Corte di Cassazione, Sez. 2, Sentenza n. 13738 del 2005, dep. il 27/06/2005

 
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
[…], allegando la loro qualità di proprietari iure hereditatis – per successione legittima a […] – d’un fondo in Santa Maria di […], identificato al C.T. partita 575 fg. 19 p.lla 631 are 4.95, e denunziando l’abusiva occupazione del cespite da parte di […] e […], queste convenivano innanzi al pretore di Catania con citazione 15.5.96 onde, previo accertamento del vantato diritto, sentirle condannare al rilascio.
Nel costituirsi, […] contestavano l’avversa domanda ed, in via riconvenzionale, chiedevano accertarsi il loro acquisto del fondo per intervenuta usucapione. Il giudizio veniva, quindi, esteso anche a […], che gli attori avevano indicati come loro coeredi, ma costoro non si costituivano.
La controversia veniva definita dall’adito pretore che, con sentenza 20.10.99, rigettava entrambe le domande sulla considerazione: quanto alla principale, che gli attori non avessero fornito la prova dell’acquisto a titolo derivativo da […], in quanto avevano prodotto le sole denunzie di successione, inidonee all’uopo, e, comunque, in quanto il terreno de quo non risultasse tra i cespiti ereditar ne’ del detto de cuius ne’ dell’altro indicato de cuius […]; quanto alla riconvenzionale, per sua tardiva proposizione.
Avverso tale sentenza gli originari attori proponevano gravame cui resistevano le originarie convenute.
Ne decideva la corte d’appello di Catania, con sentenza 29.9.01, rigettandolo sulla considerazione che fosse infondata la pretesa degli appellanti d’aver fornito la prova del dedotto acquisto a titolo derivativo, da […] prima e da […] poi, nella loro qualità di successori legittimi d’entrambi; ciò in quanto, anche a ritenere accertata la proprietà in capo ai pretesi danti causa, la prova fornita, basata sulla produzione dei certificati integrali degli stati di famiglia, poteva essere idonea a dimostrare il loro diritto a succedere, ma non anche l’avvenuta successione, al qual fine era inidonea anche la denunzia fatta ai fini fiscali.
Detta decisione di secondo grado veniva, quindi, impugnata da […] e […] con ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. Resistevano con controricorso […].

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, i ricorrenti – denunziando violazione degli artt. 475 e 476 CC nonché vizi di motivazione – si dolgono che la corte territoriale abbia sollevato e deciso illegittimamente ex officio la questione relativa alla legittimazione attiva, peraltro ex adverso incontestata, e questa abbia, inoltre, risolta in loro sfavore, erroneamente ritenendo non provata la qualità d’eredi nonostante essi avessero prodotto i certificati anagrafici attestanti il diritto a succedere e, proponendo un’azione di revindica, avessero in tal modo dimostrato così l’accettazione dell’eredità come la intervenuta assunzione della qualità stessa.
Il motivo, pur infondato sotto il primo dei denunziati profili, merita accoglimento sotto il secondo.
Si ritiene, infatti, dalla dottrina e dalla giurisprudenza di legittimità più recenti che le condizioni dell’azione – possibilità giuridica, interesse ad agire, legittimazione ad agire e contraddire – debbano essere accertate in relazione non alla loro sussistenza effettiva ma alla loro affermazione con l’atto introduttivo del giudizio, nell’ambito d’una preliminare valutazione formale dell’ipotetica accoglibilità della domanda e, così configuratele, possa parlarsi di condizioni la cui sussistenza dev’essere accertata con riferimento al momento della proposizione della domanda stessa; diversamente, l’accertamento non dell’ipotetica titolarità dell’azione ma dell’effettiva titolarità del rapporto controverso, così dal lato attivo come da quello passivo, attiene al merito della causa, investendo i concreti requisiti d’accoglibilità della domanda e, quindi, la sua fondatezza.
In tale sistematica, la legittimazione o titolarità dell’azione costituisce una condizione dell’azione stessa che si concretizza, dal lato attivo, nel diritto potestativo d’ottenere dal giudice una decisione di merito e si risolve nel potere di promuovere il giudizio, inteso ad una sentenza, dichiarativa o costitutiva o di condanna, sul rapporto giuridico sostanziale dedotto ad oggetto di controversia indipendentemente dalla sussistenza o meno dell’effettiva titolarità attiva del rapporto stesso in capo all’attore, dacché si determina in base alla sola affermazione di questi della sua titolarità della posizione soggettiva attiva dedotta, onde, per verificarne la sussistenza, devesi avere riguardo solo a quanto dallo stesso affermato, prescindendosi dalla veridicità o meno di tale affermazione; conformemente, dal lato passivo, la legittimazione si determina con l’indicazione nel convenuto, da parte dell’attore, del soggetto che, secondo le norme regolatrici del rapporto dedotto in giudizio, giusta la detta prospettazione fattane dallo stesso, è destinato a subire gli effetti per il conseguimento dei quali l’azione è stata proposta, e ciò indipendentemente dall’effettiva titolarità del rapporto in capo al convenuto medesimo.
In altri termini, l’accertamento della legittimazione attiva e passiva deve rivolgersi alla coincidenza, dal lato attivo, tra il soggetto che propone la domanda ed il soggetto che nella domanda stessa è affermato titolare del diritto e, da quello passivo, tra il soggetto contro il quale la domanda è proposta e quello che nella domanda è affermato soggetto passivo del diritto o comunque violatore di quel diritto; onde, ove di tale coincidenza risultasse il difetto, essendosi fatto valere dall’attore un diritto altrui affermato come altrui, salva l’ipotesi di legittima sostituzione, od essendosi dallo stesso assunta la violazione del diritto fatto valere ad opera di soggetto diverso da quello affermato parte del rapporto dedotto, rimarrebbe ex actis accertato che, indipendentemente dalla rispondenza al vero dei fatti allegati, comunque l’ipotetico diritto azionato o non apparterrebbe a colui che agisce ovvero non sarebbe violato o pregiudicato da colui contro il quale l’azione è proposta, e ciò non può che comportare una pronunzia d’inammissibilità dell’azione per difetto di titolarità attiva o passiva della stessa (e pluribus, da ultimo, Cass. 6.4.01 n. 5167, 17.5.01 n. 9766, 9.7.01 n. 9289, 5.11.01 n. 16631). Pertanto, il soggetto che promuova l’azione (e, specularmente, che la contraddica) nell’asserita qualità d’erede d’altro soggetto indicato come originario titolare del diritto fatto valere deve allegare la propria legitimatio ad causarti per essere subentrato nella medesima posizione del proprio autore e fornirne, quindi, tramite le opportune produzioni documentali, la necessaria dimostrazione, provando sia il decesso della parte originaria, sia l’asserita qualità d’erede della stessa, costituenti i presupposti di legittimazione alla sua successione nel diritto dedotto in giudizio eppertanto alla proposizione dell’azione in proprio nome al posto del defunto titolare del diritto stesso; ond’è che, in difetto di prova siffatta, resta indimostrato uno dei fatti costitutivi del diritto ad agire (od a contraddire), dimostrazione il cui onere incombe ex art. 2697 CC sulla parte che tale diritto eserciti.
Detta circostanza è rilevabile anche d’ufficio, in quanto attinente alla regolare costituzione del contraddittorio e, quindi, ad inderogabili disposizioni d’ordine pubblico processuale, per cui resta del tutto ininfluente che la questione sia stata o meno sollevata dalla controparte ed in quali termini (e pluribus, recentemente, Cass. 22.12.03 n. 19625, 28.5.03 n. 8527, 14.3.02 n. 3756, 25.5.01 n. 226 SS.UU., 26.1.01 n. 1114, 21.3.00 n. 3299, 30.1.98 n. 944, 14.10.97 n. 10022, 27.2.95 n. 2276). Quanto, per contro, al secondo profilo di censura, devesi rilevare come l’onere della prova della qualità d’erede, se pacificamente non è assolto con la produzione della denunzia di successione, sia invece, contrariamente a quel che ha ritenuto il giudice a quo, idoneamente adempiuto con la produzione degli atti dello stato civile, dai quali è dato coerentemente desumere quel rapporto di parentela con il de cuius che legittima alla successione ai sensi degli artt. 565 ss. CC (Cass. 4.5.99 n. 4414, 10.2.95 n. 1484, 5.12.78 n. 5730). Nè, al riguardo, può fondatamente eccepirsi, come dalle resistenti, l’inammissibilità della produzione documentale in quanto avvenuta nel giudizio di primo grado solo dopo la precisazione delle conclusioni, dacché i documenti in tal guisa tardivamente prodotti possono essere nuovamente e legittimamente prodotti nel giudizio di secondo grado, osservate le modalità di cui all’art. 87 disp. att. CPC; peraltro, ove il documento sia inserito nel fascicolo di parte di primo grado e questo sia depositato, all’atto della costituzione in appello, unitamente al fascicolo di secondo grado, si deve ritenere raggiunta – ancorché le modalità della produzione non corrispondano a quelle previste dalla legge – la finalità di mettere il documento a disposizione della controparte, in modo da consentirle l’esercizio del diritto di difesa, onde l’inosservanza delle modalità di produzione documentale deve ritenersi comunque sanata (Cass. 1.4.04 n. 6383, 22.1.02 n. 696, 27.11.97 n. 12130). I documenti in questione costituiscono, d’altra parte, prove documentali precostituite, delle quali, per costante interpretazione giurisprudenziale dell’art. 345 CPC, non è preclusa neppure la produzione ex nova, nel giudizio di secondo grado, quand’anche trattisi di giudizi introdotti successivamente al 29.4.1995. La facoltà di produrre nuovi documenti in appello è, infatti, ammessa dall’art. 345/3^ CPC, nella formulazione di cui all’art. 52 della legge 26.11.90 n. 353, atteso che il divieto di produzione di
nuovi “mezzi di prova” va riferito alle prove cosiddette costituende e non anche a quelle cosiddette precostituite; tale facoltà, in armonia con lo spirito della richiamata legge, volta a concentrare le attività assertive e probatorie nella fase iniziale del procedimento, deve essere esercitata, a pena di decadenza, con la costituzione in giudizio ed entro il termine all’uopo fissato dagli artt. 165 e 166 CPC, espressamente richiamati, anche con riferimento ai termini, dall’art. 347 dello stesso codice (Cass. 8.1.03 n. 60, 16.4.02 n. 5463, 13.10.00. n. 13670). Tanto per quel che attiene alla prova della delazione. Mentre, per quel che attiene alla prova dell’accettazione, questa è da considerare implicita nell’avere gli odierni ricorrenti agito in revindica di beni ereditari – nell’atto di citazione espressamente allegando la qualità d’eredi ed in base ad essa dichiarandosi prorietari del bene rivendicato – dacché l’accettazione tacita dell’eredità può appunto desumersi, ex art. 476 CC, dall’esplicazione d’un’attività personale del chiamato con la quale venga posto in essere un atto di gestione incompatibile con la volontà di rinunciare all’eredità e non altrimenti giustificabile se non nell’assunzione della qualità d’erede, id est un comportamento tale da presupporre necessariamente la volontà d’accettare l’eredità, secondo una valutazione obiettiva condotta alla stregua del comune modo d’agire d’una persona normale (Cass. 17.11.99 n. 12753, 16.9.95 n. 9782, 5.11.87 n. 8123).
Si che in tal senso univocamente significativa è, in particolare, la proposizione d’azioni giudiziarie intese alla revindica od alla difesa della proprietà o ai danni per la mancata disponibilità dei beni ereditari, dato che al semplice chiamato è solo consentito, ex art. 460 CC, esperire le azioni possessorie e compiere gli atti
conservativi, di vigilanza e di temporanea amministrazione, mentre l’esperimento delle azioni intese al reclamo od alla tutela della proprietà sui beni ereditari ed al risarcimento per la loro mancata disponibilità necessariamente presuppone l’accettazione dell’eredità stessa, in quanto, trattandosi di azioni che travalicano il semplice mantenimento dello stato di fatto quale esistente all’atto dell’apertura della successione e la mera gestione conservativa dei beni compresi nell’asse, il chiamato come tale non avrebbe il diritto di proporle eppertanto, proponendole, implicitamente dimostra d’aver accettato la qualità d’erede (Cass. 12.11.98 n. 11408, 16.9.95 n. 9782, 28.6.93 n. 7125, 19.10.88 n.
5688, 15.11.76 n. 4229). Aggiungasi che la denunzia di successione, sebbene non comporti ex se 1’accettazione tacita dell’eredità, in quanto atto preordinato a fini essenzialmente fiscali, non di meno, in presenza d’un’attività costituente prova d’accettazione implicita, a sua volta assume valore d’elemento indiziario che nella prova stessa trova supporto ed al contempo nel medesimo senso la rafforza.
Con il secondo motivo, i ricorrenti – denunziando violazione o falsa applicazione di legge e vizi di motivazione – si dolgono che la corte territoriale abbia erroneamente ritenuto non fornita la prova della proprietà del cespite de quo, in capo a […] prima ed a […] poi, nonostante la circostanza fosse rimasta dimostrata, in via diretta, mediante la produzione dell’atto con il quale il primo aveva acquistato la proprietà ed, in via indiretta, in ragione della domanda riconvenzionale d’usucapione proposta dalla controparte.
Con il terzo motivo, i ricorrenti – denunziando violazione degli artt. 1158 CC e 112 CPC – si dolgono che la corte territoriale abbia omesso di pronunziarsi sull’autonoma ragione della domanda di revindica consistente nella dedotta usucapione del fondo da parte di […], anch’esso loro dante causa iure successionis. Entrambi i motivi – che, per ragioni di connessione, possono essere trattati congiuntamente – vanno dichiarati assorbiti, indipendentemente dalla fondatezza o meno delle ragioni svoltevi, anche perché nell’impugnata sentenza non è ravvisabile alcuna specifica pronunzia sulle questioni de quibus.
In effetti, il giudice a quo non si è in alcun modo pronunziato sull’appartenenza o meno del fondo in discussione a […] prima ed a […] poi, essendosi limitato ad accennare alla questione con la frase “anche a ritenere provata la proprietà del fondo in capo al […] o al […], gli appellanti non hanno fornito la prova della successione in loro favore”, che non è ne’ affermativa ne’ negativa della circostanza, al solo fine d’evidenziare l’implicito assorbimento della questione stessa, stante la pronunzia negativa sulla pregiudiziale questione sollevata in ordine alla prova della legittimazione attiva.
Anche l’omessa pronunzia sulla domanda d’usucapione devesi ritenere determinata dall’implicito assorbimento nella dichiarazione d’inammissibilità di qualsiasi domanda proposta dagli originari attori nella dedotta, ma non riconosciuta, qualità d’eredi. Onde, annullatasi l’impugnata sentenza, basata su quell’unica ragione, per le ragioni esposte nell’esame del primo motivo, dovrà il giudice del rinvio necessariamente pronunziarsi ex novo su tutte le questioni prospettate con l’atto d’appello.
Analoga considerazione vale per il quarto motivo, attinente alle spese, che dovranno formare, comunque, oggetto di nuova complessiva valutazione da parte del giudice del rinvio.
In definitiva, va accolto per quanto di ragione il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, e l’impugnata sentenza va annullata in relazione al motivo accolto; la causa, di conseguenza, va rimessa per nuovo esame ad altro giudice del merito di secondo grado, che s’indica in diversa sezione della medesima corte d’appello di Catania, cui è anche demandato, ex art. 385 CPC, di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
[…]