Corte di Cassazione, Sez. 2, Sentenza n. 15026 del 2013, dep. il 14/06/2013

[…]
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione del 19/1/1999 […] conveniva in giudizio la madre […] e le sorelle […] esponendo che il proprio padre le aveva lasciato per testamento la metà di un appartamento in Trento, mentre l’altra metà risultava fittiziamente intestata alla madre, che lo abitava;
la madre, inoltre, aveva ritirato l’intero importo di un libretto di deposito bancario cointestato alla medesima e al padre il quale ne aveva disposto con testamento a favore di essa attrice; aggiungeva che il terreno e la casa ivi costruita in […] erano stati fittiziamente intestati alla madre, ma acquistati dal padre. Ciò premesso, formulava domande per la declaratoria di falsità del testamento olografo e di indegnità della madre a succedere al defunto marito, che non sono oggetto del ricorso del ricorso per cassazione in quanto abbandonate; con riferimento a quanto qui ancora interessa, chiedeva:
che fosse dichiarata la simulazione per interposizione fittizia, degli acquisti immobiliari effettuati dalla madre durante la vita del coniuge o, ove ritenuti donazioni, la loro nullità per difetto dell’atto pubblico o, in subordine, che il coniuge fosse dichiarato tenuto, ai sensi dell’art. 737 c.p.c. a conferire i beni oggetto di donazione nell’asse ereditario;
che fosse aperta la successione legittima con ricomprensione di tutti i beni, comprese le somme depositate sul libretto bancario, nell’asse ereditario del padre e, in subordine, la riduzione delle donazioni per lesione della legittima;
che l’asse ereditario, come risultante dall’accoglimento delle sue domande, fosse diviso.
L’attrice presentava inoltre ricorso per la reintegrazione nel possesso di un alloggio nell’edificio di […] assumendo di averne subito lo spoglio.
Nel processo era ordinata l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei due soggetti che avevano venduto, con atti che si sostenevano nulli per simulazione, l’immobile di […] e l’immobile in […]; di questi si costituiva il solo […] (dal quale era stato acquistato l’appartamento in […]) che negava di essere stato a conoscenza di accordi simulatori. La madre dell’attrice si costituiva eccependo la prescrizione dell’azione di simulazione e in via riconvenzionale chiedeva la riduzione del legato testamentario disposto a favore dell’attrice e relativo all’immobile in Trento; in subordine, chiedeva la divisione secondo le norme sulla successione legittima; le altre figlie dei due coniugi si costituivano associandosi alle richieste della madre.
Con sentenza del 14/5/2003 il Tribunale di Trento rigettava la domande attrici (salvo quella relativa alla somma del libretto di deposito) e accoglieva la domanda di riduzione per lesione di legittima, del legato fatto dal de cuius […] a favore dell’attrice.
[…] Milena proponeva appello al quale resistevano le sorelle […], la madre […] nonché, con separata comparsa, […]. Con sentenza non definitiva del 13/5/2005 la Corte di Appello di Trento, in parziale riforma della sentenza appellata, accertava che gli immobili in […] e la metà indivisa dell’immobile in […] erano stati acquistati con denaro del de cuius ed erano stati oggetto di donazione indiretta alla moglie […];
dichiarava, di conseguenza, la necessità della collazione ai fini del calcolo delle quote di diritto delle parti secondo quanto esposto nella motivazione della sentenza, ossia in relazione al diritto di […] di chiedere la sua quota di legittimaria (v. pag. 22 della sentenza non definitiva); compensava per 1/3 le spese del primo e secondo grado tra […] e […], condannando la prima al pagamento dei restanti due terzi. La causa proseguiva per la stima degli immobili.
La Corte di Appello di Trento, con sentenza definitiva del 13/7/2006 determinava in Euro 1.155.219,00 il valore complessivo dell’asse ereditario oggetto di divisione, comprensivo del valore della casa in […] e degli immobili in […] e, determinata in Euro 144.402,38 la quota di riserva spettante a ciascuna figlia quale legittimarla, ritenuto che non fossero applicabili le norme in materia di successione legittima, escludeva che […], alla quale perveniva un legato (ossia la nuda proprietà dell’immobile in […]) del valore di Euro 186.966, avesse subito lesione della propria quota di riserva, avendo, anzi ottenuto una parte della quota disponibile così che non poteva accampare diritti di partecipazione pro quota sugli immobili siti in […].
In conclusione, la Corte di Appello, definitivamente pronunciando, in parziale riforma della sentenza di primo grado, rigettava l’azione di riduzione proposta da […] nei confronti della propria madre, compensava le spese tra le eredi e poneva in misura paritaria a carico dell’appellante e delle appellate le spese di CTU. […] propone ricorso affidato a quattro motivi e deposita memoria.
Resistono con controricorso […]
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente deduce l’erronea interpretazione e applicazione degli artt. 1414 e 1417 c.c. in relazione all’art. 102 c.p.c.. La ricorrente sostiene di avere proposto la domanda di simulazione relativa in via meramente incidentale e senza possibilità di estendere a terzi gli effetti dell’accertamento, ma solo per fare ricomprendere gli immobili nella massa ereditaria dei beni da dividersi tra le parti.
Con riferimento al regime probatorio sostiene che, anche a volere ammettere la necessità di una pronuncia che faccia stato anche nei confronti dei simulati alienanti, la prova poteva essere fornita anche senza la controdichiarazione scritta in quanto essa aveva agito come erede legittimarla.
A conclusione dell’illustrazione del motivi chiede a questa Corte di stabilire se:
a) nell’ipotesi in cui l’erede chieda la declaratoria di simulazione per interposizione fittizia di un acquisto immobiliare al solo scopo di fare includere il bene nell’asse ereditario del de cuius, dissimulato acquirente, tale domanda possa essere intesa quale domanda di accertamento incidentale che non richiede ne’ la partecipazione al processo del terzo venditore, ne’ la prova della sua cosciente partecipazione all’accordo simulatorio;
b) se, in caso di risposta negativa, la prova della simulazione possa essere fornita senza limiti di prova dal legittimario che agisca in riduzione.
1.1 Occorre premettere che l’odierna ricorrente ha proposto l’azione di riduzione che è stata rigettata, con la sentenza definitiva, per insussistenza della lesione della legittima; in ordine a tale rigetto non v’è impugnazione.
La domanda di collazione e la domanda di riduzione sono istituti diversi: il bene richiesto con la collazione in sede divisoria è la ricomposizione, in modo reale, dell’asse ereditario e trae fondamento dal diritto dei coeredi di conseguire la divisione in proporzioni eguali.
L’azione di riduzione, invece, tende a ridurre le porzioni degli altri successibili, per conseguire la reintegrazione delle quote di riserva dei legittimari; tale azione è quindi diversa per petitum, (riduzione delle disposizioni testamentarie e, se necessario, anche delle donazioni per reintegrare la quota di riserva) e di causa petendi, data dalla qualità di erede legittimario e dalla lesione della quota di legittima.
Nel caso di azione di simulazione per interposizione fittizia dell’acquirente, ove sia escluso ogni interesse del venditore a conservare quale contraente la persona interposta anziché la persona reale, partecipe effettiva del negozio (e cioè a sostenere la sincerità dell’atto circa la persona dell’altro contraente) non è indispensabile, ai fini della declaratoria dell’interposizione fittizia, la presenza in giudizio del venditore medesimo, non versandosi in ipotesi di litisconsorzio necessario (cfr. ex multis, Cass. 7/7/2009 n. 15955; Cass. 29/12/2010 n. 26365 e, da ultimo, Cass. SS.UU. 14/5/2013 n. 11523). Tuttavia il contraddittorio è stato integrato e la Corte di merito non ha rigettato la domanda per omessa integrazione del contraddittorio, ma ha escluso l’interposizione fittizia ritenendo la diversa ipotesi della donazione indiretta; ne discende che sotto questo profilo manca l’interesse ad impugnare la decisione. Resta il fatto che la tesi sostenuta dalla ricorrente, secondo la quale l’interposizione fittizia avrebbe potuto essere provata, trattandosi di accertamento incidentale, anche senza necessità di prova scritta (prova pacificamente inesistente) è del tutto infondata.
Nella specie, per l’evidenza delle stesse conclusioni formulate con l’atto di appello, la simulazione dei contratti non era oggetto di mera deduzione, strumentale o incidentale, ai soli fini d’esercizio dell’azione personale di riduzione che è stata rigettata ma anche allo scopo di fare rientrare, con effetto reale, il bene nel patrimonio ereditario e, sotto questo profilo, era necessaria la prova scritta dell’accordo simulatorio in quanto in questo caso l’attrice agiva quale erede di una delle parti del contratto simulato e non quale terzo.
Pertanto il primo motivo deve essere rigettato e al quesito sub a) deve essere data risposta negativa, mentre il quesito sub b) non è pertinente rispetto alla ratio decidendi perché, pur essendo corretto affermare che la prova della simulazione può essere fornita senza limiti di prova dal legittimario che agisca in riduzione, non è qui in discussione l’azione di riduzione essendo stata esclusa la lesione della legittima.
2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la nullità della sentenza nel punto in cui modifica la precedente sentenza non definitiva di appello per violazione ed erronea applicazione dell’art. 279 c.c., comma 2, n. 4 e dell’art. 361 c.p.c. e degli artt. 737 e 2909 c.c.. La ricorrente sostiene che con la sentenza non definitiva la Corte di Appello aveva stabilito l’inclusione nella massa ereditaria dei beni immobili dichiarati oggetto di donazione indiretta; questa statuizione, non impugnata, era passata in giudicato, mentre con la sentenza definitiva il giudice di appello avrebbe escluso dalla massa da dividere i beni oggetto di donazione indiretta. La ricorrente formula quesiti diretti a stabilire:
se il giudice del merito possa, con la sentenza definitiva, modificare statuizioni della sentenza non definitiva;
– se tale modifica sia consentita quando la sentenza non definitiva non sia stata oggetto di riserva di impugnazione da parte del soggetto avente interesse alla sua modifica;
– se possano escludersi dalla successione ab intestato e dalla divisione i beni che il de cuius aveva in vita indirettamente donato alla moglie sull’assunto che non potevano ritenersi presenti nel suo patrimonio al momento dell’apertura della successione.
2.1 Il motivo non attinge la ratio decidendi della sentenza definitiva impugnata ed è comunque infondato. La sentenza non definitiva aveva fatto riferimento con impropria terminologia alla collazione, ma:
– dall’esame del dispositivo della sentenza nel quale la collazione è finalizzata alla divisione in base alle rispettive quote di diritto secondo quanto esposto in motivazione;
– e dall’esame della motivazione nella quale si afferma (v. pag. 22) che […] ha diritto di chiedere un supplemento di quanto destinatole a seguito di collazione, quale legittimarla (e non quale erede legittima), risulta evidente che il riferimento alla collazione costituisce solo una improprietà terminologica, dovendo intendersi come riferito al diverso istituto della riunione fittizia (art. 556 c.c.) per effetto della quale solo fittiziamente sono riuniti i beni di cui sia stato disposto a titolo di donazione (donatum), secondo il valore che avevano al tempo della successione e dalla somma di questi due valori (relictum + donatum) si forma l’asse su cui verranno calcolate la quota disponibile e, per differenza, quella dei legittimari, così come effettivamente ha operato la Corte di Appello con la sentenza definitiva, senza pertanto discostarsi dal contenuto sostanziale della sentenza non definitiva, come reso palese dai riferimenti alla quota di legittimarla (pag. 22) e alla quota di riserva (pag. 23).
È infatti appena il caso di ricordare che, mentre il soggetto chiamato all’eredità è l’erede legittimo, quando, invece, si usa il termine di erede legittimario, si fa riferimento a un istituto completamente diverso che trova la propria disciplina nella parte generale della normativa sulle successioni, in primis nell’art. 457 c.c. e nell’art. 536 c.c. e seguenti: l’erede legittimario è colui al quale la legge garantisce una quota di eredità, indipendentemente dalle decisioni che il proprietario dei beni possa assumere mediante la redazione di un testamento; il principio è chiarito dall’art. 457 c.c. che precisa come “le disposizioni testamentarie non possono pregiudicare i diritti che la legge riserva ai legittima)”. Con la sentenza definitiva non sono stati esclusi dal computo i beni oggetto di donazione indiretta, ma, al contrario, vi sono stati ricompresi ed è stato accertato che la quota di riserva non era stata violata perché nell’asse ereditario era stata ricompresa, per effetto di disposizione testamentaria, la quota di metà dell’appartamento in Trento, oggetto della donazione indiretta del de cuius alla propria moglie; in particolare, la Corte di Appello con la sentenza definitiva, premesso che la volontà del testatore era quella di soddisfare la figlia […] con l’attribuzione dell’intera proprietà dell’appartamento in [..], ha calcolato correttamente il valore del legato in Euro 186.966,00 a fronte di una quota di riserva (Euro 144.402,38) nettamente inferiore. Pertanto i quesiti non sono pertinenti perché la Corte di Appello, con la sentenza definitiva ha escluso che vi fosse una violazione della quota di riserva e, con riferimento alle spettanze degli eredi, ha rilevato che:
la massa sulla quale gli eredi potevano vantare diritti era costituita dal valore della casa di […] e dal valore degli immobili di […], oggetto di donazione indiretta;
– il valore complessivo della massa così formata era pari a Euro 1.155.219 (pag. 7 della sentenza di appello);
l’appellante […] con il legato senza dispensa da collazione aveva ricevuto un valore stimato in Euro 186.966,00, ben superiore alla quota di riserva, stimata in Euro 144.402,38, a lei spettante come figlia (pag. 9 della sentenza di appello);
– che pertanto essa non poteva accampare diritti sugli immobili oggetto di donazione indiretta alla madre il cui valore non eccedeva la quota di riserva della stessa madre e delle sorelle e la residua disponibile sulla quale va a gravare anche il diritto di abitazione ex art. 540 c.c.. Occorre al riguardo precisare che la collazione, nell’azione di riduzione per lesione di legittima, non comporta, nel caso di donazioni indirette, l’acquisizione alla comunione ereditaria del bene, ma del suo controvalore.
Infatti pur dovendosi riconoscere che l’acquisto di un immobile con denaro del disponente e intestazione ad altro soggetto (che il primo intende, in tal modo, beneficiare), costituisce lo strumento formale per il trasferimento del bene ed il corrispondente arricchimento del patrimonio del destinatario e che pertanto integra una donazione indiretta del bene, e non del denaro (giurisprudenza consolidata, a partire da Cass. SS.UU. 5/8/1992, n. 9282; Cass. 26/8/2002, n. 12486;
Cass. 6/4/2001, n. 5122), questa Corte ha tuttavia affermato che alla riduzione delle liberalità indirette non si può applicare il principio della quota legittima in natura, connaturale invece all’azione nell’ipotesi di donazione ordinaria d’immobile (art. 560 cod. civ.); ne discende che l’acquisizione riguarda il controvalore, mediante il metodo dell’imputazione, perché con l’azione di riduzione delle donazioni indirette non è messa in discussione la titolarità dei beni donati e non si incide sul piano dalla circolazione dei beni; viene perciò a mancare il meccanismo di recupero reale della titolarità del bene mentre il valore dell’investimento finanziato con la donazione indiretta, deve essere ottenuto dal legittimario sacrificato con le modalità tipiche del diritto di credito (Cass. 12/5/2010 n. 11496). Queste considerazioni escludono in radice la possibilità di una divisione in natura per i beni immobili oggetto di donazione indiretta.
La Corte di Appello, dopo avere escluso la lesione della quota di riserva (conclusione sulla quale non v’è specifico motivo di impugnazione) ha osservato che nel caso concreto andava esclusa l’operatività della disposizioni per la successione legittima, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante […], dal momento che per l’accertamento della natura di donazioni indirette i beni dovevano considerarsi ormai usciti dal patrimonio del de cuius. La pur sintetica motivazione (collegata alla individuazione delle componenti del compendio ereditario, tutte oggetto di precedenti disposizioni: v. pag 7 della sentenza) lascia chiaramente intendere che non poteva addivenirsi ad una divisione del patrimonio secondo i criteri della successione legittima perché i beni, sui quali, in teoria avrebbe dovuto aprirsi un giudizio di divisione (ai fini della determinazione della quota spettante per successione legittima) non erano più nel patrimonio “relictum”. La pur sintetica motivazione è coerente con la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale la collazione presuppone l’esistenza di una comunione ereditaria e, quindi, di un asse da dividere mentre, se l’asse sia stato esaurito con donazioni o con legati, o con gli uni e con gli altri insieme, così che viene a mancare un relictum da dividere, non vi è luogo a divisione e, quindi, neppure a collazione, salvo l’esito dell’eventuale azione di riduzione (Cass. 5/3/1970 n. 543; Cass. 25/11/1975 n. 3935).
Nel caso concreto, neppure esisteva un residuo da dividere in quanto già con la sentenza di primo grado era stato distribuita la modesta somma esistente sul libretto di deposito bancario tra la […] e […] (v. pag. 11 della sentenza non definitiva). Questa motivazione non ha formato oggetto di specifico motivo di censura.
3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce il vizio di omessa e contraddittoria motivazione della sentenza non definitiva della Corte di Appello.
La ricorrente lamenta che immotivatamente sarebbe stata negata la tutela possessoria in ordine all’appartamento in […] tenuto conto che:
– per effetto della collazione tutti i beni, compreso l’appartamento in […], erano acquisiti alla massa ereditaria così che essa ne diventava possessore sin dal momento dell’apertura della successione;
che il possesso era stato provato all’esito dell’istruttoria avendo essa dimostrato di avere il possesso delle chiavi dell’immobile. 3.1 Siccome i beni in […] risultano attribuiti a […] e non alla ricorrente nulla quest’ultima può pretendere a tale titolo. La riconosciuta ed affermata titolarità del diritto in capo al soggetto convenuto con l’azione possessoria (c.d. spoliator) paralizza la tutela della situazione di fatto incompatibile con la suddetta statuizione (Cass. n. 2371 del 2012;
Cass. 10588 n. 2012); solo per completezza di motivazione si osserva che il diritto a compossedere non implica comunque l’effettività del possesso che deve sempre essere dimostrata.
I due quesiti (se l’acquisto retroattivo del bene da parte del coerede gli consente di godere della tutela possessoria e se si viziata da difetto di motivazione la sentenza che ometta di prendere in esame risultanze probatorie) non sono pertinenti, posto che la tutela possessoria, in considerazione dell’accertamento della titolarità del diritto in capo al preteso spoliator non era concedibile.
4. Con il quarto motivo la ricorrente deduce violazione ed erronea interpretazione dell’art. 91 c.p.c. anche in relazione all’art. 100 c.p.c. La ricorrente sostiene:
a) che dovevano essere compensate le spese dei due gradi del giudizio nei confronti del [….] perché egli non aveva alcun interesse a costituirsi in giudizio essendo stato reso edotto che nei suoi confronti nessuna azione era esercitata;
b) che l’accoglimento del ricorso e delle proprie domande nei confronti della madre avrebbero imposto la condanna di quest’ultima al pagamento delle spese;
c) che le spese di CTU nella causa avente ad oggetto la divisione delle quote ereditarie dovevano essere poste a carico dei singoli coeredi in proporzione delle loro quote e non in pari misura come disposto dalla Corte di merito.
A conclusione dell’illustrazione del motivo la ricorrente formula i corrispondenti quesiti di diritto:
– sub a): se sia legittima la condanna alla rifusione anche solo parziale delle spese di causa in favore della parte che abbia resistito in giudizio senza avervi alcun concreto interesse;
– sub b): se debba essere considerato soccombente il coerede che, avendo resistito alle domande contro di lui in tal senso svolte,venga condannato a riportare nell’asse ereditario del de cuius i beni ad esso simulatamene intestati ovvero indirettamente donati;
– sub c): se le spese di consulenza tecnica in causa divisionale vadano ripartite in eguale misura tra parte attrice e parte convenuta o non piuttosto tra i singoli coeredi in proporzione delle rispettive quote.
Si osserva quanto segue:
a.1) la censura sub a) è manifestamente infondata perché l’interesse a contraddire del […] scaturiva, nel giudizio di primo grado, dalla semplice circostanza che era stato citato in giudizio e, quindi, il […] aveva diritto ad ottenere il rimborso delle spese per la propria difesa dalla parte (ossia l’attrice odierna ricorrente)che aveva dato causa alla lite;
quanto al giudizio di appello, l’interesse scaturiva dalla circostanza che era stato proposto appello contro lo stesso […] per negare il suo diritto ad essere rimborsato per le spese sostenute;
b.1) la censura sub b) è inammissibile in quanto muove dall’errato presupposto che l’attrice non sia la parte soccombente, mentre la sua soccombenza scaturisce dalla circostanza che con la sentenza definitiva è stata rigettata la sua domanda di riduzione per lesione della legittima;
c.1) la censura sub C) è fondata dovendosi, nella fattispecie, applicare analogicamente i criteri seguiti per i procedimenti divisionali (trattandosi di controversia sorta anche con finalità divisionali ancorché non conclusa in tal senso) alla luce dei quali le spese della CTU devono poste a carico dei coeredi (in questo caso ai legittimari) in proporzione delle rispettive quote. Entro questi ristretti limiti la sentenza deve essere cassata, ma senza rinvio in quanto, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto (perché le quote riconosciute ai legittimari risultano già determinate nella sentenza definitiva, alla pagina 9) la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c. stabilendosi che le spese di CTU devono essere ripartite tra i predetti legittimari in proporzione delle quote di riserva secondo gli importi stabiliti nella sentenza definitiva (Euro 288.804,75 al coniuge ed Euro 144.402,38 per ciascuna delle 4 figlie del de cuius). 5. In conclusione devono essere rigettati i primi tre motivi di ricorso e deve essere parzialmente accolto il quarto limitatamente alla ripartizione delle spese della consulenza tecnica di ufficio. La ricorrente, soccombente ne confronti di […]