Corte di Cassazione Sez. 1, Sentenza n. 8670 del 2000, dep. il 26 giugno 2000

 

[…]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione notificata il 14.12.1989 la s.a.s. […], in persona del liquidatore, premesso:
– che, all’atto della sua costituzione, la società era composta da due socie: […] accomandataria, titolare del 95% delle quote, ed […], accomandante, titolare del residuo 5%;
– che […] era deceduta il 18.4.1983, lasciando erede […];
– che quest’ultimo, da allora, aveva riscosso e trattenuto i canoni di locazione degli immobili di proprietà della società, senza versarli nelle casse sociali;
tanto premesso, il liquidatore della società conveniva dinanzi al Tribunale di Roma […], per sentirlo condannare alla restituzione di tutte le somme incassate per canoni ed altri cespiti di pertinenza sociale.
Il convenuto, costituitosi, deduceva di avere rimesso al liquidatore il rendiconto sia degli importi riscossi che delle spese sostenute per oneri condominiali ed altri titoli, ed avanzava domanda riconvenzionale per la liquidazione della quota spettantegli quale erede della socia defunta.
Nel giudizio interveniva […] aderendo alla domanda attrice.
Con sentenza 16-24.1.1995 il Tribunale di Roma rigettava la domanda principale per difetto di prova sul “quantum” e la domanda riconvenzionale perché erroneamente proposta sotto il profilo della liquidazione della quota del socio defunto, anziché come quota di liquidazione del patrimonio sociale a seguito dell’intervenuto scioglimento della società.
La decisione, impugnata in via principale dal […] ed in via incidentale dalla società e dalla […], era riformata dalla Corte d’appello di Roma che, con sentenza 3.3-28.4.1998, dichiarava il diritto del […] “alla quota di liquidazione del 95% del patrimonio” della società e condannava lo stesso al pagamento della somma di L. 49.125.000, oltre interessi legali.
Quanto alla domanda principale, la corte rilevava che la documentazione prodotta era idonea a comprovare il credito della società per canoni di locazione e depositi cauzionali. Quanto alla riconvenzionale, osservava: a) che, sotto il profilo ermeneutico, la domanda del […] era interpretabile come rivolta ad ottenere la quota di liquidazione spettante alla socia defunta, in conseguenza dello scioglimento della società; b) che, comunque, fra le due domande non v’era differenza oggettiva, se non sulle eventuali modalità satisfattorie del credito; c) che, in ogni caso, era compito del giudice provvedere alla riqualificazione della domanda, una volta sopravvenuto lo scioglimento della società. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso la società, in persona del liquidatore, e la ex socia accomandante […], mentre […], resistendo con controricorso, ha proposto a sua volta ricorso incidentale condizionato.
Le ricorrenti hanno presentato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, il ricorso principale e l’incidentale devono essere riuniti, ai sensi dell’art. 335 c.p.c. Ricorso principale.
Con due motivi le ricorrenti rispettivamente:
1) deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 2323, 2284, 2289, 2272 n. 4 c.c., nonché omessa motivazione, censurano la statuizione della Corte d’appello, circa il diritto del […] alla quota di liquidazione del 95% del patrimonio sociale: sostengono al contrario che lo stesso, quale erede della socia accomandataria defunta, ha diritto esclusivamente alla liquidazione della quota ai sensi dell’art. 2289 c.c., essendo lo scioglimento della società intervenuto per legge, per mancata ricostituzione della pluralità dei soci, posteriormente allo scioglimento del rapporto sociale relativamente alla socia accomandataria;
2) denunciando violazione e falsa applicazione delle medesime norme del codice civile, oltre che degli artt. 183, 184 c.p.c. (vecchio testo), nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, censurano l’affermazione dei giudici d’appello, secondo cui, nell’ipotesi sia di liquidazione della quota che di quota di liquidazione, la domanda sarebbe “oggettivamente analoga”, e non si verificherebbe pertanto “mutatio libelli” nel passaggio dall’una all’altra.
Le censure vanno esaminate congiuntamente, in quanto globalmente rivolte a contestare – sotto il profilo sostanziale e processuale – la statuizione della corte d’appello, circa il diritto del […] a partecipare alla liquidazione del patrimonio sociale. Le doglianze sono fondate.
L’art. 2284 c.c., per il quale, nella società di persone, la morte di un socio dà agli eredi dello stesso il solo diritto alla liquidazione della quota secondo le modalità stabilite dall’art.2289 c.c., trova applicazione in tutti i casi di morte di un socio.
anche quando la società sia composta di due soli soci: anche in tale ipotesi, lo scioglimento del rapporto particolare del socio defunto si verifica alla data del decesso, mentre gli eredi acquistano contestualmente il diritto alla liquidazione della quota secondo i criteri fissati dall’art. 2289 c.c., cioè un diritto di credito ad una somma di denaro, che rappresenti il valore della quota del socio defunto in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si è verificato lo scioglimento.
Ed invero, l’evento della morte comporta la cessazione della qualità di socio, che non si trasferisce agli eredi, e determina la trasformazione “ope legis” della quota, quale insieme di diritti sociali, nel corrispondente importo pecuniario, di cui diviene creditore l’erede e debitrice la società. Deve escludersi quindi che in tale ipotesi si verifichi un fenomeno di divisione, sia pure parziale, del patrimonio della società, in quanto il diritto dell’erede ha per oggetto, fin dal primo momento, un importo pecuniario, corrispondente al valore della quota, mentre il patrimonio sociale rimane immutato, solo sorgendo a carico della società l’obbligo di corrispondere il valore della quota. Pertanto, anche nella società di persone composta da due soli soci, ove la morte di un socio determina il venir meno della pluralità dei soci, non può riconoscersi un diritto degli eredi del socio defunto a partecipare alla liquidazione della società ed a pretendere una quota di liquidazione, anziché il controvalore in denaro della quota di partecipazione, in quanto lo scioglimento della società costituisce un momento successivo ed eventuale, rispetto allo scioglimento del rapporto sociale limitatamente al socio, e trova causa non tanto nel venir meno della pluralità dei soci, quanto nel persistere per oltre sei mesi della mancanza della pluralità medesima.
Durante il detto termine, infatti, la società resta in vita, ed il socio superstite ha facoltà di optare per la ricostituzione della pluralità dei soci, così evitando lo scioglimento e la messa in liquidazione della società: la circostanza che, in fatto, la pluralità non sia stata ricostituita e la società sia stata messa in liquidazione non vale ad attribuire all’erede il diritto ad una quota del patrimonio sociale, essendo tale diritto collegato alla qualità di socio, che l’erede non ha mai acquistato.
In applicazione di tali principi, assolutamente costanti nella giurisprudenza di questa Corte (Cass. 263/57; 174/61; 1157/62; 2899/63; 1850/70; 2812/76; 6156/78; 936/81; 4169/95), deve ritenersi errata la decisione dei giudici d’appello, che sancisce il diritto dell’erede della socia accomandataria “alla quota di liquidazione del 95% del patrimonio” della società, identificandosi invece tale diritto nel credito di una somma di denaro corrispondente al valore della quota della socia alla data del decesso.
Ricorso incidentale condizionato.
Per l’ipotesi di accoglimento del ricorso principale, il […] ha proposto ricorso incidentale, sotto il profilo dell’omessa pronuncia e dell’omessa motivazione, avverso la condanna al pagamento della somma di L. 49.125.000, oltre interessi legali dalla domanda, assumendo che la sentenza avrebbe ignorato la documentazione relativa alle spese da lui sostenute durante la sua gestione degli immobili, e la sua richiesta di conteggiare tali spese a decurtazione delle somme dovute in restituzione a titolo di canoni locativi percepiti. Nel resistere al ricorso incidentale, le ricorrenti principali ne hanno dedotto l’inammissibilità, per non essere stata la relativa domanda riproposta dal […] in appello.
L’eccezione appare fondata.
Dall’esame degli atti processuali (da condurre direttamente, essendo stato denunciato un “error in procedendo”) risulta infatti quanto segue.
Nella comparsa di costituzione e risposta in primo grado, il […] menzionava, nel corso della narrativa, di aver provveduto a far fronte alle spese di gestione degli immobili “per circa L. 15.000.000”, ma nelle conclusioni dell’atto – ribadite nelle conclusioni definitive precisate all’udienza del 2.5.1994 – chiedeva il pagamento dell’importo della liquidazione della quota, “effettuata la compensazione con quanto da lui riscosso”: la compensazione, cioè, veniva richiesta tra liquidazione della quota e canoni locativi riscossi, senza più menzionare l’accredito delle somme spese per la gestione degli immobili.
Nell’atto d’appello, e nelle conclusioni definitive in secondo grado, il […] si limitava a chiedere la condanna della società alla corresponsione della quota del 95% del residuo attivo della liquidazione, nonché al risarcimento del danno, ancora senza proporre la domanda di accredito delle somme spese per la gestione degli immobili.
Tale domanda, quindi, non risulta mai ritualmente proposta, e sicuramente non proposta in appello, ove il […], impugnando la sentenza di rigetto pronunciata in primo grado, avrebbe dovuto specificamente riproporre tutte le domande ed istanze non accolte: in difetto, dette domande ed istanze si intendono rinunciate, ai sensi dell’art. 346 c.p.c. Il ricorso incidentale deve pertanto essere dichiarato inammissibile, non avendo il ricorrente mai proposto la domanda sulla quale lamenta l’omessa pronuncia.
Conclusivamente, in accoglimento del ricorso principale, la sentenza impugnata deve essere cassata limitatamente alla parte in cui “dichiara il diritto di […] alla quota di liquidazione del 95% del patrimonio della s.a.s. […]”, ferme restando le altre statuizioni.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, è possibile decidere la causa nel merito, come richiesto dalle ricorrenti, dichiarandosi che al […] spetta la liquidazione della quota di pertinenza della socia accomandataria, sua dante causa, calcolata ai sensi dell’art. 2289 c.c., pari cioè ad una somma di denaro che rappresenti il valore della detta quota nel giorno del decesso della socia accomandataria.
Sussistono giusti motivi per compensare le spese dell’intero giudizio, considerate le contrastanti pronunce di merito e la non immediata risolubilità delle questioni trattate […].