Corte di Cassazione, Sez. 2, Sent. n. 13231 del 2010, dep. il 31/05/2010

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MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso la […] denuncia violazione dell’art. 1489 c.c. deducendo che la mancata dotazione delle attestazioni della regolarità urbanistica di un immobile costituisce un grave limite al godimento del bene e alla sua valutazione per cui il promissario acquirente ben può rifiutarsi di stipulare il contratto definitivo di acquisto di un bene privo di concessione edilizia e di certificato di abitabilità e ciò indipendentemente dalla gravità o meno del vizio rispetto alla economia complessiva della convenzione negoziale. La corte di appello ha quindi errato nel valutare la gravità dell’inadempimento della promittente venditrice e nell’impedire l’esercizio della facoltà di recesso spettante ad essa ricorrente. In ogni caso ha errato la corte di appello nell’affermare che la mancanza dei requisiti urbanistici va qualificata come lieve inadeguatezza.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 1489 c.c. e vizi di motivazione sostenendo che la corte di appello non ha considerato che, alla data prevista per la stipula del contratto definitivo, l’immobile in questione era in parte abusivo e la promittente venditrice non aveva regolarizzato la sanatoria urbanistica. Tale situazione è rimasta immutata anche nel corso del giudizio di appello atteso che la sanatoria non era stata ancora accolta e non era stata rilasciata la certificazione di abitabilità, per cui il giudice di secondo grado avrebbe dovuto rigettare il gravame proposto dalla […].

La Corte rileva l’infondatezza delle dette censure che possono essere esaminate congiuntamente per la loro stretta connessione ed interdipendenza e che, in parte, si risolvono essenzialmente, pur se titolate come violazione di legge e come vizi di motivazione, essenzialmente nella prospettazione di una diversa analisi del merito della causa nonchè in una critica di attività istituzionalmente riservate al giudice del merito.

Occorre innanzitutto porre in evidenza i seguenti principi più volte affermati da questa Corte:

– nel caso di contrapposte domande di risoluzione di un contratto per inadempimento, il giudice del merito, il cui accertamento è insindacabile in Cassazione, se la motivazione risulta immune da vizi logici o giuridici, deve procedere ad una valutazione comparativa ed unitaria degli inadempimenti che le parti si sono addebitati, per stabilire se sussista l’inadempimento che legittima la risoluzione (tra le tante, sentenze 15/12/2006 n. 26943 28/8/2006 n. 18640;

16/5/2006 n. 11374);

– la scarsa importanza dell’inadempimento, può essere desunta o dalla limitata importanza dell’interesse leso, ovvero dalla scarsa importanza della stessa inadempienza che, pur afferendo ad un interesse determinante dell’equilibrio delle prestazioni, consenta, per le sue ridotte proporzioni, di ritenere sostanzialmente salvo tale equilibrio: la valutazione della scarsa importanza rientra tra i compiti del giudice del merito ed è incensurabile in sede di legittimità (tra le tante sentenza 5/1/2007 n. 43);

– la vendita di un immobile strutturalmente destinato ad uso abitativo ma privo della licenza di abitabilità non è nulla per illiceità dell’oggetto, non essendovi alcuna norma che preveda l’obbligo del preventivo rilascio del predetto certificato, ma solo risolubile se il venditore abbia assunto, anche implicitamente, l’obbligo di curare il rilascio della licenza, a meno che, essendo dimostrato che l’immobile presenta tutte le caratteristiche necessarie per l’uso che gli è proprio e che la licenza possa essere agevolmente ottenuta, il giudice non ritenga di scarsa importanza l’inadempimento (sentenza 29/3/1995 n. 3687);

– il venditore di un bene immobile destinato ad abitazione ha l’obbligo di dotare tale bene della licenza di abitabilità, senza la quale esso non acquista la normale attitudine a realizzare la sua funzione economico – sociale; la mancata consegna della medesima implica un inadempimento che, sebbene non sia tale da dare necessariamente luogo a risoluzione del contratto, può comunque essere fonte di un danno risarcibile configurabile anche nel solo fatto di aver ricevuto un bene che presenta problemi di commerciabilità (sentenze 20/4/2006 n. 9253; 3/7/2000 n. 8880.

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