Corte di Cassazione, Sez. 1, Sentenza n. 2313 del 2016, dep. il 05/02/2016

[…]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La […] S.p.A. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Roma […]. nonché le Società [….] e […], e, premettendo di esser rimasta aggiudicataria di una gara per la fornitura di pasta destinata ad indigenti per la quale […] le aveva consegnato una partita di grano duro, custodito in […] dalla […], espose che tale grano si era rivelato inidoneo al previsto consumo umano, ma atto all’impiego zootecnico dopo opportuno trattamento, e chiese la condanna dell’Azienda alla restituzione del maggior prezzo pagato per la mancanza delle qualità essenziali del grano, evidenziando di aver conferito alla […] un mandato irrevocabile all’incasso del relativo credito. La domanda fu rigettata dal giudice adito e la decisione fu confermata, nel contraddittorio con […] succeduta all'[…], dalla Corte d’Appello di Roma, che, con la sentenza indicata in epigrafe, dopo aver accertato la sopravvenuta retrocessione del credito, qualificò la domanda come un’actio quanti minoris, ed affermò che la compratrice non aveva provato né di aver richiesto la consegna di grano per uso alimentare umano né l’accettazione di siffatta proposta da parte dell'[…]. La Corte ritenne, quindi, inammissibili, perché proposte per la prima volta in appello, sia l’exceptio doli relativa alla prevista esclusione della garanzia redibitoria, sia l’eccezione relativa alla mancata approvazione per iscritto della clausola esimente, sia, per difetto di sussidiarietà, la domanda d’arricchimento senza causa.
Per la cassazione della sentenza, ha proposto ricorso […], affidato a cinque mezzi. Gli intimati non hanno svolto difese.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, deducendo, ex art. 360, 1° co, n. 3 cpc, la violazione degli artt. 1453, 1492 e 1497 cc, la ricorrente afferma che, nell’ipotesi di asta con gara bandita dall'[…], ricorrente nella specie, “sono appicabili, in via alternativa entrambe le azioni previste sia dall’art. 1453 cc, sia dalle equiparate azioni di cui agli artt. 1490-1492 cc (riduzione del prezzo per vizi della cosa venduta) ovvero dall’art. 1497 cc (aliud pro alio) e che la riduzione del prezzo (espressamente prevista dall’art. 1492 co. 1 cc per i vizi della cosa venduta di cui all’art. 1490 cc) costituisce rimedio applicabile in ogni caso, sia nell’ambito della generale azione di cui all’art. 1453 cc che dell’azione di cui all’art. 1497 cc (aliud pro alio)”, sicché l’omessa pronuncia da parte della Corte d’Appello sulla domanda di risoluzione contrattuale, da lei proposta, ha comportato la nullità del procedimento e della sentenza.
2. Col secondo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art,360, l’ co, n. 3 e 4 cpc, la “violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cpc”, per avere l’impugnata sentenza omesso di pronunciarsi “sull’esistenza dell’obbligo di legge di indicare ove il grano non sia destinabile all’alimentazione umana, il suo utilizzo per uso esclusivamente zootecnico; Regolamento CE 3149/92 in forza del quale il bando di gara è stato emanato”, e per non aver tenuto conto che, in assenza della predetta indicazione, il grano duro indicato nel bando di gara avrebbe dovuto possedere le qualità indispensabili a rendere il prodotto idoneo al consumo e all’alimentazione umana.
3. Col terzo motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 324 cpc, in riferimento all’art. 360, 1° co, n. 3 e 4 cpc, per avere la Corte d’Appello escluso la sussistenza dell’obbligo dell'[…] di consegnare grano per alimenti umani, sul rilievo che non sarebbe stata depositata la sua offerta in tal senso e la nota del 12 marzo 1997 dell'[…], che la avrebbe accettata, quando invece, tali atti erano stati regolarmente depositati rispettivamente al n. 2 e 7 del fascicolo di parte del giudizio di primo grado, circostanze, peraltro, accertate nella sentenza di primo grado, che senza essere sul punto impugnata, aveva respinto la domanda per la rilevata mancanza di assunzione di garanzia da parte dell'[..].
4. Col quarto motivo, la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 cpc, in riferimento all’art. 360, 1° co, n. 3, cpc, evidenziando che i giudici d’appello avevano ritenuto inammissibile l’exceptio doli, in riferimento all’atto di esclusione della garanzia ex art. 1490 cc, nonché l’eccezione relativa alla mancanza di specifica approvazione scritta della supposta clausola esimente, ex art. 1341, co 2, cc, erroneamente omettendo di considerare che: a) il divieto di nuove eccezioni, “riguarda solo ed esclusivamente quelle che comportano la prospettazione di nuove circostanze o situazioni giuridiche, la deduzione di fatti nuovi, l’introduzione nel processo di un nuovo tema d’indagine e di decisione, l’alterazione dell’oggetto sostanziale e dei termini della controversia, in modo da dar luogo ad una allegazione difensiva diversa da quella sviluppata ed esplorata in primo grado; b) la violazione di norme di legge che comportano la nullità di un atto e/o di una clausola, come quelle dell’exceptio doli di cui all’art. 1490 co 2 cc e quelle relative alla clausole vessatorie non sottoscritte ed approvate specificatamente ex art 1341 cc sono rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento”.
5. Col quinto mezzo di deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2042 cc, in relazione all’art. 360, co 1, n. 3 cpc. La ricorrente afferma che la Corte territoriale ha dichiarato inammissibile la domanda d’indebito arricchimento con argomentazione (rigetto della domanda contrattuale proposta per mancanza di prova) laconica ed indecifrabile “integrante a tutti gli effetti una omessa o quanto meno insufficiente motivazione”, in quanto se la domanda ordinaria “fosse accoglibile, andrebbe accolta senza possibilità di esame di quella sussidiaria di indebito arricchimento”.
6. Il primo motivo, pur formalmente dedotto solo in termini di violazione di legge è volto, pure, a censurare, come chiarito dal quesito formulato in tal senso, l’omesso esame della domanda ex art. 1453 cc, domanda che la Corte d’Appello ha ritenuto non esser stata proposta (cfr. Cass. SU n. 17931 del 2013, secondo cui non è, in tal caso, necessaria l’adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica delle predette ipotesi).
6.1. Entrambe le sub censure sono infondate.
6.2. Secondo quanto riferito dalla ricorrente, il bando di gara, emanato ai sensi del Reg. CEE n. 3149/92, ha avuto ad oggetto la fornitura di derrate alimentari (pasta) verso la cessione di un prodotto (grano) da ritirare presso un magazzino d’intervento. Poiché il pagamento della fornitura è stato convenuto mediante il trasferimento di una res, il contratto costituisce una permuta, trovando dunque applicazione, ex art 1555 cc, le norme sulla compravendita. Tanto premesso, va, anzitutto rilevato che la sovrapposizione tra l’ipotesi della mancanza di qualità e la consegna di aliud pro alio, effettuata dalla ricorrente, non è corretta, dato che, secondo il costante indirizzo di questa Corte (cfr. Cass. n. 28419 del 2013; n. 10916 del 2011, n. 26953 del 2008, n. 9227 del 2005, n. 13925 del 2002, n. 2712 del 1999) vizi redibitori e mancanza di qualità -le cui azioni sono soggette ai termini di decadenza e di prescrizione ex art. 1495 cc- si distinguono dall’ipotesi della consegna di aliud pro alio -che dà luogo ad un’ordinaria azione di risoluzione contrattuale svincolata dai termini e dalle condizioni di cui al citato art. 1495 cc- la quale ricorre quando la diversità tra la cosa venduta e quella consegnata incide sulla natura e, quindi, sull’individualità, consistenza e destinazione della stessa, in modo da potersi ritenere che essa appartenga ad un genere del tutto diverso da quello posto a base della decisione del compratore di effettuare l’acquisto, o quando la cosa consegnata presenti difetti che le impediscono di assolvere alla sua funzione naturale o a quella concreta assunta come essenziale dalle parti (c.d. inidoneità ad assolvere la funzione economico-sociale), facendola degradare in una sottospecie del tutto diversa da quella dedotta in contratto. 6.3. L’impugnata sentenza non si è discostata da tali principi, ma si è limitata ad escludere che nel caso concreto fosse stata proposta l’azione di risoluzione del contratto, ed a qualificare la domanda della compratrice come un’ actio quanti minoris.
6.4. Essendo stato dedotta la violazione dell’art. 112 cpc, questa Corte deve procedere direttamente all’interpretazione dell’atto processuale, perché l’omessa pronuncia, al pari dell’ultra l’art. 1497 cc la società non ha poi formulato, com’era in sua facoltà (e non già rimesso alla scelta del giudice, come pare opinare la ricorrente), la domanda di risoluzione del contratto non avendo, appunto, avanzato alcuna istanza in tal senso, ma si è limitata a chiedere la riduzione del prezzo (id est valore della fornitura di pasta) corrisposto per la fornitura del grano (mostrando di voler perseguire un bene della vita compatibile con la modificazione del contratto di vendita (in ispecie, della sua obbligazione), e non già con la sua caducazione, dato che da tale statuizione sarebbero, piuttosto, conseguiti (oltre che i danni) gli obblighi di restituzioni e rimborsi, mai da lei richiesti.
7. Il quarto motivo, che va ora esaminato, perché a carattere assorbente, è infondato.
7.1. Si legge nell’impugnata sentenza che il Tribunale ha rigettato la domanda considerando, tra l’altro, che […] aveva specificamente individuato la partita di grano indicata nel bando in quella giacente in […] nel magazzino della […] ed aveva espressamente escluso qualsiasi garanzia al riguardo. La ricorrente conferma, a sua volta, che la sua domanda è stata rigettata in prime cure “per motivi di diritto costituiti sinteticamente dalla mancata assunzione di garanzia alcuna a riguardo”. La contestazione dell’inefficacia di tale patto, sollevata in appello dalla ricorrente sia sotto il profilo di cui all’art. 1490, co 2, cc che sotto quello di cui all’art. 1341, co 2, cc, è stata ritenuta inammissibile dalla Corte territoriale, perché tardiva, statuizione che la […] afferma erronea, ex 7 art. 345, co 2, cpc, sul presupposto che tali questioni non costituiscano eccezioni in senso stretto e che la violazione dei limiti posti dalle menzionate norme comporti la nullità della clausola di esclusione della garanzia, in quanto tale rilevabile ex officio.
7.2. Il tema d’indagine relativo alla mancata specifica approvazione scritta del patto di esclusione della garanzia (caso che, in effetti, comporterebbe la nullità della clausola) risulta, tuttavia, ultroneo, in quanto la mera predisposizione, da parte di uno dei contraenti, del contenuto contrattuale non giustifica di per sé sola l’automatica applicazione della tutela apprestata negli arti 1341 e 1342 cc, occorrendo, in aggiunta, che tale regolamento risulti predisposto per essere adottato per una serie indefinita di rapporti, ipotesi che all’evidenza qui non ricorre, trattandosi di un singolo bando relativo ad una specifica gara.
7.3. La contestazione circa l’inefficacia del patto di esclusione della garanzia, che l’art. 1490, co 2, cc commina in ipotesi di vizi taciuti in mala fede, costituisce, invece, un’ipotesi di eccezione in senso stretto, vietata in appello, in quanto con essa la ricorrente intende far valere l’esistenza di raggiri impiegati (mediante callido silenzio) per indurla ad accettare la clausola esonerativa di responsabilità, sicchè, quale caso di exceptio doli specialis seu preteriti (denunciando la violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede al tempo della conclusione del negozio) necessita, al pari di un’eccezione di annullamento, di una manifestazione della volontà della parte che intenda avvalersene (cfr. Cass. SU n. 10531 del 2013).
7.4. Quand’anche, tuttavia, volesse assimilarsi la sanzione d’inefficacia di siffatta clausola ad un caso di nullità parziale del contratto, e dunque, per tale via affermarsi la rilevabilità di ufficio da parte del giudice d’appello di tale vizio (e perciò l’ammissibilità della relativa eccezione ex art 345, co 2, cpc), la soluzione non gioverebbe alla ricorrente, tenuto conto che la legge non vieta di escludere o limitare la garanzia per i vizi della cosa venduta, ma ne esclude ogni effetto in dipendenza della mala fede del venditore, di tal chè in tanto sarebbe predicabile la rilevabilità ex officio (argomentando ex Cass. SU n. 26243 del 2014) da parte del giudice d’appello del vizio della clausola, in quanto fosse emerso ex actis (Cass. SU n. 14828 del 2012) o fosse, comunque, acquisito in giudizio il silenzio sui vizi della cosa venduta, mantenuto in mala fede da parte della venditrice permutante, e di tanto non vi è traccia in seno al ricorso e nella sentenza, che, al contrario, dà conto (in narrativa) che […] aveva assegnato alle ditte concorrenti quattro giorni per l’esame diretto della merce, senza che la ricorrente specifichi quando ed in che modo abbia appreso che il grano acquistato era inidoneo all’impiego nell’alimentazione umana.
8. L’esame dei motivi secondo e terzo, relativi alle caratteristiche, dovute per legge e per impegno contrattuale, del grano ceduto resta assorbita, dato che l’esclusione della garanzia redibitoria è, ormai, irrevocabile.
9. Il quinto motivo è inammissibile, perché non corredato da quesito di diritto, ed è comunque infondato.
9.1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 20141 del 2007; Cass. 11067 del 2003; Cass. 16340 del 2002), l’azione generale di arricchimento ha natura complementare e sussidiaria, potendo essere esercitata solo quando manchi un’azione nei confronti dell’arricchito, o di altre persone, che trovi titolo in un contratto o nella legge, talché, contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, si differenzia da ogni altra azione sia per presupposti che per limiti oggettivi ed integra un’azione autonoma per diversità di petitum e causa petendi rispetto alle azioni fondate su titolo negoziale o di altro genere.
9.2. E’, bensì, vero, poi, che l’azione di ingiustificato arricchimento, volta ad eliminare l’iniquità prodottasi mediante uno spostamento patrimoniale privo di giustificazione, può essere proposta, in via subordinata, quando l’azione tipica, avanzata in via principale, abbia avuto esito negativo, ma tale principio non opera quando, come nella specie, la domanda ordinaria, fondata su un titolo contrattuale, sia stata rigettata per la sua infondatezza, dovuta allo specifico regolamento contrattuale assentito dalle parti (esclusione della garanzia), dato che in tal caso il titolo specifico, fonte del credito azionato, in tesi sussiste (ma è infondato).
[…]