo carico. La stessa pure ha escluso che comunque il comportamento tenuto dalla Banca abbia posseduto incidenza causale sul comportamento tenuto degli attuali ricorrenti in punto di acquisto dei detti titoli.
Nei confronti del presentato ricorso resiste la Banca, che ha depositato apposito controricorso.
I ricorrenti […] e […] hanno anche depositato memoria ex art. 380 bis cod. pro. civ. 2.- I motivi di ricorso denunziano i vizi che qui di seguito vengono richiamati. Il primo motivo (ricorso, p. 7) assume, in particolare, «violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 21 comma 1 lett. a. e lett. b. d.lgs. n. 58/98, 28 e 29 Regolamento Consob n. 11522/98, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 3».
Il secondo motivo (p. 24) lamenta, a sua volta, «violazione e falsa applicazione dell’art. 23, comma 6, d. Igs. n. 58/98 e art. 1453 cod. civ., ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 3».
3.- Il primo motivo di ricorso riguarda il tema del rispetto, da parte della Banca, degli obblighi di informazione che la legge pone in capo agli intermediari, con specifico rifermento all’operazione in titoli argentini del maggio 2001.
4.- Secondo la pronuncia della Corte di Appello, i detti obblighi sono stati effettivamente assolti perché – trattandosi nella specie di contratto di deposito e amministrazione titoli non di contratto di gestione di portafoglio di investimento – «l’intermediario non è tenuto ad informare della perdita di valore dei titoli verificatasi in data successiva all’acquisto». E perché, con riferimento appunto «al momento dell’investimento», «la consegna del documento sui rischi generali in investimenti finanziari era da ritenersi sufficiente» a livello di fattispecie concreta: si trattava «di risparmiatori consapevoli e avvezzi agli investimenti finanziari a rischio»; l’«investimento obbligazionario di cui è causa rappresentava il 30%, che costituiva una percentuale assai contenuta rispetto al patrimonio depositato presso l’Istituti di credito».
5.- I ricorrenti contestano, dal canto loro, la sufficienza, rilevanza e correttezza di tali assunti. In particolare, essi segnalano che, «contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di merito, non hanno lamentato il mancato assolvimento di tali obblighi propri del contratto di gestione di portafogli». Hanno contestato, per contro, l’«omessa fornitura, all’atto della negoziazione circa natura, rischi ed implicazioni che caratterizzavano le obbligazioni argentine».
La sentenza della Corte – specificano ancora – ha in realtà «mancato di cogliere che l’onere informativo di cui all’art. 28, comma 2, Reg. Consob n. 11522/98 … è una disposizione di carattere generale, valevole per qualsiasi servizio di investimento» con riguardo al tempo di effettuazione dell’investimento; e pure ha omesso di considerare, altresì, che «l’informazione ex art. 28 … deve essere sempre garantita al risparmiatore, costituendo attuazione dell’obbligo di curare l’interesse del cliente (art. 21 TUF)».
6.- Il motivo è meritevole di venire accolto. La motivazione addotta dalla sentenza impugnata trascura del tutto il punto della specifiche informazioni sui titoli oggetto di investimento anche con rifermento al tempo dell’acquisto, in cui l’investimento si è cioè nel concreto formato. Del resto, a tale aspetto neppure accenna – neanche per indicare mere circostanze fattuali – il controricorso presentato dalla Banca. Sì che la pronuncia viene a porsi in frontale contrasto con il disposto dell’art. 28 del Regolamento Consob n. 11522/1997.
In effetti, il carattere generale della regola enunciata in detta disposizione – il suo riferirsi cioè a tutti i tipi di servizi di investimento – risponde a un consolidato orientamento di questa Corte. Si veda così, per il riferimento della norma anche al contratto di deposito titoli in amministrazione, la recente pronuncia di Cass., 3 luglio 2017, n. 16318. Pure fermo nella giurisprudenza di questa Corte è, d’altra parte, che le informazioni da trasmettere al cliente debbono essere concrete e specifiche, come propriamente ritagliate sul singolo prodotto di investimento; e che le stesse vanno date comunque, in via indipendente dalle peculiari caratteristiche di esperienza dell’investitore e di peso dell’investimento rispetto al patrimonio complessivamente investito (di là dell’intrinseca non plausibilità della rilevazione della Corte, per cui un investimento del 30% del depositato rappresenterebbe una percentuale «assai contenuta»). Si vedano, tra le più recenti espressioni di questo orientamento, Cass., 23 settembre 2016, n. 18702; Cass., 3 aprile 2017, n. 8619; Cass., 31 agosto 2017, n. 20617; Cass., 23 maggio 2017, n. 12937; Cass., 31 marzo 2017, n. 8314.
7.- Il secondo motivo di ricorso viene a riguardare il punto del nesso di causalità tra il comportamento della banca e il pregiudizio subito dagli investitori, come rilevante in relazione alla domanda risarcitoria che questi ultimi hanno formulato nei confronti della prima.
8.- Secondo la decisione della Corte territoriale, anche «un eventuale carente assolvimento degli obblighi informativi non sarebbe stato idoneo a costituire una presunzione di attribuibilità causale degli investimenti al difetto di informazione». «L’investitore» – così si viene a puntualizzare – «deve dimostrare, sia pure ricorrendo a presunzioni, che il pregiudizio subito per l’acquisto di titoli nella specie obbligazionari sia dipeso dal comportamento dell’istituto di credito e non anche dalla sua scelta di investire in titoli speculativi»: «prova che nella specie non è stata in alcun modo fornita dagli appellanti».
9.- I ricorrenti censurano questa impostazione. A loro avviso, «la Corte di merito, per assolvere l’intermediario dalla responsabilità addebitatagli dal risparmiatore, non può limitarsi, come invece ha fatto la Corte lagunare, a sostenere che manca la prova dell’inadempimento dell’intermediario o della sua negligenza, ma deve accertare che sussista effettivamente la prova positiva della sua diligenza e dell’adempimento delle obbligazioni poste a suo carico. In mancanza, egli dovrà condannarlo al risarcimento degli eventuali danni causati».
10.- La questione sottoposta all’esame di questa Corte si concentra, dunque, sulla distribuzione degli oneri probatori rispetto alla materia costituita del nesso di causalità.
Rispetto alla quale non può venire a convincere, a ben vedere, la sostanza del ragionamento compiuto dalla Corte territoriale (cfr. sopra, n. 8 all’inizio), secondo cui il comportamento in concreto tenuto dall’intermediario – di adempimento degli obblighi informativi ovvero di inadempimento – lascia, per questo profilo della ripartizione della prova, le cose come stavano, manifestandosi fattore non rilevante in proposito.
In realtà, la mancata prestazione dell’informazione, che risulta dovuta dall’intermediario ingenera una presunzione di riconducibilità ad essa dell’operazione. Ad indicarlo sta, propriamente, l’insieme normativo costituito dagli artt. 21 e 23 TUF, come pure arricchito dalla disciplina dettata dal Regolamento intermediari predisposto dalla Consob. La prescrizione (legale e poi regolamentare) di peculiari e pregnanti doveri informativi a carico degli intermediari e nell’interesse dei clienti risparmiatori, con riguardo ai particolari titoli di cui ai possibili investimenti, attinge a propria ragione di essere la funzione di orientare i clienti medesimi verso scelte di investimento che siano consapevoli e ragionevoli, non già casuali o comunque di segno irresponsabile. Il comportamento dell’intermediario che trascura di onorare scrupolosamente i propri compiti di informazione del cliente, dunque, si manifesta, in sé stesso, come fattore di «disorientamento» del risparmiatore; di uno scorretto orientamento di questi verso le scelte di investimento, cioè. Ancora prima, sotto il profilo logico: nel disegno normativo del TUF e del Regolamento intermediari, il comportamento in concreto tenuto dall’intermediario in punto di informazione del prodotto viene di per sé assunto come uno dei momenti costitutivi – sul piano strutturale – delle singole decisioni di investimento che vengono assunte dal risparmiatore. Il che tuttavia in concreto non esclude, com’è del resto naturale, la possibilità di una prova contraria che provenga dall’intermediario. Una simile prova viene propriamente ad atteggiarsi, più nello specifico, come prova positiva di sopravvenienze che risultino in sé atte a deviare il corso della catena causale emergente dal vigente sistema normativo delineato dalla disciplina di settore; in ogni caso non potendosi trascurare, nel complessivo esame della fattispecie, la presenza e il peso di una disciplina normativa specifica, come appunto relativa al settore dei servizi di investimento, di impronta conformativa (anche) delle obbligazioni risarcitorie degli intermediari.
11.- Lo svolgimento argomentativo appena sopra sintetizzato risulta conforme all’indirizzo che è prevalente nella attuale giurisprudenza di questa Corte.
Tra le altre, si possono confrontare in questa segnata prospettiva, le pronunce di Cass., 17 novembre 2016, n. 23417 (per cui il mancato rispetto degli obblighi di informazione «comporta un alleggerimento dell’onere probatorio gravante sull’investitore ai fini dell’esercizio dell’azione risarcitoria: non nel senso che il danno dall’inadempimento degli obblighi informativi possa rivelarsi in re ipsa, ma in quello più limitato di consentire l’accertamento in via presuntiva del nesso di causalità»); di Cass. 3 giugno 2016, n. 11466; di Cass., 18 maggio 2017, n. 12544; di Cass., 7 giugno 2017, n. 14166; di Cass., 31 gennaio 2014, n. 2123.
Lo stesso orientamento viene, d’altra parte, a trovare una significativa rispondenza nella giurisprudenza che questa Corte è venuta a formato in relazione alla domanda risarcitoria proposta dall’assicurato (ai sensi dell’art. 33 comma 2 della legge 10 ottobre legge 1990, n. 230) nei confronti dell’impresa di assicurazione sanzionata dall’Autorità garante per avere partecipato a un’intesa anticoncorrenziale. Si veda, in modo particolare, la recente pronuncia di Cass., 20 maggio 2014, n. 11904, che ha ribadito come, «in tale situazione, provata l’intesa anticoncorrenziale e provata la stipula di una polizza, il nesso di causalità giuridica può essere escluso soltanto se l’assicuratore prova la sopravvenienza di fatti idonei di per sé soli a determinare l’aumento dei premi».
12.- In definitiva, va accolto anche il secondo motivo di ricorso, oltre al primo motivo di ricorso[…]