Corte di Cassazione, Sez. 1, Sentenza n. 11418 del 1998, dep. il 12 novembre 1998

 

[…]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione del 1 settembre 1994 […] proponeva appello avverso la sentenza non definitiva del Tribunale di Rovereto in data 9 marzo – 15 aprile 1994 con la quale era stato dichiarato che l’immobile da lei acquistato il 10 aprile 1984 era divenuto oggetto di comunione legale con il coniuge […]. Si deduceva nell’atto di impugnazione che la […] ed il […] si erano separati consensualmente nel 1979 e che successivamente, nel 1980, si erano riconciliati ed avevano ripreso la convivenza fino al 1985, quando si erano nuovamente e definitivamente separati con provvedimento omologato dal tribunale competente. E poiché l’acquisto era intervenuto in un momento in cui per effetto della prima separazione il regime patrimoniale era quello della separazione dei beni, l’immobile non poteva considerarsi caduto in comunione.
Costituitosi il contraddittorio, con sentenza del 9 luglio – 2 settembre 1996 la Corte di Appello di Trento rigettava l’impugnazione, osservando che la cessazione degli effetti della separazione personale a seguito della riconciliazione, ai sensi dell’ art. 157 c.c., non può intendersi limitata al campo personale e che pertanto il ripristino del regime di comunione, con efficacia ex nunc, è da ritenere conseguenziale al mero fatto della riconciliazione, senza la necessità di un’apposita convenzione. Richiamava a sostegno di tale interpretazione la natura intrinsecamente provvisoria dello stato di separazione, la mancata previsione di forme di pubblicità per i provvedimenti di omologazione e per le sentenze di separazione personale, nonché il rilievo che nella fase successiva alla riconciliazione si pongono le stesse esigenze di tutela del coniuge più debole che hanno indotto il legislatore della riforma a delineare quello della comunione dei beni come il regime ordinario della famiglia.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la […] deducendo quattro motivi.
Resiste con controricorso il […].

MOTIVI DELLA DECISIONE
Va innanzi tutto disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di procura speciale ai sensi dell’art. 365 c.p.c., non contenendo il mandato al difensore alcuno specifico riferimento al giudizio di cassazione : ed invero l’apposizione della procura – che peraltro risulta rilasciata nella stessa data di redazione del ricorso ed in data precedente alla notifica di esso – a margine del ricorso vale a conferirle il requisito di specialità richiesto dalla legge. Costituisce giurisprudenza consolidata di questa Suprema Corte che detto requisito è assicurato dall’inscindibile collegamento tra la procura ed il ricorso, in quanto parti integranti del medesimo documento, così che deve considerarsi del tutto irrilevante che la formula adottata non contenga uno specifico riferimento al giudizio di legittimità ( v, per tutte in tal senso Cass. S.U. 1998 n. 2646 e n. 2642 ; Cass.1997 n. 2842 ; 1996 n. 10498 ; 1996 n. 8896 ; 1996 n. 8372 ; 1996 n. 5092).
Con il primo motivo , denunciando violazione ed errata applicazione degli artt. 150, 151, 157, 158, 191, 159 c.c., omissione ed insufficienza di motivazione, si deduce che la sentenza impugnata, nell’affermare che la riconciliazione vale di per sè a determinare la ricostituzione del regime di comunione dei beni, non ha tenuto conto della differente disciplina dettata dal legislatore in relazione alla separazione consensuale ed a quella giudiziale e del diverso tipo di intervento del giudice nei due procedimenti, nonché della circostanza che l’art. 157 c.c., nel prevedere la cessazione degli effetti della separazione, si riferisce espressamente soltanto agli effetti della relativa sentenza e non detta alcuna disposizione in ordine alla separazione consensuale. Si argomenta pertanto che la ripresa della convivenza non elimina detta separazione, ne’ tanto meno il regime patrimoniale di separazione dei beni.
Con il secondo motivo, denunciando violazione ed errata applicazione dell’art. 162 c.c. in relazione all’art. 191 c.c. ed insufficienza di motivazione, si censura la pronunzia impugnata per non aver considerato che nell’atto di acquisto la […] aveva dichiarato di essere separata dal coniuge e che nessuna convenzione matrimoniale era intervenuta tra le parti dopo la riconciliazione: si rileva al riguardo che ai sensi dell’art. 162 c.c. le convenzioni matrimoniali devono essere stipulate per atto pubblico a pena di nullità, tranne che al momento della celebrazione del matrimonio, quando le parti possono operare la scelta del regime di separazione, onde non può ravvisarsi un’automatica restaurazione della comunione una volta intervenuta la cessazione di detto regime, in assenza di una diversa convenzione da stipulare per atto pubblico.
Con il terzo motivo, denunciando violazione ed errata applicazione degli artt. 191 e 157 c.c. ed omissione ed insufficienza di motivazione, si deduce che lo scioglimento della comunione non è un effetto proprio della sentenza, bensì dello stato di separazione, e che prtanto non può ritenersi ricompreso tra gli effetti richiamati dall’art. 157 c.c.
Con il quarto motivo, denunciando violazione ed errata applicazione degli artt. 159, 162 , 191 c.c., nonché omessa motivazione, si deduce che l’art. 159 c.c. pone il regime di comunione dei beni come espressione di un’opzione del legislatore solo con riferimento all’atto della celebrazione del matrimonio e che pertanto la comunione dei beni a seguito di riconciliazione non può non derivare da una scelta personale e cosciente, da esprimere secondo i criteri formali dettati dall’art. 162 c.c. Si aggiunge che la dichiarazione resa dalla […] al momento della stipula del contratto di essere in regime di separazione valeva a comprovare che la medesima non aveva inteso ricostituire la comunione dopo la riconciliazione. I motivi così sintetizzati vanno esaminati congiuntamente , per la loro connessione logica, concernendo tutti, sotto diversi profili, l’unica questione degli effetti sul regime patrimoniale dei coniugi della riconciliazione intervenuta dopo la pronuncia definitiva di separazione ovvero dopo l’omologa di quella consensuale.
La questione, sulla quale non risultano precedenti specifici di questa Suprema Corte , è variamente risolta in dottrina, sostenendosi da alcuni Autori che a seguito della riconciliazione viene automaticamente a ripristinarsi il regime di comunione esistente prima della separazione, con efficacia ex tunc; ritenendosi da altri che per effetto dell’evento in discorso si realizza una nuova comunione, con oggetto diverso, senza alcuna retroattività ;
ravvisandosi ancora da altri l’impossibilità di collegare la reviviscenza di detto regime ad un evento per il quale non solo non è prevista alcuna forma di pubblicità, ma che anzi si configura come estremamente difficile da accertare da parte dei terzi , potendo realizzarsi, così come sovente si realizza, anche con comportamenti concludenti.
In quest’ultima prospettiva , seguendo una linea argomentativa che tende a privilegiare le esigenze di tutela dei terzi e di certezza circa la situazione patrimoniale della famiglia , si afferma che la separazione dei beni conseguente all’intervenuta separazione personale è reversibile soltanto con un’apposita convenzione matrimoniale con la quale si ripristini il regime di comunione. La prima tesi, peraltro nettamente minoritaria, circa l’efficacia retroattiva della riconciliazione, appare agevomente da disattendere, sulla base dell’evidente rilievo che la riconciliazione , quale fatto sopravvenuto, non può valere a cancellare gli effetti medio tempore prodotti dalla situazione che aveva determinato la cessazione della comunione.
Quanto alle altre soluzioni prospettate, dirette a sostenere la prima ed a negare la seconda l’automaticità dell’effetto ricostitutivo della comunione legale a seguito della riconciliazione, ritiene questa Corte che una corretta e coordinata lettura delle norme disciplinatrici della materia induca a ravvisare l’efficacia utomatica del ripristino della comunione tra le parti. Va innanzi tutto considerato che nella disciplina dettata dalla legge di riforma del diritto di famiglia , ispirata al canone sovraordinato della parità delle posizioni dei coniugi, la comunione legale dei beni costituisce puntuale applicazione del principio fondamentale di uguaglianza , idonea a riempire il concetto formale di contenuto sostanziale , mentre la separazione dei beni non è più il regime legale, ma l’effetto di una apposita convenzione degli stessi coniugi, che da un lato ne esprime l’intenzione di evitare commistioni di patrimoni, dall’altro , su un piano economico – sociale, tende a ricollegarsi statisticamente ad una situazione fattuale in cui entrambi i coniugi dispongono di proprie e distinte fonti di reddito ( così Cass. 1994 n. 910, ord.). È altresì noto che la riconciliazione , disciplinata quanto agli effetti dagli artt. 154 e 157 c.c., consiste nella ricostituzione del consorzio familiare nell’insieme dei suoi rapporti materiali e spirituali, animata dal proposito di dare nuova vita al vincolo coniugale, ponendo fine allo stato di separazione in atto ( v. per tutte Cass. 1993 n. 11722; 1987 n. 3053 ; 1987 n. 72 ; 1983 n. 6860 1983 n. 2058) E se pure è vero che nello spirito della riforma del diritto di famiglia la separazione non si configura più come una situazione patologica ontologicamente transitoria , nella prospettiva – che aveva ispirato la disciplina codicistica – di una difesa ad oltranza della famiglia ed in vista della ricomposizione dell’unione coniugale , ma come rimedio ad una convivenza divenuta intollerabile o tale da arrecare grave pregiudizio all’educazione della prole, e quindi si sostanzia in un titolo autosufficiente di cessazione della convivenza , suscettibile di sfociare in un successivo divorzio o anche di protrarsi indefinitamente ( v. sul punto Cass. 1994 n. 10512) – onde le difformi argomentazioni al riguardo espresse nella sentenza impugnata sono certamente da disattendere – è tuttavia altrettanto vero che l’evento riconciliativo si configura come vicenda diretta a rimuovere detto stato , tanto che ai sensi dell’art. 157 cpv. c.c. possono essere presi in esame, quali unici fatti e comportamenti potenzialmente determinanti una nuova separazione, solo quelli successivi alla riconciliazione. Appare pertanto del tutto aderente al sistema delineato dal legislatore della riforma che , posta nell’art. 191 c.c. la separazione personale come causa dello scioglimento della comunione dei beni , si ripristini automaticamente tra le parti, una volta rimossa con la riconciliazione la causa di scioglimento della comunione, quel regime di comunione originariamente adottato , esclusa ovviamente ogni retroattività per gli acquisti effettuati durante il periodo di separazione.
Nè appare condivisibile la tesi di quegli Autori che ritengono debba distinguersi nell’ambito degli effetti della sentenza di separazione, al fini dell’ art. 157 c.c., tra quelli permanenti ( come l’autorizzazione a vivere separati, l’affidamento dei figli o l’attribuzione dell’assegno ) , destinati a cessare con la riconciliazione, e quelli istantanei ( come appunto la cessazione del regime legale dei beni ) , che in quanto usciti dalla disponibilità delle parti non sarebbero più caducabili , argomentando a sostegno di tale distinzione che la separazione dei beni conseguente alla separazione personale non è un effetto proprio della sentenza, o quanto meno non ne è un effetto diretto e immediato, in quanto discende non dalla sentenza, ma direttamente dalla legge , che lo ricollega alla sentenza .
Ed invero l’ampia formulazione dell’art. 157 c.c. e la mancanza di qualsiasi indicazione in termini limitativi della sua operatività inducono a ravvisare in detta disposizione un principio generale – peraltro in piena coerenza con la natura e la portata del fatto determinativo – secondo il quale con la riconciliazione vengono meno tutti gli effetti della separazione.
Nè vale in contrario rilevare che dagli artt. 162 e 163 c.c. si desume che le convenzioni nel corso del matrimonio dirette a modificare il regime esistente devono essere stipulate con atto pubblico , atteso che nell’ipotesi di riconciliazione il regime di riferimento per la sua eventuale variazione non si identifica con quello di separazione derivante ex lege dalla separazione personale ed ormai travolto dalla riconciliazione, bensì in quello scelto all’atto del matrimonio.
Non può peraltro essere condiviso l’assunto, sostenuto nel primo motivo di ricorso, secondo il quale occorrebbe distinguere tra separazione giudiziale e consensuale, prevedendo l’art. 157 c.c. la cessazione degli effetti della sola separazione giudiziale, e quindi non configurandosi la possibilità di eliminare con la riconciliazione gli effetti di quella consensuale sul piano del regime patrimoniale: ed invero una distinzione siffatta non ha alcun fondamento normativo ne’ alcuna ragione logica, operando pacificamente la riconciliazione in ogni caso di separazione personale e d’altro canto non ravvisandosi ne’ sul piano sostanziale nè su quello processuale elementi distintivi tra i due tipi di separazione personale tali da indurre a differenti soluzioni della questione in esame.
In tale quadro normativo appare evidente che, operando il ripristino del regime di comunione come effetto diretto della legge, un’eventuale dichiarazione del singolo coniuge contraente , all’atto della stipula di un contratto in data successiva alla riconciliazione, di trovarsi in regime di separazione dei beni – come quella resa nella specie dalla […] – non può valere ad incidere su tale effetto.
Esistono indubbiamente esigenze di tutela dei terzi che pure il legislatore della riforma ha in certa misura avvertito, dettando un ampio sistema di garanzie attraverso la pubblicità derivante dall’annotazione a margine dell’atto di matrimonio sia delle convenzioni matrimoniali ( art. 162 e 163 c.c. ) , che della sentenza che pronunzia la separazione giudiziale dei beni ( art. 193 c.c.):
sistema che ovviamente non elimina, ma si aggiunge a quello generale di trascrizione nei pubblici registri stabilita per i beni immobili ed i beni mobili registrati, anche con riferimento allo scioglimento della comunione ( art. 2647 c.c.). Emerge peraltro un’evidente incompletezza del regime di pubblicità dettato dalla normativa in esame, in quanto mentre le cause di scioglimento della comunione elencate nell’art. 191 c.c. sono soggette ad annotazione a margine degli atti dello stato civile , comprese le sentenze di separazione personale ( atteso che ai sensi dell’art. 23 della legge n. 74 del 1987 ai giudizi di separazione personale si applicano, in quanto compatibili , le disposizioni di cui all’art. 4 della legge n. 898 del 1970) analoghe forme di pubblicità non sono previste per i fatti estintivi di quelle cause di scioglimento caratterizzate da reversibilità .
E tuttavia le richiamate esigenze di tutela dei terzi non possono indurre a ravvisare la necessità di atti formali non previsti – ne’ desumibili analogicamente, configurandosi le disposizioni che prescrivono la forma come norme di stretta interpretazione -, che potrebbero peraltro vanificare o quanto meno limitare il riespandersi di quel regime di comunione che integra una delle scelte fondamentali del legislatore della riforma e che si pone come regime ordinario, evitabile solo con apposite convenzioni.
Restano ovviamente aperti i problemi – ne’ è questa la sede per individuare la loro soluzione, vertendosi nella specie unicamente in tema di efficacia tra i coniugi dell’acquisto effettuato da uno solo di essi dopo l’evento riconciliativo – determinati dall’esigenza di dare compiuta conoscibilità al terzi del regime patrimoniale della famiglia , soprattutto ove ricorrano fatti giuridici – come appunto la riconciliazione tra i coniugi – in ordine al quali non è prevista alcuna forma di pubblicità nei registri dello stato civile. Dei principi innanzi richiamati la Corte di Appello ha fatto corretta applicazione, affermando che l’immobile acquistato dalla […] in epoca successiva alla riconciliazione doveva ritenersi oggetto di comunione con il coniuge.
Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
[…]