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Con il primo motivo, il ricorso lamenta la nullità della sentenza n. 994/98 per violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1176, 1183, 1366, 1453, 1456, 1460 e 1477 c.c., e artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, e art. 361 c.p.c., avendo escluso la risoluzione del preliminare in ragione della clausola risolutiva espressa ed individuato l’inadempimento del promittente venditore al contratto nella sua adesione all’invito della promissaria a comparire il 23 luglio 1987 davanti al notaio per la sottoscrizione della compravendita pur non essendo in possesso del certificato di abitabilità, nonostante che nessuna data fosse stabilita nel preliminare per la redazione del rogito, la promissaria avesse alternativamente condizionato la propria disponibilità alla stipula del definitivo alla consegna del certificato di abitabilità o di quello di fine dei lavori e nel giorno fissato egli non potesse essere ancora in possesso del certificato di abitabilità, avendo ultimato i lavori nel giugno 1987.
Il motivo è infondato.
Il giudice di secondo grado, rimarcato che l’attore aveva riconosciuto la regolarità dei pagamenti ricevuti sino a quando il notaio si era rifiutato rogare il contratto definitivo per il mancato deposito del certificato di abitabilità, ha affermato che era stato legittimo il rifiuto della convenuta di corrispondere ulteriormente il prezzo degli immobili, avendo il promittente inteso addivenire alla sottoscrizione della compravendita senza adempiere alla sua prestazione di consegnare il certificato di abitabilità, che costituiva un requisito essenziale degli immobili ed al quale la promissaria non aveva all’epoca rinunciato. L’affermazione, che quanto alla natura del certificato di abitabilità di requisito giuridico rilevante sull’attitudine di un immobile ad assolvere alla sua funzione economico-sociale ed all’obbligo del venditore, in assenza contrarie pattuizioni, di dotare il bene di detto certificato, nonché all’adducibilità del suo mancato rilascio in via di eccezione da parte del promissario, ai sensi dell’art. 1460, c.c., ha fatto corretta applicazione dei principi affermati in materia da questa Corte (cfr.: cass. civ., sez. 2^, sent. 26 gennaio 2006, n. 1514; cass. civ., sez. 2^, sent. 22 settembre 2000, n. 12556), si sottrae alle censure rivolte anche relativamente agli argomenti che la sorreggono. Attiene, difatti, ad un apprezzamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità l’accertamento della volontà dell’attore di chiedere l’adempimento dell’obbligazione della promissaria senza l’adempimento o l’offerta di adempimento contemporaneo della propria e del momento nel quale tale richiesta si era concretizzata ed aveva legittimato il rifiuto di adempimento della convenuta e nessuna inadeguatezza od illogicità della motivazione della pronuncia è ravvisabile nella parte in cui ha escluso che potesse giustificare l’inadempimento l’alternativa richiesta della promissaria di consegna del solo certificato di fine dei lavori e l’ultimazione di questi nel giugno 1987, posto che ha evidenziato, da un lato, l’evidenza dell’intento del promittente di addivenire al definitivo in mancanza di esso, pur non avendovi rinunciato la convenuta, e, dall’altro, l’impossibilità del suo ottenimento per l’inesistenza delle condizioni necessarie al rilascio.
Con il secondo motivo, per violazione e falsa applicazione degli artt. 1460 e 2932 c.c., e della L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 40, avendo dato esecuzione specifica al preliminare benché in mancanza del certificato di abitabilità ritenuto essenziale alla stipula della compravendita ed avendo trasferito la proprietà degli immobili nonostante essi costituissero parti di un edificio realizzato in difformità alla concessione edilizia e non vi fosse prova della sanatoria dell’illecito.
Il motivo è fondato nella sua seconda parte e la fondatezza assorbe l’esame della prima parte.
In assenza della dichiarazione, nel contratto preliminare o in un atto, successivamente prodotto in giudizio degli estremi della concessione edilizia e/o della concessione in sanatoria dell’abuso edilizio, il giudice non può pronunciare la sentenza di trasferimento coattivo di diritti reali su edifici o loro parti, prevista dall’art. 2932 c.c., perché la L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 17, comma 2, (cfr.: ora D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 46,), che richiede le predette dichiarazioni o allegazioni, a pena di nullità, per la stipulazione degli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali, che non siano di servitù o di garanzia, relativi ad edifici o loro parti, indirettamente influisce anche sui presupposti necessari per la pronuncia della sentenza di esecuzione in forma specifica del preliminare di una vendita immobiliare, che, avendo funzione sostitutiva di un atto negoziale dovuto, non può realizzare un effetto maggiore e diverso da quello che sarebbe stato possibile alle parti o un effetto che, comunque, eluda le norme di legge che governano, nella forma e nel contenuto, l’autonomia negoziale delle parti.
Detto limite, considerato l’interesse pubblico all’ordinata trasformazione del territorio e le peculiari caratteristiche della sentenza e l’autorità del giudicato che questa è destinata ad acquistare, incide direttamente sulle condizioni dell’azione prevista dall’art. 2932 c.c., senza alcun rilievo dell’astratta possibilità di una successiva sanatoria della nullità, e va conseguentemente rilevato d’ufficio ed anche in sede di legittimità, sempre che la soluzione della questione relativa alla sua esistenza non richieda indagini non compiute nei precedenti gradi di giudizio e siano acquisiti agli atti tutti gli elementi di fatto dai quali esso possa desumersi.
Nella specie, nella sentenza impugnata vi è uno specifico accenno sia agli abusi edilizi compiuti dall’attore nella realizzazione del fabbricato ed alle difformità riscontrate nell’edificio rispetto al progetto approvato e sia al rigetto dell’istanza di sanatoria degli immobili oggetto del preliminare presentata dalla promissaria, motivato, oltre che con la carenza di un idoneo titolo di proprietà, con la non autonomia di tali unità rispetto al resto dell’edificio, e la conseguente pacificità della circostanza che una concessione in sanatoria degli abusi edilizi era necessaria per legittimare la costruzione dell’edificio ed il rilievo che, non essendo la stessa stata rilasciata, non potevano esserne indicati dalle parti gli estremi, escludono che il giudice di merito potesse disporre il trasferimento degli immobili senza incorrere nella previsione ostativa della L. n. 47 del 1985.
Alla fondatezza su tale punto del motivo di ricorso segue, quindi, la cassazione della sentenza non definitiva n. 994/98, nella parte che detto trasferimento ha disposto, e della sentenza definitiva n. 610/03 nelle parti dipendenti da quella cassata della sentenza non definitiva.
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