Corte di Cassazione, Sez. 2, Sentenza n. 14540 del 2016, dep. il 15/07/2016

[…]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto in data 31.7.2007 […] e […] citavano a comparire innanzi al tribunale di Treviso i fratelli […] e […]. Esponevano che con atti a rogito notar […] 22.1.1970 e del 24.12.1970 essi attori ed i convenuti avevano acquistato in comune e pro indiviso, per la quota di 1/4 ciascuno, la piena proprietà di un terreno in […] in catasto al foglio 12, della superficie di ettari 5.05.80; che “con convenzione del 28 dicembre 1979 (…) […] vendette ai fratelli […] la propria quota indivisa di un quarto del compendio immobiliare” (così ricorso principale, pag. 2) anzidetto, oltre alle quote di sua spettanza di partecipazione, in misura egualmente pari ad 1/4, nella “[…].; che con atto a rogito notar […] in data 19.3.2002 […] aveva provveduto a cedere agli attori i diritti tutti a lui spettanti sul terreno in […], che, benché ripetutamente sollecitato, […] viceversa non si era reso disponibile onde riprodurre la convenzione siglata in data 28.11.1979 nella forma necessaria ai fini della trascrizione. Chiedevano all’adito giudice, in via principale, acclarata la natura definitiva con immediati effetti traslativi, dell’alienazione di cui alla convenzione in data 28.12.1979, di dichiarare l’autenticità delle sottoscrizioni che vi figuravano in calce e – preso atto del trasferimento ad essi attori dei diritti già di spettanza del fratello Giorgio – di ordinare al competente conservatore dei registri immobiliari la trascrizione dell’emananda sentenza e, dunque, la trascrizione dell’intestazione dei diritti tutti già spettanti a […] sul terreno in […] in favore di essi attori; in via subordinata, di dichiarare essi attori proprietari dell’intero terreno per aver usucapito la quota di 1/4 già di spettanza del fratello […]; di condannare in ogni caso […] al risarcimento dei danni.
Costituitosi, […] instava per il rigetto dell’avversa domanda; in via riconvenzionale chiedeva, tra l’altro, procedersi allo scioglimento della comunione avente ad oggetto la proprietà del terreno in […]. Non si costituiva […].
Con sentenza non definitiva n. 1067/2006 il giudice adito accoglieva la domanda in via principale esperita dagli attori e disponeva con separata ordinanza per l’ulteriore corso istruttorio. Interponeva appello […].
Resistevano […] e […] .
Non si costituiva e veniva dichiarato contumace […].
Con sentenza n. 1387 dei 5.10.2009/1.7.2010 la corte d’appello di Venezia accoglieva il gravame e, per l’effetto, in riforma della impugnata sentenza, rigettava la domanda in via principale esperita da […[ e […] limitatamente all’accertamento della natura definitiva con immediati effetti traslativi della convenzione intercorsa tra le parti in data 28.12.1979, revocava l’ordine già impartito al competente conservatore dei registri immobiliari, compensava integralmente tra le parti tutte le spese del grado, confermava le statuizioni di cui ai capi 2) e 3) della gravata sentenza.
Dava atto previamente la corte che, “assodata la natura di contratto della convenzione in questione” (così sentenza d’appello, pag. 7), rimaneva “da valutare se nell’intenzione delle parti si trattava di preliminare ad effetti meramente obbligatori ovvero di c.d. , dagli immediati effetti traslativi” (così sentenza d’appello, pag. 7) . In questi termini e pur con riferimento al secondo motivo di gravame (con cui, tra l’altro, si era censurato il primo dictum per omessa pronuncia sulla eccepita nullità della convenzione del 28.12.1979, qualora intesa in guisa di alienazione definitiva della quota di un 1/4 del terreno, per difetto dei requisiti essenziali, segnatamente, del prezzo, giacché rimessa la relativa determinazione ad un successivo accordo, e della puntuale identificazione catastale dei terreni alienati pro quota) esplicitava — la corte – che “le carenze nella individuazione dell’immobile e del corrispettivo della cessione, effettivamente ricorrenti nella convenzione del 28-12-1979, risultano (…) compatibili — perdurando i suindicati dubbi interpretativi sulla reale intenzione delle parti (…) – con la stipula valida ed efficace di un contratto preliminare dai meri effetti obbligatori, che ha ad oggetto esclusivamente l’obbligo di prestazione del consenso in sede di futuro ” (così sentenza d’appello, pagg. 9 – 10); che, specificamente, il corrispettivo della cessione della quota di 1/4 del terreno risultava, “sebbene determinabile, (…) condizionato dalle compensazioni da praticare in conseguenza dei previsti conguagli” (così sentenza d’appello, pag. 10); che, quindi, le censure dell’appellante erano fondate, dovendosi, nel segno dell’art. 1367 c.c., “interpretare la convenzione nel senso più favorevole al mantenimento dei suoi effetti, con ovvio riferimento all’epoca in cui fu redatta (e quindi a prescindere dalla attuale azionabilità dei diritti ad personam scaturenti dalla convenzione)” (così sentenza d’appello, pag. 10).
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso […]; ne ha chiesto sulla scorta di due motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione in ordine alle spese di lite.
[…] ha depositato controricorso, contenente ricorso incidentale articolato in dodici motivi; ha chiesto cassarsi la sentenza della corte d’appello di Venezia, del pari con ogni susseguente pronuncia in tema di spese.
[…] ha depositato separati controricorsi onde resistere agli avversi ricorsi; ha chiesto dichiarasi inammissibili ovvero rigettarsi e il ricorso principale e il ricorso incidentale; in ogni caso con il favore delle spese.
[…] non ha svolto difese. Il ricorrente principale ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.. Il ricorrente incidentale parimenti ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.. Il controricorrente […] analogamente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente principale deduce “violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c. nonché insufficiente e, in ogni caso, contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c.” (così ricorso principale, pag. 17). Adduce che le violazioni dei canoni ermeneutici risaltano sotto un duplice aspetto, giacché, per un verso, la corte di merito ha assunto “a riferimento (…) solo alcune limitate clausole del complesso regolamento predisposto dai contraenti e omettendo di prendere in considerazione anche altre significative clausole” (così ricorso principale, pag. 18), giacché, per altro verso, “si è fermata al mero significato letterale” (così ricorso principale, pag. 18) delle clausole assunte a termine di valutazione.
Adduce che, in particolare, la corte distrettuale, in ordine al primo motivo di gravame, “si è limitata a confermare i due assunti di parte appellante, aggiungendo di suo che tale stessa clausola 7, ove le parti ebbero a pattuire che tale interpretazione emerge dal tenore letterale di alcune (…) clausole contrattuali” (così ricorso principale, pag. 19); che, in realtà, le clausole che la corte territoriale ha richiamato, ovvero la clausola 3 e la clausola 7, 10e 3° co., non solo non sono di univoco tenore, siccome riconosce la stessa corte d’appello, ma non consentono “di avvalorare (…) né l’assunto secondo cui a) i compratori non avrebbero immediatamente pagato il prezzo, né l’assunto secondo cui b) i compratori non avrebbero goduto del trasferimento immediato del possesso” (così ricorso principale, pag. 21).
Adduce che conseguentemente l’opzione ermeneutica che la corte veneziana ha operato, viola “l’art. 1362 c.c., che impone di non fermarsi al significato letterale, e l’art. 1363 c.c., che impone di non isolare le clausole (…) ma di attribuire loro il significato complessivo derivante dalla connessione che è possibile stabilire tra di loro” (così ricorso principale, pag. 22).
Adduce, d’altro canto, che il giudice di seconde cure ha negato ogni considerazione alla previsione della clausola 7, 20co., della convenzione del 28.12.1979, ove le parti ebbero a pattuire che, “allo scopo di garantire il cedente in ordine al percepimento delle somme quivi contenute e dilazionate, il sig. […] manterrà la intestazione sia del terreno di cui in premessa, sia della partecipazione della s.a.s. […], alla previsione del 3° co. della stessa clausola 7, ove le parti ebbero a pattuire che “alla data del 30/4/1980 (…), il sig. […] trasferirà formalmente la quota di partecipazione nella […] nonché la quota di proprietà del terreno”, alla previsione della clausola 10, ove è riferimento ad “atti formali e definitivi di esecuzione della presente convenzione”, alla convenzione in data 22.7.1985, intercorsa tra […], da una parte, e […], dall’altra, ove è riferimento ad “atto formale di trasferimento della proprietà del terreno in argomento” (così ricorso principale, pag. 24).
Adduce, inoltre, che “è pacifico (…) che le parti possano omettere, anche in sede di contrattazione definitiva, il pagamento del saldo del prezzo, rinviandolo ad un momento successivo” (così ricorso principale, pag. 25) e “possono anche differire l’immissione in possesso a un momento successivo a quello dell’atto che trasferisce il diritto di proprietà dell’immobile” (così ricorso principale, pag. 25).
Adduce che, comunque, “il trasferimento delle partecipazioni sociali e dei complessi immobiliari appare concepito come un’operazione unitaria e la scansione dei pagamenti secondo rate successive non appare affatto corrispondere ai valori dei beni trasferiti o in via di trasferimento” (così ricorso principale, pagg. 25 – 26); che, in questo quadro, a fronte della “difficoltà, da parte degli acquirenti, di corrispondere il corrispettivo in un’unica soluzione” (così ricorso principale, pag. 26), “è sorto l’interesse del venditore di mantenere l’intestazione, peraltro solo formale, del terreno e di rinviare a un atto successivo la mera riproduzione dell’atto di trasferimento per quei beni chiamati a offrire una (non in senso tecnico) per il compratore” (così ricorso principale, pag. 26).
Con il secondo motivo il ricorrente principale deduce “violazione dell’art. 1346 ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c. – omessa motivazione su un punto decisivo della controversia nonché travisamento dei fatti di causa” (così ricorso principale, pag. 27). Adduce che è erroneo l’assunto della corte veneta circa “le carenze nella individuazione dell’immobile e del corrispettivo della cessione” (così sentenza d’appello, pag. 9). Adduce che, infatti, a norma dell’art. 1346 c.c., l’oggetto del contratto può “essere anche solo determinabile, essendo sufficiente che l’accordo contenga le indicazioni idonee ad individuare l’oggetto della compravendita” (così ricorso principale, pag. 28); che “destituita di ogni fondamento appare poi la circostanza che nella convenzione del 1979 i contraenti avrebbero omesso di individuare il prezzo di compravendita del terreno” (così ricorso principale, pag. 28); che “in realtà, non c’è alcuna indeterminatezza del prezzo” (così ricorso principale, pag. 29).

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Con il primo motivo il ricorrente incidentale deduce “violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 n.ro 3 c.p.c., degli artt. 1367 e 1346 c.c., nonché dell’art. 18, comma 2, della legge n. 47 del 28.2.1985, in quanto nell’applicazione del canone ermeneutico di cui al predetto art. 1367 c.c. (il quale, con riferimento al concreto caso all’esame, nell’alternativa tra la possibile ricorrenza di un’ipotesi di preliminare proprio ovvero di atto definitivo ad effetti reali, presuppone necessariamente — sotto il profilo della validità ed efficacia del relativo contratto — un diverso destino delle due fattispecie) compie un’errata valutazione in diritto circa l’incidenza sulla sorte del contratto delle richiamate disposizioni normative. Contraddittoria ed illogica motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo del giudizio, in relazione all’art. 360 n.ro 5 c.p.c., laddove a base del ragionamento che conduce all’applicazione dell’art. 1367 c.c. sono poste erronee ovvero irrilevanti nonché contraddittorie valutazioni” (così ricorso incidentale, pag. 31).
Adduce che è erroneo in diritto il presupposto da cui muove la corte di merito “per pervenire a ravvisare nell’accordo della convenzione 28.12.79 relativo alla cessione immobiliare la natura di preliminare ad effetti obbligatori” (così ricorso incidentale, pagg. 34 – 35); che, invero, sia per il preliminare “proprio” sia per il preliminare “improprio” requisito essenziale è che tanto la res quanto il prezzo siano almeno determinabili, con la conseguenza che “sia il preliminare ad effetti obbligatori che quello ad effetti reali sono nulli per carenza di individuazione di tali essenziali elementi” (così ricorso incidentale, pag. 37) ed, ulteriormente, che, contrariamente all’assunto della corte distrettuale, “non può essere invocato (…) il principio della conservazione del contratto ex art. 1367 c.c.” (così ricorso incidentale, pag. 37) . Adduce altresì, in ordine al rilievo della corte veneziana secondo il quale la convenzione de qua agitur sarebbe nulla ai sensi dell’art. 18 della legge 28.2.1985, n. 47, se intesa quale negozio definitivo di trasferimento immobiliare, “stante la mancanza del certificato di destinazione urbanistica” (così ricorso incidentale, pag. 38), che “la natura dichiarativa della pronuncia invocata (…) e la conseguente efficacia ex tunc del negozio traslativo riprodotto nella citata scrittura, determinano la collocazione temporale di efficacia del medesimo a far tempo dalla data della convenzione, ossia al 28.12.1979” (così ricorso incidentale, pagg. 38 – 39), laddove è indubitabile che la nullità di cui all’art. 18 legge n. 47/1985 “risulta applicabile soltanto ai contratti posti in essere in epoca successiva alla sua entrata in vigore” (così ricorso incidentale, pag. 39).
Con il secondo motivo il ricorrente incidentale deduce “violazione e falsa applicazione degli artt. 1346, 1418, 2657, 2659, 2826 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c., laddove la Corte d’Appello valuta essere indeterminabile l’oggetto dell’accordo concernente la cessione di quota immobiliare, fondando il giudizio su un riscontrato difetto di presunte, non meglio definite — e comunque irrilevanti, ai sensi del predetto art. 1346 c.c., anche con riferimento all’art. 1367 c.c. — carenze in ordine all’individuazione dell’immobile. Sempre relativamente alla riferita presunta indeterminabilità, costituente fatto controverso decisivo del giudizio, messa ovvero quantomeno insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c.” (così ricorso incidentale, pagg. 39 – 40).
Adduce che “la Corte territoriale si limita a richiamare il concetto di < carenza> da cui sarebbe affetta l’individuazione tanto del prezzo che dell’immobile oggetto di accordo” (così ricorso incidentale, pag. 41); che “non è però dato di comprendere — in particolare con riguardo all’individuazione dell’immobile — a quali carenze la Corte si riferisca” (così ricorso incidentale, pag. 41), carenze in quanto tali atte a giustificare la finale valutazione “di nullità nei riguardi dell’accordo ad efficacia immediatamente traslativa e non, invece, di quello ad effetti meramente obbligatori” (così ricorso incidentale, pag. 41); che, al contempo, se le carenze cui la corte d’appello ha inteso far riferimento, fossero da correlare ai dati necessari, ex artt. 2657, 2659 e 2826 c.c., la valutazione sarebbe “contraria a diritto, poiché le citate norme attengono non già a requisiti ad substantiarn di validità del contratto, (…) ma a specifici requisiti previsti per la sola trascrivibilità dell’atto” (così ricorso incidentale, pag. 43); che, in ogni caso, “se <carenza> è uguale a <indeterminabilità>, ciò comporterebbe la nullità anche di un contratto preliminare (…); mentre se <carenza> significa <mancanza dell’indicazione dei dati catastali>, ciò non determina affatto la nullità né del preliminare né del definitivo” (così ricorso incidentale, pag. 44).
Con il terzo motivo il ricorrente incidentale deduce “violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., degli artt. 1362, 1363 e seguenti cod. civ., nonché dell’art. 1346 c.c. laddove valuta essere il corrispettivo della cessione immobiliare indeterminabile. Omessa, insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo e controverso del giudizio, in relazione all’art. 360, n. 5 c.p.c.” (così ricorso incidentale, pag. 45).
Adduce che, in violazione del criterio esegetico di cui all’art. 1363 c.c., la fonte che a giudizio della corte veneziana avvalora l’affermata “necessità di definire i conguagli e le compensazioni, ritenuti (erroneamente) in grado di interferire sulla quantificazione del prezzo di cessione della quota immobiliare, rendendolo — sempre a detta della Corte territoriale — (…) non determinabile, è (…) desunta non già (…) da altra clausola della Convenzione 28.12.79, oggetto di interpretazione, bensì dalla scrittura (…) in data 18.2.1980, estranea all’atto da interpretarsi” (così ricorso incidentale, pag. 46).
Adduce che, viceversa, l’interpretazione della clausola 3, 2° co., lett. a), della convenzione per mezzo segnatamente delle clausole 4, 7 e 8, avrebbe reso evidente, contrariamente all’assunto della corte di merito, che “quando venne sottoscritta la Convenzione 28.12.1979, il prezzo, anche relativo alla cessione immobiliare, non era per nulla variabile” (così ricorso incidentale, pag. 49); che, in particolare, depone significativamente in tal senso la clausola 8, con cui le parti ebbero esplicitamente a pattuire ed a ribadire che, “proprio perché il corrispettivo era stato voluto e determinato forfetariamente, anche in via transattiva e addirittura di alea, doveva escludersi che i conguagli dei prelevamenti dei soci e le ulteriori compensazioni potessero incidere sulla quantificazione del prezzo contrattuale, voluto e a tutti gli effetti dai contraenti ritenuto (…) definitivo ed assolutamente immodificabile” (così ricorso incidentale, pag. 51).
Adduce infine che il corrispettivo per la cessione della quota di partecipazione nella […] ammontava a lire 250.000.000, il corrispettivo per la cessione delle quote di partecipazione nelle altre tre società ammontava a lire 600.000.000, la compensazione forfetaria e paritaria dei prelievi effettuati a tutto il 31.12.1978 ammontava a lire 238.811.000; che, perciò, in dipendenza dell’invariabilità del complessivo ammontare – lire 1.400.000.000 — del corrispettivo dell’intera operazione, “il prezzo relativo alla cessione dell’immobile non poteva non ammontare, per differenza, a Lit. (…) 311.189.000, come ulteriormente ribadito anche dal disposto del terzo comma dell’art. 7 della Convenzione” (così ricorso incidentale, pag. 54).
Con il quarto motivo il ricorrente incidentale deduce “violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., del combinato disposto degli artt. 1346, 1349, 1473 e 1474 c.c.” (così ricorso incidentale, pag. 54).
Adduce che, pur ad ammettere che i prefigurati conguagli fossero destinati ad incidere sulla quantificazione del prezzo, la corte distrettuale ha del tutto omesso di considerare che il caso de quo “sarebbe comunque sussumibile nella fattispecie dell’arbitraggio di cui all’art. 1349 e/o 1473 c.c., con conseguente (…) determinazione del prezzo rimessa alla pronuncia di terzi arbitratori, di talché non potrebbe ad ogni modo pervenirsi ad una (…) valutazione di indeterminabilità del corrispettivo” (così ricorso incidentale, pagg. 54 – 55); che, d’altronde, alla stregua dell’art. 1349 c.c., si ammette che “la determinazione del prezzo avvenga per relationern, cioè attraverso il rinvio ad altri atti delle parti o di terzi” (così ricorso incidentale, pag. 56) e, comunque, si reputa determinabile l’oggetto del contratto “che può essere in concreto determinato mediante elementi prestabiliti dalle parti” (così ricorso incidentale, pag. 56).
Con il quinto motivo il ricorrente incidentale deduce “violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., dell’art. 1362 e seguenti cod. civ. (con particolare riguardo all’art. 1363 c.c.) in relazione all’ari. 1965 e 1346 c.c.; nonché omessa, insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione in ordine a fatto controverso decisivo in relazione all’art. 360, n. 5 c.p.c.” (così ricorso incidentale, pagg. 56 – 57).
Adduce che la corte territoriale “ha omesso di tenere in qualsivoglia conto i molteplici e concordanti testuali riferimenti (…) attestanti il carattere transattivo della convenzione” (così ricorso incidentale, pag. 57), tanto più che la stessa convenzione contiene “addirittura una esplicita autoqualificazione in tal senso” (così ricorso incidentale, pag. 58); che, in questi termini, “la problematica concernente la possibile quantificabilità dell’ammontare dello specifico e distinto corrispettivo della cessione immobiliare si appalesa del tutto priva di rilevanza” (così ricorso incidentale, pag. 58).
Con il sesto motivo il ricorrente incidentale deduce “violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’alt 360, n. 3, c.p.c., dell’art. 1367 c.c.; nonché omessa, insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione in ordine a fatto controverso decisivo in relazione all’art. 360, n. 5 c.p.c.” (così ricorso incidentale, pag. 61).
Adduce che la corte veneziana ha espressamente postulato “un dubbio sulla reale intenzione delle parti”; che, su tale scorta ed alla stregua del canone ermeneutico di cui all’art. 1367 c.c., la corte avrebbe dovuto accordare preferenza “all’effetto maggiore tra i vari effetti riconducibili alle soluzioni esegetiche alternative rese possibili dal contratto e pertanto, nel caso di specie, necessariamente a quello riconducibile all’avvenuta cessione della quota di proprietà immobiliare” (così ricorso incidentale, pag. 62).
Con il settimo motivo il ricorrente incidentale deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 e 1363 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.; nonché omessa, insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione in ordine a fatto controverso decisivo in relazione all’art. 360, n. 5 c.p.c.. In special modo: contraddittoria motivazione — rispetto all’affermato collegamento fra le cessioni delle quote societarie ed in particolare della […] s.a.s. e la cessione della quota del terreno nonché la più volte affermata avvenuta della cessione della quota […] — delle differenti conclusioni cui giunge la Corte, ravvisando la natura di atto ad effetti reali in riferimento alla cessione delle quote societarie, e ad effetti meramente obbligatori quanto alla cessione della quota di proprietà del terreno; punto decisivo perché avrebbe condotto il Giudicante, nell’ambito di una corretta interpretazione letterale — logica imposta dagli artt. 1362, 1 comma, e 1363 c.c., alla conclusione del carattere reale anche della cessione di quota del terreno, in analogia alla cessione delle quote societarie, che natura reale ha, anche ad avviso della Corte d’Appello” (così ricorso incidentale, pagg. 62 – 63).
Adduce che “risulta del tutto contraddittorio ed illogico dare (…) atto della ricorrenza di un collegamento funzionale tra le vicende traslative della quota immobiliare e delle quote relative a tutte e quattro le società (…), per pervenire al finale rilievo di una contrapposta natura dei relativi accordi, ossia ad effetti immediatamente traslativi, per le quote societarie, e ad effetti meramente obbligatori per la quota di proprietà immobiliare” (così ricorso incidentale, pagg. 65 – 66).
Con l’ottavo motivo il ricorrente incidentale deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.; nonché omessa, insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione in ordine a fatto controverso decisivo del giudizio in relazione all’art. 360, n. 5 c.p.c., laddove la Corte d’Appello valuta essere il tenore letterale della Convenzione di per sé non bastevole a qualificare l’accordo relativo alla cessione immobiliare siccome atto definitivo e ad effetti reali, senza peraltro fornire compiuta motivazione della ritenuta insufficienza della interpretazione letterale” (così ricorso incidentale, pag. 66).
Adduce che l’incarico di cui all’art. 10 della convenzione in data 28.12.1979 – alla cui stregua i contraenti ebbero, appunto, a dar mandato ai rispettivi consulenti “di redigere, congiuntamente, i più convenienti atti formali e definitivi di esecuzione della (…) convenzione, con tutte quelle integrazioni e modifiche che, a loro giudizio, fossero vantaggiose per l’interesse delle parti, sempre nel rispetto dei principi esposti in questa convenzione” – si giustifica, in considerazione dell’ampio margine di discrezionalità accordato ai rispettivi consulenti, in quanto attuativo di un’intesa definitiva, non già meramente preliminare.
Adduce inoltre che, al di là degli elementi letterali che la stessa corte di merito ha reputato “ambivalenti”, non risultano per nulla vagliati gli ulteriori e numerosi elementi letterali dell’accordo che, se debitamente presi in considerazione, avrebbero certamente condotto il giudice di seconde cure “a ritenere assodata, nelle intenzioni delle parti, la natura di atto definitivo, immediatamente traslativo della proprietà” (così ricorso incidentale, pag. 69).
Adduce, segnatamente, che la letterale espressione “si impegna”, rinvenibile nel testo della convenzione, “è l’unica affermazione della Convenzione che si esprime in termini di obbligatorietà, risultando, peraltro, contraddetta, da tutto il resto del testo della Convenzione” (così ricorso incidentale, pag. 73).
Adduce, tuttavia, che la valenza di tale espressione è esplicitamente “inficiata, anche sul piano letterale, dalla precisazione di cui all’art. 3 della convenzione stessa che, rinviando , ne richiama il contenuto parlando (non già di promesse di cessione e vendita, ma soltanto) di ” (così ricorso incidentale, pag. 73); che la qualificazione altresì della convenzione in guisa di contratto definitivo ad effetti reali meglio si attaglia al suo espresso carattere transattivo; che decisivo inoltre è il tenore dell’art. 7, ove si dà atto che le “le quote di partecipazione nelle s.a.s. […] saranno formalmente cedute contemporaneamente alla firma della presente con il versamento di L. 600.000.000 (…)” e si precisa che “invece, allo scopo di garantire il cedente in ordine al percepimento delle somme quivi convenute e dilazionate, il sig. […] manterrà l’intestazione (…) del terreno di cui in premessa”; che invero siffatta precisazione sarebbe “ultronea, all’evidenza, se l’atto avesse dovuto operare solo sul piano obbligatorio e che assume, per contro, un significato proprio in considerazione del presupposto che il trasferimento si sia di già attuato” (così ricorso incidentale, pag. 75); che rilevanti ancora sono non solo le espressioni “cessionari” e “cessioni” che si rinvengono nel corpo dell’art. 7, ma pure la locuzione “redigere i più convenienti atti formali e definitivi di esecuzione della presente convenzione”, di cui all’art. 10, segno evidente che era, “quanto ancora da compiersi, (…) mera attività esecutiva per formalizzare il già operato trasferimento di proprietà” (così ricorso incidentale, pag. 75).
Adduce, infine, che la conclusione cui è pervenuta la corte distrettuale risulta viepiù censurabile alla luce dell’elaborazione giurisprudenziale che impone al giudice “una particolarmente attenta valutazione del dato letterale prima di far ricorso — come avvenuto nel caso di specie — all’applicazione degli altri canoni ermeneutici” (così ricorso incidentale, pag. 76).
Con il nono motivo il ricorrente incidentale deduce “in riferimento all’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 1362, II comma, e dell’art. 1363 c.c., nonché omessa, insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione in ordine a fatto controverso decisivo del giudizio in relazione all’art. 360, n. 5 c.p.c., laddove la Corte, nel valutare la comune intenzione delle parti, avendo ritenuto che l’interpretazione letterale non fornisse elementi per aderire alla tesi dell’appellante (e ritenuto che, semmai, vi fossero elementi favorevoli alla tesi degli appellati), non ha proceduto, o comunque non lo ha fatto in maniera sufficiente, (come avrebbe dovuto fare, prima di ricorre al criterio sussidiario di cui all’art. 1367 c.c.) a valutare il ed in particolare la circostanza, che la Corte dà per provata, dell’avvenuto integrale pagamento del corrispettivo della cessione della quota di proprietà del terreno” (così ricorso incidentale, pag. 79).
Adduce che la territoriale “non si è conformata alla regola cardine (…) giusta la quale l’interprete non può limitarsi al senso letterale delle parole, ma deve procedere anche ad una valutazione del comportamento complessivo delle parti, anche posteriore alla conclusione del contratto” (così ricorso incidentale, pagg. 79 – 80); che, segnatamente, il comportamento delle parti più significativo, “vale a dire il pagamento dell’intero corrispettivo pattuito, è stato, invece, totalmente pretermesso” (così ricorso incidentale, pag. 81); che la valutazione di tale comportamento “ben avrebbe potuto e dovuto portare la Corte ad una pronuncia opposta a quella cui poi è arrivata” (così ricorso incidentale, pag. 82).
Con il decimo motivo il ricorrente incidentale deduce “pertanto, in riferimento all’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione del principio della gerarchia dei criteri ermeneutici di cui agli arti. 1362 e seguenti c.c.” (così ricorso incidentale, pag. 83). Adduce che il criterio ermeneutico oggettivo sussidiario di cui all’art. 1367 c.c. è stato applicato a preferenza del criterio interpretativo letterale — logico e del criterio che valorizza il comportamento complessivo delle parti; che, pertanto, la corte distrettuale “ha anche violato il principio della gerarchia dei criteri ermeneutici” (così ricorso incidentale, pag. 83).
Con l’undicesimo motivo il ricorrente incidentale deduce “in riferimento all’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 1366 c.c., risultando l’interpretazione fornita dalla Corte distrettuale contraria al principio di buona fede nell’interpretazione del contratto” (così ricorso incidentale, pag. 84).
Adduce che l’interpretazione recepita dalla corte territoriale è ben “distante dall’esigenza espressa dall’art. 1366 c.c.: la Corte (…) arriva a scegliere la soluzione ermeneutica più lontana dal criterio della buona fede” (così ricorso incidentale, pag. 85); che in particolare “il Giudice di secondo grado appare, poi, consapevole che l’azione ex art. 2932 c.c. — astrattamente esercitabile dai fratelli […] (…) — non è più possibile in quanto prescritta” (così ricorso incidentale, pag. 86).
Con il dodicesimo motivo il ricorrente incidentale deduce “in definitiva, in riferimento all’art. 360 n. 5 c.p.c., illogicità dell’intero impianto motivazionale” (così ricorso incidentale, pag. 87).
Adduce che, “in definitiva, non un solo elemento la Corte d’Appello evidenzia a favore della tesi dell’appellante, mentre almeno due sono gli elementi individuati a favore della conferma della sentenza di primo grado, e ciò nonostante, (…) arriva a riformare la sentenza del Giudice trevigiano” (così ricorso incidentale, pag. 88).

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Sia il ricorso principale sia il ricorso incidentale sono destituiti di fondamento. Si giustifica la disamina contestuale dei motivi tutti e del ricorso principale e del ricorso incidentale.
I motivi che concorrono, rispettivamente, a sorreggere ambedue le impugnazioni, sono invero strettamente connessi, giacché tutti, talora esattamente sovrapponendosi, involgono profili distinti dell’unica medesima quaestio che in questa sede rileva, ossia la interpretazione — qualificazione della convenzione in data 28.12.1979 in guisa di preliminare “proprio”, “con effetti meramente obbligatori” (così sentenza d’appello, pag. 7), ovvero di preliminare “improprio”, “dagli immediati effetti traslativi e dall’ulteriore efficacia obbligatoria inerente solo all’impegno di riprodurre nel rogito notarile il consenso già perfezionatosi per il trasferimento della proprietà” (così sentenza d’appello, pag. 7) .
Previamente questa Corte non può che reiterare i propri insegnamenti.
Ovvero l’insegnamento secondo cui, al fine di attribuire ad una convenzione negoziale la natura giuridica di contratto di compravendita ovvero di semplice preliminare, è determinante l’identificazione del comune intento delle parti, diretto, nel primo caso, al trasferimento della proprietà della “res” verso la corresponsione di un certo prezzo conformemente alla causa negoziale sancita dall’art. 1470 c.c., e, nel secondo, all’insorgenza di un particolare rapporto obbligatorio che impegni le parti stesse ad un’ulteriore manifestazione di volontà alla quale sono rimessi il trasferimento del diritto dominicale sul bene e l’assunzione dell’obbligo di pagamento del prezzo (cfr. Cass. 19.4.2000, n. 5132).
Ovvero l’insegnamento secondo cui lo stabilire se le parti abbiano inteso stipulare un contratto definitivo o dar vita ad un contratto preliminare di compravendita, rimettendo l’effetto traslativo ad una successiva manifestazione di consenso, si risolve in un accertamento di fatto riservato al giudice di merito; e secondo cui tale accertamento è incensurabile in sede di legittimità, se è sorretto da una motivazione sufficiente ed esente da vizi logici o da errori giuridici, e sia il risultato di un’interpretazione condotta nel rispetto delle regole di ermeneutica contrattuale dettate dagli art. 1362 ss. c.c. (cfr. Cass. 17.1.2001, n. 564; Cass. 21.5.2002, n. 7429; Cass. 20.11.2007, n. 24150; Cass. 31.10.2014, n. 23142).
Ovvero, l’insegnamento secondo cui né la censura ex n. 3) né la censura ex n. 5) del 1° co. dell’art. 360 c.p.e. possono risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione; d’altronde, per sottrarsi al sindacato di legittimità, sotto entrambi i cennati profili, quella data dal giudice al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito – alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (cfr. Cass. 22.2.2007, n. 4178; cfr. Cass. 2.5.2006, n. 10131).
All’insegna delle enunciate indicazioni nomofilattiche l’interpretazione patrocinata dalla corte d’appello — contrariamente all’assunto finale che il ricorrente incidentale ha veicolato con il “riepilogativo” dodicesimo motivo – è in foto inappuntabile, giacché, da un canto, non si prospetta in spregio ad alcun criterio ermeneutico legale, giacché, dell’altro, risulta ancorata a motivazione esaustiva, congrua e logica.
La corte di merito, ai fini della determinazione della comune intenzione dei contraenti, ha – si premette – senz’altro prestato ossequio alla regola della “gradualità” dei criteri ermeneutici (cfr. al riguardo Cass. sez. lav. 18.7.2000, n. 9438) e in nessun modo ne ha sovvertito – diversamente da quanto asserisce il ricorrente incidentale con il decimo motivo – l’ordine gerarchico (cfr. al riguardo Cass. sez. lav. 2.4.2002, n. 4680, secondo cui dal sistema delle regole ermeneuliche in materia di contratti si desume l’esistenza di un principio di gerarchia, nel senso che le norme interpretative di cui agli artt. 1362 – 1365 c.c. prevalgono su quelle interpretative integrative di cui agli artt. 1366 – 1371 c.c. per modo che la determinazione oggettiva del significato e della portata da attribuire alla dichiarazione negoziale non ha alcuna ragione di essere quando la ricerca soggettiva abbia condotto ad un utile risultato).
La corte distrettuale in primo luogo, in ottemperanza al criterio cardine ancorato al senso letterale delle parole, di cui al l° co. dell’art. 1362 c.c., ha debitamente vagliato le espressioni (“si impegna a cedere”, “si impegnano ad acquistarle”, “si impegna a vendere”, “si impegnano ad acquistare”, di cui alle clausole 1 e 2 della convenzione) che, ex se valutate, ben avrebbero potuto deporre, limitatamente alla cessione della quota di 1/4 del terreno in […], per la natura di “preliminare proprio” e non già di “definitivo” della convenzione de qua agitur.
E, nondimeno, le ha reputate ai sensi — ovviamente – del disposto dell’art. 1363 c.c. inidonee a sciogliere l’alternativa (“preliminare proprio” — ‘preliminare improprio’) al cospetto di altre letterali espressioni di antitetica valenza (“il corrispettivo delle cessioni e vendite di cui alle clausole 1 e 2 che precedono”, di cui alla clausola 3, 1° co., della convenzione), altre espressioni, pertanto, dalla corte distrettuale ben riscontrate — a differenza di quanto deducono il ricorrente principale col primo motivo di ricorso (“omettendo di prendere in considerazione anche altre significative clausole, che già sulla base del loro significato letterale appaiono suscettibili (…)”: così ricorso principale, pag. 18) ed il ricorrente incidentale con l’ottavo motivo di ricorso (“valenza (…) espressamente inficiata, anche sul piano letterale, dalla precisazione di cui all’art. 3 della convenzione stessa che, rinviando “: così ricorso incidentale, pag. 73) — ma, siccome “inficiate” dalle prime, similmente alle prime considerate inadatte a risolvere la quaestio de qua (“proprio in ragione di una lettura complessiva della Convenzione (…), ha ritenuto il tenore letterale, di per sé non risolutivo”: così controricorso avverso […], pag. 68).
La corte perciò ha giudicato sterile il prioritario canone esegetico e legittimamente è andata oltre nell’utilizzo dello strumentario ermeneutico.
La corte territoriale in secondo luogo, in conformità – contrariamente a quanto il ricorrente incidentale prospetta con il nono motivo – al criterio sussidiario correlato al comportamento complessivo, pur posteriore alla conclusione del contratto, di cui al 2° co. dell’art. 1362 c.c. (cfr. Cass. 19.5.2000, n. 6482, secondo cui nell’interpretazione dei contratti è possibile fare ricorso al criterio della valutazione del comportamento complessivo solo quando il criterio letterale e quello del collegamento logico tra le varie clausole si rivelino inadeguati all’accertamento della comune intenzione delle parti), ha ritualmente tenuto conto di due circostanze ulteriori (“l’unica somma di Lit. 600 milioni versata contestualmente alla convenzione (…) è in effetti il corrispettivo della cessione, contemporanea alla sottoscrizione, delle quote di partecipazione di tre delle quattro società indicate nella premessa dell’atto” (così sentenza d’appello, pag. 6) con esclusione propriamente della “[…] s.a.s.; la convenzione in data 28.12.1979 non recava regolamentazione alcuna circa “l’estensione del possesso degli altri fratelli alla quota immobiliare dell’appellante” (così sentenza d’appello, pag. 6)), che pure, ex se vagliate, ben avrebbero potuto far propendere, limitatamente alla cessione della quota di 1/4 del terreno, per la natura di “preliminare proprio” e non già di “definitivo” della stipulazione in data 28.12.1979, giacché, innegabilmente, l’integrale pagamento del prezzo e la traditio rei sono, per converso, indici significativi, quanto meno in via tendenziale, del carattere definitivo della pattuizione.
E, tuttavia, le ha analogamente considerate inidonee ai fini della soluzione della quaestio ermeneutica.
La corte veneziana in terzo luogo, nel quadro dell’indubitabile “collegamento della cessione delle quote societarie e della quota di comproprietà del terreno” (così sentenza d’appello, pag. 7) e, dunque, nuovamente e debitamente nel solco dell’art. 1363 c.c. (cfr. Cass. 11.6.1999, n. 5747, secondo cui in tema di interpretazione del contratto, anche quando l’interpretazione di ciascuna delle clausole che concorrono alla formazione del testo negoziale è compiuta sulla base del “senso letterale delle parole” e conduca a risultati di certezza, il giudice è tenuto ad applicare il criterio dell’interpretazione sistematica, posto dall’art. 1363 c.c., riferendo le varie espressioni adoperate all’intero testo in modo da ricavarne il senso complessivo e nel contempo intendere la singola espressione in funzione del testo, di cui è parte integrante), ha — diversamente da quanto assume con il primo motivo il ricorrente principale, nella parte in cui asserisce che si è negata ogni considerazione al 3° co. del clausola 7 – posto in risalto un duplice aspetto.
Ovvero che il perfezionamento della cessione della quota di partecipazione nella s.a.s. — diversamente dalla cessione delle quote di partecipazione nelle ulteriori società in accomandita, “formalmente cedute contemporaneamente alla firma della presente con il versamento di L. 600.000.000” (così convenzione in data 28.12.1979, clausola 7, 1° co.) — risulta esplicitamente posticipato, al più tardi, alla data del 30.4.1980, data in coincidenza della quale si sarebbe dovuto attendere alla regolamentazione dei “conguagli di dare ed avere a carico e rispettivamente a favore di […]” (così convenzione in data 28.12.1979, clausola 4, 2° co.).
Ovvero che alla medesima data del 30.4.1980 risulta esplicitamente posticipato anche il formale trasferimento della “quota di proprietà del terreno” (così convenzione in data 28.12.1979, clausola 7, 3° co.).
Ebbene, sulla scorta di siffatto duplice rilievo e del rilievo aggiuntivo ritualmente (cfr. Cass. 7.10.2010, n. 20817, secondo cui, in tema di interpretazione del contratto, qualora la medesima vicenda negoziale ed i relativi effetti abbiano formato oggetto di due o più atti scritti, il giudice è tenuto, giusta il disposto dell’art. 1363 c. c., ad esaminare tutte le convenzioni intercorse tra le parti sì come risultanti dai documenti all’uopo formati, stabilendo, altresì, il rapporto tra clausole e documenti, se di chiarimento, di integrazione, di modificazione, di trasformazione o di annullamento delle precedenti pattuizioni) desunto — a differenza di quanto deduce col terzo motivo il ricorrente incidentale – dalla scrittura, costituente il documento 1/A, in data 18.2.1980 (con tale scrittura le parti avevano provveduto, all’esito del recesso di […] dalla […] s.a.s., alla liquidazione della quota già di pertinenza di costui, eppure non avevano indicato il corrispettivo spettante gli, il che, a giudizio del secondo giudice, avvalorava l’ipotesi che anteriormente al 30.4.1980, data prevista, giusta il disposto del 3° co. della clausola n. 7, per il formale trasferimento della medesima quota di partecipazione della […], “fosse ancora necessario definire i conguagli dei prelevamenti dei soci (…) con ulteriori compensazioni rapportate ai corrispettivi già definiti per ciascuna cessione”: così sentenza d’appello, pag. 8), la corte d’appello è addivenuta alla conclusione, assolutamente da condividere, in virtù della quale dovevasi ritenere “che il corrispettivo definitivo della cessione immobiliare non risultasse determinato né determinabile quando le parti sottoscrissero la convenzione e che fosse bensì variabile in quanto ancora rimesso (…) alla definizione dei conguagli da contenere nella cifra complessivamente e definitivamente riconosciuta a suo credito per £ 1.400.000.000” (così sentenza d’appello, pag. 8).
Più esattamente, e ad aggiuntivo riscontro della correttezza del postulato esegetico testé riferito, si rappresenta che il corrispettivo era, sì, definitivamente e complessivamente determinato, ai sensi del 1° co. della clausola 3, in lire 1.400.000.000 (di cui lire 238.811.500, “quale compensazione della quota parte pari ad 1/4 della somma di L. 955.246.000 (…) corrispondente ai prelevamenti dei soci al 31/12/1978” (così convenzione in data 28.12.1979, clausola 3, 2° co., lett. a)), lire 600.000.000, ai sensi della clausola 7, 1° co., quale corrispettivo — versato alla sottoscrizione della medesima convenzione — della cessione delle partecipazioni nella […] e lire 250.000.000, quale corrispettivo della cessione della partecipazione nella […] s.a.s., qualora il trasferimento di tale quota, giusta la previsione del 4° co. della clausola 7, fosse stato formalizzato anticipatamente rispetto alla scadenza del 30.4.1980).
E, però, mercé la clausola 4, espressamente fatta salva dall’inciso finale del l° co. della clausola 3 e dall’inciso finale della lett. a) del 2° co. della clausola 3, le parti ebbero, al 1° co., a dare atto testualmente che “il corrispettivo di cui al punto 3) è stato determinato sul presupposto che i prelevamenti da parte dei quattro soci nell’ambito delle quattro società siano di pari valore”, che “questo presupposto è difforme dalla realtà”, che — le parti – “con atto separato provvedono ad accordarsi per determinare le somme prelevate, le date di prelevamento ed i relativi necessari conguagli”. Ed, al 2′ co., a dar atto testualmente che “i conguagli di dare ed avere a carico e rispettivamente a favore di […], saranno regolati in coincidenza con la scadenza di cui alla lettera e) della clausola sub 3)”, cioè entro e non oltre il 30.4.1980.
Cosicché, pur ad opinar nel senso che il complessivo quantum – lire 1.400.000.000 — del corrispettivo fosse stato pattuito in via definitiva, è indubitabile nondimeno che la possibilità di variazione in aumento o in diminuzione della quota di lire 238.811.500, in dipendenza ed all’esito dei conguagli da effettuare entro il 30.4.1980, ben avrebbe potuto, corrispondentemente, cagionare la variazione in diminuzione o in aumento della quota di corrispettivo conciata alla cessione della quota ideale di 1/4 della piena proprietà del terreno in […].
In questi termini non solo è ineccepibile il corollario esegetico summenzionato — cui la corte di merito è pervenuta, ma in nessun modo possono esser recepiti i rilievi di […].
Segnatamente, del ricorrente principale, di cui al secondo motivo, alla cui stregua “in realtà, non c’è alcuna indeterminatezza del prezzo” (così ricorso principale, pag. 29). Segnatamente, del ricorrente incidentale, di cui al terzo motivo, alla cui stregua “quando venne sottoscritta la Convenzione 28.12.1979, il prezzo, anche relativo alla cessione immobiliare, non era per nulla variabile” (così ricorso incidentale, pag. 49) ed alla cui stregua “il prezzo relativo alla cessione dell’immobile non poteva non ammontare, per differenza, a Lit. [1.400.000.000 – (250.000.000 + 600.000.000 + 238.000.000)] 311.189.000, come ulteriormente ribadito anche dal disposto del terzo comma dell’art. 7 della Convenzione” (così ricorso incidentale, pag. 54). Segnatamente, del ricorrente incidentale, di cui al secondo motivo (“non è però dato di comprendere (…) a quali carenze la Corte si riferisca”: così ricorso incidentale, pag. 41): la corte veneziana propriamente ha inteso porre in risalto la “fluidità” — la suscettibilità di variazione — del quantum, ancorché determinabile, del corrispettivo della cessione della quota ideale di 1/4 del terreno (“sebbene determinabile, risulta condizionato dalle compensazioni da praticare in conseguenza dei previsti conguagli”: così sentenza d’appello, pag. 10).
D’altra parte, a causa, appunto, della “fluidità” del quantum del corrispettivo della cessione della quota di 1/4 del terreno, neppure merita seguito la censura, specificamente addotta da […] col settimo motivo, a tenor della quale il collegamento funzionale della cessione delle quote di partecipazione nelle società in accomandita e della cessione della quota ideale di 1/4 del terreno non giustifica l’affermata diversa natura — definitiva e preliminare ad un tempo – della convenzione in data 28.12.1979.
Al riguardo dice bene […] allorché puntualizza che “del tutto legittimamente, (…) nell’ambito di quella operazione che la Corte di merito ha ben colto” (così controricorso avverso […], pag. 63), “le parti (…) avevano separato il trasferimento delle quote delle tre società, che si perfezionava subito (…), dal trasferimento della quota […] e della quota immobiliare, che si sarebbe perfezionato in seguito” (così controricorso avverso […], pag. 63). Ed allorché soggiunge che <scindere> l’analisi della natura/effetti del trasferimento delle quote delle tre società dal trasferimento delle quote di […] e del terreno non significa certo seguire un iter logico <contraddittorio> , bensì, anzi, al contrario (…), calarsi nella stessa ottica delle parti e rispettare la volontà di queste” (così controricorso avverso […], pag. 63).
In questo quadro, nel quale non riveste alcuna precipua valenza far leva (siccome fa leva il ricorrente incidentale, rispettivamente, col quarto e col quinto motivo di ricorso) sulla figura dell’arbitraggio (la corte d’appello per nulla è pervenuta “ad una finale valutazione di indeterminabilità del corrispettivo” (così ricorso incidentale, pag. 55) ed ha opinato in ogni caso per la determinabilità del corrispettivo della cessione della quota di ‘h del terreno) ovvero sulla finalità transattiva della convenzione in data 28.12.1979 (a tal ultimo riguardo va appieno condivisa 1 ‘affermazione del controricorrente a tenor della quale “si tratta di un elemento assolutamente neutro (…): transattiva è la causa del preliminare proprio come transattiva è la causa del preliminare improprio”: così controricorso avverso […], pag. 59), la corte distrettuale ha irreprensibilmente, in dipendenza e in aderenza – si reitera — alla “fluidità” del quantum del corrispettivo correlato alla cessione della quota del terreno, ritenuto di “leggere” e, onde sciogliere la quaestio “interpretativa — qualificatoria” sottoposta alla sua delibazione, di intendere la concreta fattispecie negoziale, limitatamente la cessione della quota ideale del terreno in […], all’insegna dell’elaborazione giurisprudenziale di legittimità, secondo cui, ai fini della validità del contratto preliminare, non è indispensabile la completa e dettagliata indicazione di tutti gli elementi del futuro contratto, risultando sufficiente l’accordo delle parti su quelli essenziali (fr. Cass. 1.2.2013, n. 2473, ove si soggiunge che, nel preliminare di compravendita immobiliare, per il quale è richiesto “ex lege” l’atto scritto come per il definitivo, è sufficiente che dal documento risulti, anche attraverso il riferimento ad elementi esterni, ma idonei a consentirne l’identificazione in modo inequivoco, che le parti abbiano inteso fare riferimento ad un bene determinato o, comunque, determinabile, la cui indicazione pertanto, attraverso gli ordinari elementi identificativi richiesti per il definitivo, può anche essere incompleta o mancare del tutto, purché, l’intervenuta convergenza delle volontà sia anche “aliunde” o “per relationem”, logicamente ricostruibile; cfr., altresì, Cass. 30.5.2003, n. 8810). E, in modo più che pertinente, ha ritenuto inoltre, a fruizione integrale dello strumentario esegetico che il codice appresta, di corroborare l’operata “lettura”, ancorandola al canone “oggettivo” di cui all’art. 1367 c.c., onde assicurare la permanenza (degli effetti) della siglata convenzione e sottrarla al rischio di “nullità” correlabili alla verificata “fluidità” in special maniera del prezzo della cessione immobiliare.
In questo quadro, quindi, in particolare alla luce degli insegnamenti n. 2473/2013 e n. 8810/2003 (dapprima citati), per niente si giustificano – poiché, si ribadisce, la corte di seconde cure ha opinato in ogni caso per la determinabilità del corrispettivo della cessione della quota di 1/4 del terreno – sia l’assetto del ricorrente principale — di cui al secondo motivo – secondo cui, “se il prezzo non risultasse indicato e il terreno non identificato né identificabile allora il contratto sarebbe nullo, perché anche un contratto preliminare non può risultare privo di tali specificazioni” (così ricorso principale, pag. 29), sia l’asserto del ricorrente incidentale — di cui al primo motivo — secondo cui “sia il preliminare ad effetti obbligatori che quello ad effetti reali sono nulli per carenza di individuazione di tali essenziali elementi” (così ricorso incidentale, pag. 37).
In questo quadro, inoltre, in particolare in relazione all’ “utilizzo” del canone ermeneutico di cui all’art. 1367 c.c., si rappresenta che questa Corte spiega che il principio di conservazione del contratto non comporta solo che esso – o le sue singole clausole – vengano interpretate nel senso in cui possano avere un qualche effetto, ma richiede che il contratto non risulti neppure in parte frustrato e che la sua efficacia potenziale non subisca alcuna limitazione (cfr. Cass. 1.9.1997, n. 8301). Di modo che per nulla si giustifica l’asserto del ricorrente incidentale — di cui al sesto motivo — secondo cui la corte d’appello avrebbe dovuto accordare preferenza “all’effetto maggiore (…), nel caso di specie, necessariamente a quello riconducibile all’avvenuta cessione della quota di proprietà immobiliare” (così ricorso incidentale, pag. 62).
Da ultimo, si rappresenta ulteriormente quanto segue.
Innanzitutto, in ordine al riferimento all’art. 18, 2° co., della legge n. 47/1985 — che si rinviene a pagina 9 della sentenza d’appello, riferimento investito — tra l’altro – dal complesso delle censure veicolate dal primo motivo di ricorso incidentale, che l’insegnamento di questo Giudice del diritto – secondo cui, ai sensi del 2° co. dell’art. 18 della legge 28.2.1985, n. 47, la nullità degli atti tra vivi aventi per oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento della comunione di diritti reali relativa a terreni, quando ad essi non sia allegato il certificato di destinazione urbanistica contenente le prescrizioni riguardanti l’area interessata, si riferisce esclusivamente ai contratti che, di per sé, determinano l’effetto reale indicato dalla norma e non anche a quelli con effetti obbligatori, come il contratto preliminare di compravendita, sicché quest’ultimo é valido e vincolante per le parti, salva l’esigenza di allegazione del certificato di destinazione urbanistica per la conclusione del contratto definitivo o per la sentenza di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto definitivo, di cui all’art. 2932 c.c. (cfr. Cass. 6.6.2006, n. 13221) – aggiuntivamente concorre a corroborare, tanto più a mente dell’art. 1367 c.c., la qualificazione in maniera di preliminare “proprio” della convenzione datata 28.12.1979, “ben potendo un preliminare sprovvisto di menzioni/allegazioni urbanistiche tradursi in un successivo contratto definitivo validamente munito delle stesse” (così controricorso avverso […], pag. 46).
Altresì, che, diversamente da quanto pretende il ricorrente incidentale con l’ottavo motivo di ricorso, sul substrato di una pattuizione preliminare “propria”, ossia di una pattuizione “a maglie larghe”, si innesta perfettamente — e se ne trae esaustiva ragione – l’ampio mandato che i contraenti ebbero a conferire ai rispettivi consulenti alla clausola 10 della convenzione. Inoltre, che la pattuizione di cui al 2° co. della clausola 7 (“allo scopo di garantire il cedente in ordine al percepimento delle somme quivi convenute e dilazionate, il […] manterrà la intestazione sia del terreno di cui in premessa, sia della partecipazione della s.a.s. […] quale socio accomandante”) coerentemente si coniuga con la qualificazione della convenzione de qua, limitatamente alla cessione della quota immobiliare e della quota di partecipazione nella s.a.s. […], in guisa di stipulazione non destinata a produrre immediati effetti traslativi.
Infine, in ordine segnatamente all’undicesimo motivo del ricorso incidentale, che il criterio della buona fede nella interpretazione dei contratti deve ritenersi funzionale ad escludere il ricorso a significati unilaterali o contrastanti con un criterio di affidamento dell’uomo medio (cfr. Cass. 15.3.2004, n. 5239).
In questi termini è da escludere recisamente che la corte veneziana abbia violato il criterio ermeneutico anzidetto. […]