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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza in data 21 novembre 2000, il Tribunale di Roma respinse l’impugnazione, da parte di alcuni soci, della deliberazione della Società cooperativa […]a r.l. in liquidazione, avente ad oggetto l’alienazione di un immobile in cooperativa, alla quale il liquidatore aveva dato seguito con contratto in data 18 settembre 1996 a favore dei signori […] e […]. L’impugnazione era motivata con l’assunto che il bene immobile compravenduto era di proprietà comune dei soci e, a seguito dello scioglimento della cooperativa, dei condomini, per la disposizione del quale era richiesto il consenso unanime dei comproprietari; e che la vendita era viziata dalla violazione delle norme riguardanti il condominio degli edifici.
Contro la sentenza proposero appello i soci […], […], […], […] e […]. Gli appellanti invocavano gli effetti dell’annullamento, da parte della Commissione regionale di vigilanza per l’edilizia popolare ed economica, della deliberazione di esclusione degli appellanti dalla cooperativa emessa nel 1998, e divenuta irrevocabile, che implicava la nullità o annullabilità delle deliberazioni assembleari posteriori, come quella per cui è causa, alla quale i soci illegittimamente dichiarati esclusi non avevano potuto prendere parte,- e deducevano inoltre che il liquidatore poteva compiere solo atti diretti alla liquidazione o definizione dei rapporti in corso, e quindi poteva alienare un immobile solo sul presupposto che la società fosse debitrice.
La Corte d’appello di Roma, con sentenza in data 24 marzo 2005, respinse il gravame. La corte, premesso che l’impugnazione della deliberazione assembleare aveva lo scopo di travolgere l’atto di trasferimento compiuto in esecuzione di essa, considerò che, a norma degli artt. 2278 e 2279 c.c., richiamati dall’art. 2516 c.c., i liquidatori possono compiere tutti gli atti necessari per la liquidazione, con il solo limite del divieto di nuove operazioni. La corte aggiunse che non sussisteva neppure la legittimazione uti soci ad impugnare l’atto di compravendita, perché l’asserita lesione riguarderebbe in ogni caso la sfera giuridica della società, mentre una lesione di un diritto individuale dei concorrenti non era stata neppure prospettata; e tale circostanza valeva ad escludere anche l’esistenza di un concreto interesse all’impugnazione della deliberazione. Peraltro l’unico vizio di quest’ultima, consistito nell’omessa convocazione degli appellanti soci, siccome esclusi in forza di deliberazione che solo in seguito sarebbe stata annullata, non sussisteva, posto che a norma dell’art. 2377 c.c., l’annullamento della deliberazione imponeva in tal caso l’adozione dei provvedimenti connessi all’annullamento, e quindi la reintegrazione dei soci illegittimamente esclusi, ma non l’annullamento di tutte le assemblee successive.
Per la cassazione della sentenza, notificata il giorno 8 luglio 2005 presso il domicilio eletto dagli appellanti, questi ultimi ricorrono con atto notificato il 21 – 24 ottobre 2005, articolato in quattro mezzi d’impugnazione.
La Società cooperativa […] a r.l. in liquidazione resiste con controricorso notificato il 30 novembre 2005, e illustrato con memoria.
Anche i signori […] e […] resistono con controricorso notificato il 29 novembre 2005.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si denunzia l’omessa motivazione della sentenza impugnata sul punto decisivo della controversia, costituito dall’efficacia dell’annullamento, da parte della Commissione regionale di vigilanza per l’edilizia popolare ed economica, della deliberazione d’esclusione degli appellanti dalla cooperativa, emessa nel 1998. La corte territoriale avrebbe omesso di considerare il principio affermato in quella decisione, e cioè che, assegnati definitivamente gli alloggi ai soci ed eseguito il frazionamento del mutuo, la Cooperativa aveva cessato di esistere – con la conseguente necessità della nomina di un liquidatore – e s’era trasformata in condominio. Erroneamente, pertanto, la corte aveva definito la controversia con l’applicazione della normativa delle società.
Con il secondo motivo di ricorso si denunzia la falsa applicazione delle norme societarie al caso in esame. Si censura l’affermazione della corte territoriale che la vendita dei beni sociali rientri nel fine della liquidazione in quanto tende a chiudere i rapporti in corso. Ciò sarebbe illogico, perché un atto di compravendita non può essere presentato come atto diretto alla liquidazione della cooperativa, e si porrebbe in contrasto con il fatto che, a seguito della decisione sopra ricordata della Commissione regionale, dopo l’assegnazione agli ex soci degli alloggi e dopo il frazionamento del mutuo il fabbricato è gestito dal condominio costituitosi a seguito dell’assegnazione della proprietà delle singole unità immobiliari.
Con il terzo motivo di ricorso si denunzia l’omessa e/o contraddittoria motivazione. La corte aveva affermato che il liquidatore ha il compito di compiere tutti gli atti necessari alla liquidazione, ma poi non aveva spiegato se l’alienazione di un bene comune sia atto concesso al liquidatore, e giustifichi l’operazione sotto il profilo della liquidazione di pendenze tributarie mai allegate nel giudizio. Secondo i ricorrenti, solo l’esistenza di obbligazioni da adempiere poteva giustificare la vendita del bene comune.
Con il quarto motivo si denuncia la contraddittorietà della motivazione nel punto in cui la corte territoriale afferma che la vendita del bene comune non può essere annullata in danno dei terzi acquirenti di buona fede. Era stato dimostrato che davanti al notaio rogante gli acquirenti erano stati informati della pendenza della controversia insorta tra i soci riammessi e la cooperativa in liquidazione, con una dichiarazione di assunzione di garanzia allegata dalla cooperativa. La circostanza che, come si afferma nell’impugnata sentenza, la garanzia per evizione sia dovuta per legge non spiega la predetta dichiarazione, specificamente attinente alla questione, della quale si era avvertita la necessità.
I motivi così sintetizzati possono essere esaminati congiuntamente, movendo tutti da un’errata ricostruzione del fenomeno dello scioglimento della cooperativa edilizia. Vero è, infatti, che l’esclusione degli odierni ricorrenti dalla cooperativa era stata annullata dalla Commissione regionale di vigilanza nel 1998, con l’argomento che l’esclusione non era più consentita dopo l’assegnazione degli alloggi e il frazionamento del mutuo; ed è anche vero che il raggiungimento dello scopo sociale, ravvisabile in tale situazione, costituisce causa di scioglimento della società cooperativa. Ma l’errore dei ricorrenti consiste nella confusione tra scioglimento della cooperativa e sua estinzione. Lo scioglimento della società, e dunque anche della società cooperativa, non importa la sua estinzione, bensì esclusivamente l’instaurazione del procedimento di liquidazione, nel corso del quale, dopo la soddisfazione dei creditori sociali, il residuo è distribuito tra i soci nei limiti nei quali ciò è consentito dalla legislazione speciale sulle cooperative, e con l’osservanza delle norme – anche statutarie – in materia. Solo dopo l’integrale liquidazione del patrimonio sociale si danno i presupposti per l’estinzione della società; sicché è certamente escluso che la causa di scioglimento della società possa produrre l’effetto, postulato dai ricorrenti, dell’automatico trasferimento di un bene sociale, quale l’immobile oggetto della controversia, al condominio (vale a dire alla proprietà indivisa per quote dei condomini). Da tali premesse deriva, poi, che l’alienazione dei beni mobili ed immobili compresi nel patrimonio della cooperativa disciolta deve essere eseguita a cura dei liquidatori, nei compiti dei quali è incluso tipicamente tale incombente; che ciò si rende in ogni caso necessario, sia per soddisfare le ragioni degli eventuali creditori sociali, e sia, anche in mancanza di debiti, per provvedere all’eventuale distribuzione tra i soci o devoluzione dell’attivo residuo, nei modi stabiliti dalla legislazione speciale sulle cooperative; che, quanto alla distribuzione, essa deve tener conto delle previsioni statutarie, e può eventualmente, ma non necessariamente, avvenire anche nella forma dell’attribuzione ai condomini in proporzione delle quote millesimali, senza che si possa escludere l’ammissibilità dell’alienazione dell’immobile a terzi e la distribuzione del denaro ricavato; che agli atti a ciò necessari i liquidatori devono provvedere direttamente, non occorrendo l’autorizzazione dell’assemblea la quale, se espressa, resta ininfluente sul punto;
che, prima dell’eventuale attribuzione dell’immobile residuo ai condomini, i soci non sono in ogni caso legittimati ad agire a tutela degli interessi della società, che è rappresentata esclusivamente dai suoi organi sociali, e quindi dai liquidatori; che non è configurabile la mala fede degli acquirenti di un immobile da una cooperativa in liquidazione, per avere confidato nei poteri dei liquidatori che la rappresentavano legittimamente; che solo dopo l’eventuale assegnazione ai condomini, in proporzione dei loro diritti di partecipazione, dell’immobile rimasto nell’attivo della cooperativa dopo il pagamento dei debiti sociali, la gestione di esso è devoluta al condominio costituitosi a seguito dell’assegnazione della proprietà delle singole unità immobiliari.
L’impugnata sentenza, che ha deciso nel rispetto di tali principi, è pertanto immune dalle censure che, nel ricorso, sono formulate movendo da un sostanziale fraintendimento del fenomeno della liquidazione di società, e il ricorso deve essere respinto. […]