Corte di Cassazione, Sez. 1, Sentenza n. 15395 del 2013, dep. il 19/06/2013

 

[…]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. […] interponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma che aveva rigettato le sue domande aventi ad oggetto l’accertamento della propria qualità di socia della […] s.a.s. quale unica erede della socia accomandataria […] deceduta il […], di declaratoria della nullità di una Delib. assembleare alla quale non era stata convocata nonché di condanna della società alla corresponsione in suo favore degli utili relativi all’esercizio 1998.
La Corte d’appello di Roma, con la sentenza in epigrafe indicata, in parziale accoglimento dell’appello, ha dichiarato la […] socia della […] in forza di successione a causa di morte nella quota già di […], ed ha dichiarato la nullità della Delib. adottata dalla società stessa il 30 gennaio 1987.
La Corte d’appello ha rilevato: a) che è sostanzialmente incontroverso che la […] sia succeduta, quale unica erede, alla socia accomandataria […] anche perché i convenuti nulla hanno documentato circa il merito di un non meglio chiarito giudizio asseritamente pendente dinanzi al Tribunale di Roma; b) che, se di regola il trasferimento della quota dell’accomandatario esige l’unanimità dei consensi degli altri soci (ai sensi degli artt. 2315, 2293 e 2252 cod. civ.), nulla vieta tuttavia che, a norma dell’art. 2284 cod. civ., il contratto sociale preveda una diversa regolamentazione; c) che nella specie l’art. 5 dell’atto costitutivo – la cui abrogazione successiva al decesso della […] non rileva in questo giudizio – prevedeva che “le quote sono trasmissibili per atto tra vivi o per causa di morte”;
d) che alla accertata qualità di socia della […] consegue anche la nullità della Delib. adottata il 30 gennaio 1987, in quanto non preceduta da convocazione della predetta.
Avverso tale sentenza […], in proprio e quale legale rappresentante della […] s.a.s., nonché i soci […], […] e […] hanno proposto ricorso per cassazione, cui resiste con controricorso […].
I ricorrenti hanno depositato memoria difensiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso si basa su tre motivi.
1.1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano vizio di motivazione in ordine alla qualità di unica erede della […]: la Corte di merito non avrebbe considerato che, nel giudizio di primo grado, essi convenuti avevano dedotto la necessità di accertare l’integrità del contraddittorio instaurato, rilevando che con lettera del 22.12.1998 – prodotta in tale sede – […], sorella della attrice, aveva, quale erede legittima, chiesto la liquidazione della quota sociale della de cuius; che con atto di significazione e diffida del 13.9.1999, l’attrice ed il genitore […] si erano qualificati entrambi eredi legittimi della […]; ed infine che la difesa dell’attrice aveva prodotto l’atto introduttivo e le comparse di costituzione nel giudizio instaurato nel 1999 dinanzi al Tribunale di Roma dalla stessa […] nei confronti della sorella e del genitore per la rivendica della qualità di erede e la divisione dell’asse ereditario, nel quale era compresa la quota sociale qui in questione. Giudizio in relazione alla cui pendenza gli odierni ricorrenti avevano, sia in primo grado che in appello, proposto istanza di sospensione ex art. 295 c.p.c..
1.2. Con il secondo motivo si deduce che la Corte di merito ha dichiarato nulla una Delib. 30 gennaio 1987 invece che la Delib. 19 novembre 1998, come richiesto dalla […], e che ciò non può essere attribuito ad una mera svista bensì integra una pronuncia ultra petita in violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., anche perché la Corte ha accertato in capo alla […] la qualità di socia della “[…] s.a.s. di […]” anziché della “[…] s.a.s. di […]”, come richiesto dalla predetta proprio perché la modifica della ragione sociale (con la nomina del nuovo amministratore) era stata disposta con la Delib. 19 novembre 1998.
1.3. Con il terzo motivo si deduce: a) che, ove la Corte di merito abbia inteso dichiarare la qualità di socia accomandataria in capo alla […], tale statuizione violerebbe gli artt. 2284, 2315 e 2322 c.c. che non consentono la trasmissione iure ereditario del munus di amministratore della società; b) che ove invece si ritenesse che la Corte di merito abbia inteso accertare la sola successione nella qualità di socia, a tale accertamento la […] non avrebbe interesse, giacché ad esso non potrebbe che seguire la liquidazione della quota sociale nella quale afferma di essere subentrata, essendo la società, in mancanza della nomina di un nuovo accomandatario nel semestre successivo al decesso dell’unico accomandatario (alla quale i soci avevano provveduto con la Delib. 19 novembre 1998 dichiarata nulla dalla sentenza stessa), sciolta di diritto, con la conseguente liquidazione della quota alla quale i soci superstiti con la Delib. impugnata avevano già stabilito di procedere.
2. Tali doglianze sono prive di fondamento.
3. Quanto al primo motivo, i ricorrenti sostengono che entrambe le affermazioni espresse nella sentenza impugnata (carattere sostanzialmente incontroverso tra le parti della qualità di unica erede della […] e mancata documentazione della pendenza di un giudizio al riguardo) contrastano con il contenuto delle difese da essi espresse sul punto nel giudizio di primo grado e con vari documenti in quella sede prodotti dalle parti. Non hanno però precisato se le contestazioni in quella sede espresse siano state, ed eventualmente in quale atto processuale e con quali espressioni, da essi riproposte nel giudizio di appello, a norma dell’art. 346 c.p.c. L’unico riferimento generico, rinvenibile nella illustrazione del motivo di ricorso, ad una richiesta di sospensione del presente giudizio ex art. 295 c.p.c. che sarebbe stata dagli odierni ricorrenti formulata “in appello” in via gradata, oltre ad essere inapprezzabile anche perché non trova riscontro nelle conclusioni trascritte in epigrafe della sentenza impugnata, in ogni caso non appare idoneo di per sè a condurre a conclusioni diverse da quelle oggetto di critica. Nè d’altra parte dal riassunto del contenuto dei documenti richiamati in ricorso è dato rilevare la prova della pendenza, al momento della decisione impugnata, del giudizio instaurato circa sei anni prima dinanzi al Tribunale di Roma. Il rigetto del motivo ne deriva dunque di necessità.
4. Quanto al secondo motivo, si mostra infondato l’assunto dei ricorrenti secondo il quale la indicazione della data della Delib. dichiarata nulla non sia da ascrivere ad una mera svista, o errore materiale, della Corte di merito. Premesso che risulta incontroverso tra le parti, anche in questo giudizio di legittimità, che la Delib. oggetto della controversia è stata assunta il 19 novembre 1998 e non il 30 gennaio 1987, va rilevato come, da un lato, a tale assenza di contrasto tra le parti vi sia, nella motivazione, un sia pur indiretto riferimento (cfr. pag. 4), dall’altro la motivazione stessa non contenga alcun elemento dal quale evincere che l’errata indicazione della data sia da ascrivere ad una consapevole scelta o valutazione della Corte di merito in relazione ai dati acquisiti o alle difese delle parti. Non convince del contrario la mera indicazione, contenuta in dispositivo, della ragione sociale modificata con la Delib. del novembre 1998: l’indicazione della attuale ragione sociale trova invero spiegazione con il semplice intento di far risultare chiara – anche ai fini delle annotazioni di legge – la individuazione della società alla quale attribuire la Delib. oggetto della declaratoria di nullità.
Trattandosi dunque non già di pronuncia ultra petita bensì di mera svista o errore materiale, l’impugnazione sul punto è da ritenere inammissibile (cfr. tra molte Sez. L. n. 18090/07) e la relativa correzione dovrà essere domandata al giudice che ha pronunciato la sentenza, a norma degli artt. 287 e ss. cod. proc. civ..
5. Il terzo motivo richiede una risposta articolata.
5.1. In primo luogo va rammentato che questa Corte ha già avuto modo di affermare (cfr. Sez. 1 n. 2632/1993) come la c.d. clausola di continuazione, contenuta nel contratto sociale, che preveda la trasmissibilità a favore dell’erede dell’accomandatario della sola partecipazione sociale, e non anche del munus di amministratore rivestito dal defunto (la cui attribuzione ad una determinata persona designata dai soci costituisce elemento essenziale del contratto sociale della società in accomandita), non sia priva di validità, integrando – in tali limiti – quella legittima facoltà dispositiva in deroga alla regola generale (la liquidazione della quota) prevista dall’art. 2284 cod. civ., che la stessa norma (applicabile alla s.a.s. in base al doppio rinvio previsto dagli artt. 2315 e 2293 cod. civ.) riconosce ai soci in sede di conclusione del contratto sociale (cfr. anche, sotto quest’ultimo profilo: Sez. 1 n. 2815/1976). Tale orientamento, cui il Collegio aderisce, implica che l’erede del socio accomandatario può, in base ad una clausola che preveda la trasmissibilità a causa di morte della quota del de cuius, subentrare in tale qualità di socio accomandatario, pur non subentrando automaticamente nella funzione di amministratore della società che nella accomandita semplice – a differenza di quanto previsto dall’art. 2455 cod. civ. nella accomandita per azioni – non è attribuita di diritto a tutti i soci accomandatari (cfr. Sez. 1 n. 21803/06; n. 5790/1997).
5.2. Tali principi normativi non risultano violati dalla sentenza impugnata, che, da un lato, ha accertato (senza ricevere censure sul punto) che la clausola del contratto sociale della […] s.a.s. prevedente genericamente la trasmissibilità delle quote sociali a causa di morte integra la clausola derogativa della regola generale posta dall’art. 2284 cod. civ.; dall’altro, ha dichiarato che, in forza di tale clausola, […] è subentrata nella sola qualità di socia rivestita dalla defunta genitrice, e come tale doveva essere chiamata a partecipare alla riunione dei soci della quale si discute, sì che, in difetto di tale convocazione, la Delib. adottata in tale riunione deve essere dichiarata nulla.
5.3. Priva di fondamento è infine la (nuova) tesi, esposta nel motivo, secondo la quale a tali pronunce giudiziali la predetta non avrebbe interesse, a norma dell’art. 100 cod. proc. civ.. Posto che l’interesse ad agire va escluso soltanto nel caso in cui la decisione richiesta risulterebbe priva di conseguenze giuridicamente apprezzabili in relazione alla situazione giuridica fatta valere in giudizio (cfr. tra molte: Sez. 2 n. 7635/06; n. 12548/02), si osserva come al richiesto accertamento della contestata qualità di socia non possano negarsi conseguenze giuridicamente apprezzabili per l’attrice, tenendo anche presente che la partecipazione sociale costituisce un bene giuridicamente apprezzabile nel patrimonio del socio pure in presenza di una causa di scioglimento della società (cfr. Sez. 1 n. 2758/12; n. 15944/12), scioglimento che peraltro nella specie costituirebbe una conseguenza ulteriore e solo indiretta della pronuncia di nullità della Delib. impugnata, e produrrebbe effetti non coincidenti con quelli derivanti dalla esecuzione della Delib. stessa.
6. Si impone pertanto il rigetto del ricorso […]