Corte di Cassazione, Sez. 2, Sentenza n. 16291 del 2002, dep. il 19 novembre 2002

 

[…]

Svolgimento del processo
Con citazione del maggio 1995, […] e […] convennero in giudizio davanti al Tribunale di Milano la […]. Esposero che in date 16 maggio 1992 e 6 febbraio 1993 avevano stipulato con la […] – in seguito incorporata dalla società convenuta – due preliminari di vendita aventi per oggetto altrettante quote di proprietà indivisa del compendio immobiliare denominato Hotel […], versando il prezzo di vendita, determinato in lire 53.003.500 per la prima quota e in L. 25.978.000 la seconda quota. Poiché, malgrado ripetuti solleciti, la promittente venditrice si era sottratta alla stipulazione dei contratti definitivi, essi citanti, con atto stragiudiziale notificato il 31 marzo 1995, l’avevano diffidata ad adempiere a norma dell’art. 1454 c.c. entro il termine di giorni 15 senza tuttavia sortire effetto
alcuno. Domandarono, quindi, la risoluzione del contratto e la condanna della società convenuta alla restituzione delle somme versate.
Costituitasi, la […] eccepì, tra l’altro, la non imputabilità a essa convenuta dell’inadempimento, in realtà causato da difficoltà burocratiche insorte nei rapporti con l’amministrazione comunale. L’adito tribunale accolse la domanda, che venne invece respinta dalla Corte d’appello di Milano investita del gravame della società soccombente. Osservò detta corte che il ritardo nella stipula dei contratti definitivi di compravendita non era imputabile alla promittente venditrice la quale si era sempre mostrata disponibile a stipulare l’atto di vendita, consentendo inoltre l’utilizzo degli appartamenti oggetto dei preliminari. Il trasferimento della proprietà dei beni compromessi in vendita, secondo il sistema tavolare, era stato impedito dalle indagini disposte dal Comune di […] per accertare l’eventuale mutamento di destinazione d’uso, da alberghiero a residenziale, dell’Hotel […]. Con provvedimento del 4 marzo 1997, il Sindaco di […] aveva riconosciuto che la destinazione dell’immobile era rimasta alberghiera, rilasciando contestualmente concessione in sanatoria per l’esecuzione di alcune modifiche del complesso (trasformazione di locali accessori in ambienti abitabili e ricavo di superficie commerciabile da un deposito di sci). E a seguito di tale provvedimento il giudice tavolare del Comune di […] aveva decretato l’intavolazione, prima preclusa, degli atti di trasferimento di quote millesimali della proprietà dell’Hotel […], stipulati nel settembre del 1995. Il ritardo nella intavolazione degli atti, requisito costitutivo del trasferimento secondo il sistema tavolare, non era imputabile all’appellante, la quale si era quindi fondatamente dichiarata certa che la destinazione dell’immobile era e rimaneva alberghiera, come precisato anche nei preliminari di compravendita, e aveva presentato la richiesta di condono non perché consapevole della impossibilità legale di trasferire la proprietà a causa dell’illegittimo mutamento di destinazione d’uso, ma al solo scopo di superare, nel minor tempo possibile, l’ostacolo frapposto dalla P. A. di […]. Per la cassazione di tale sentenza […] e […] hanno proposto ricorso affidato a un unico motivo. Resiste con controricorso la […] s.p.a.
Ricorrenti e controricorrente hanno depositato memorie.

Motivi della decisione
Con l’unico complesso motivo i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione degli artt. 1453, 1454, 1455, 1457 c.c. e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. Contraddittoriamente, i giudici di appello hanno affermato, da un lato, che l’impossibilità di stipulare i contratti definitivi nei termini pattuiti non era imputabile alla società appellante e, dall’altro, che soltanto a seguito del provvedimento datato 4 marzo 1997 con cui il Sindaco di […] aveva rilasciato concessione in sanatoria – chiesta con istanza di condono del 28 febbraio 1995 dalla società convenuta per l’esecuzione di alcune modifiche del complesso – il giudice tavolare del Comune predetto aveva decretato l’intavolazione degli atti di trasferimento della proprietà. Trascurando il dato essenziale e pacifico dell’abuso edilizio da sanare, sottaciuto ai promittenti acquirenti e costituente l’unica causa ostativa dell’atto di trasferimento definitivo, imputabile a colpa della promittente venditrice cui lo stesso Comune notificò in data 30 marzo 1994 un’ordinanza di demolizione delle opere abusive, la corte del merito ha suffragato la sua decisione con circostanze del tutto irrilevanti quali: la certezza mostrata dalla società nel sostenere che la destinazione dell’immobile rimaneva alberghiera, la dichiarata disponibilità a stipulare l’atto di vendita, l’utilizzo delle suites 112 e 113 consentito agli appellati fin dalla data di stipula dei preliminari di compravendita.
La censura non è fondata.
La controversia ruotava intorno alla questione dell’imputabilità o meno a colpa della società convenuta della causa dell’impossibilità di intavolare gli atti pubblici di trasferimento individuata nel mutamento di destinazione dell’immobile formante oggetto, per alcune quote, dei compromessi. Solo detta questione, addotta dalla convenuta in via di specifica eccezione impeditiva della pretesa attorea, era stata dibattuta in primo grado e nel corso del successivo giudizio di appello. La perpetrazione di altri illeciti edilizi, peraltro di marginale portata, non è stata prospettata quale causa dell’impossibilità di procedere alla intavolazione degli atti definitivi di compravendita. A nulla rileva, quindi, che il giudice di seconde cure ne abbia accennato, all’evidente fine di spiegare che l’accusa di mutamento di destinazione era risultata del tutto priva di fondamento, laddove la domanda di sanatoria, presentata a fini cautelativi dalla società, era valsa per sanare altre contravvenzioni edilizie tipologicamente ben diverse da quella in un primo tempo contestata alla società e di per sè sola ostativa alla stipula degli atti pubblici di trasferimento.
Nessuna contraddizione è dato cogliere quindi nel ragionamento della corte meneghina la quale ha fatto cenno agli altri illeciti per escludere che da essi fosse dipesa l’impossibilità di concludere i contratti, infondatamente ricondotta al mutamento di destinazione, mai operato dalla società convenuta ma solo ipotizzato dal Comune di […].
Per il resto, i ricorrenti pretendono di ricostruire in questa sede i fatti di causa in maniera diversa rispetto a quella emergente dalla sentenza e di contrapporre comunque una soggettiva valutazione di risultanze pacifiche a quella compiuta dal giudice. In particolare (vedi memoria illustrativa), a fondamento della propria tesi essi richiamano due note con le quali il Comune di […] avrebbe (nel febbraio 1994) contestato non solo il mutamento di destinazione d’uso ma anche la realizzazione di opere abusive dirette a tale modificazione d’uso e disposto (nel marzo successivo) la demolizione di tali opere; ne inferiscono che tali opere sarebbero quelle oggetto della concessione in sanatoria e che quindi il ritardo sarebbe imputabile a colpa della promittente venditrice. Si tratta ovviamente di una mera deduzione invalidabile in questa sede, smentita, come detto, dal sostrato fattuale accertato dall’impugnata sentenza e fortemente contrastata dalla controricorrente, la quale ha replicato che, secondo l’amministrazione comunale, il mutamento di destinazione derivava dalle modalità di vendita ai terzi di quote millesimali di comproprietà indivisa del complesso e tale illecito era stato accompagnato dalla realizzazione di opere edilizie dirette a trasformare l’Hotel in appartamenti. In sostanza, la contestazione verteva sempre e soltanto sul mutamento della destinazione d’uso dedotto dalle modalità di vendita della struttura alberghiera (con la formula della c.d. multiproprietà), con sottrazione dell’Hotel alla sua funzione originaria. Da qui la ragione per la quale il giudice tavolare teneva in sospeso l’intavolazione degli atti di vendita, mentre le opere per le quali la sanatoria è stata concessa riguardavano lavori, che il Comune riteneva eseguiti senza autorizzazione, tesi ad una ottimizzazione dei servizi alberghieri e per nulla connessi con il preteso mutamento d’uso del complesso. Appare opportuno premettere a riguardo che l’accertamento delle domande, eccezioni ed argomentazioni delle parti, nonché dei fatti della causa in genere, è demandato al giudice di merito; il controllo di legittimità della Corte Suprema – cui è precluso l’esame diretto degli atti di causa ove non ricorrano ipotesi relative ad errori di procedura – è quindi circoscritto alla verifica dell’esattezza della decisione impugnata in relazione ai fatti della causa e alle difese delle parti, quali risultano dall’insindacabile accertamento del giudice di merito, e non a quelli che le parti prospettino e chiariscano diversamente nelle loro scritture difensive o nella discussione orale, in rapporto alle ritenute necessità o opportunità del loro sistema difensivo (cfr. sent. nn. 1667/1963, 2113/1967, 1545/1972 11861/2001). Alla luce dei surriportati principi, la censura è palesemente inammissibile, connotandosi come prospettazione di una ricostruzione dei fatti diversa da quella operata dal giudice di merito e più confacente alla tesi di parte. I ricorrenti pretendono una diversa valutazione del merito della causa, deducendo in particolare la questione nuova degli illeciti edilizi diversi dal mutamento di destinazione d’uso del complesso alberghiero, e in special modo l’ordine di demolizione asseritamente emanato a carico della società in relazione alle presunte opere abusive.
Di contro, deve ritenersi provato, sulla base degli (insindacabili) accertamenti di fatto risultanti dalla sentenza impugnata, che il Comune di […], dopo aver causato il fermo del trasferimento indagando sul supposto illecito edilizio perpetrato dalla società convenuta col mutare la destinazione dell’immobile da alberghiera a residenziale, aveva in seguito riconosciuto l’inesistenza dell’illecito in questione e la correttezza del comportamento posto in essere dalla società. Dalla sentenza impugnata emerge in particolare che il provvedimento del Sindaco, a seguito del quale il giudice tavolare ha proceduto ad intavolare gli atti notarili ai libri fondiari, si riferisce alla dichiarazione relativa alla destinazione d’uso del complesso alberghiero e non alla concessione del condono. Del resto, la tesi dei ricorrenti (essere l’intavolazione impedita dagli illeciti edilizi diversi dal mutamento di destinazione) urta, come bene osserva la controricorrente, contro il dato normativo costituito dall’art. 40 della legge 28/2/1985 n. 47, il quale prevede che gli atti tra vivi aventi ad oggetto diritti reali relativi ad edifici o loro parti possono essere perfezionati se ad essi viene allegata la copia per il richiedente della domanda di concessione in sanatoria, munita degli estremi della presentazione, ovvero copia autentica di uno degli esemplari della domanda, con gli estremi dell’avvenuto versamento delle prime due rate dell’obbligazione.
È escluso, quindi, che la corte d’appello in sentenza abbia voluto affermare, in contrasto con la citata norma di legge, come pretende controparte che “prima del rilascio della concessione in sanatoria relativa agli altri illeciti amministrativi non era possibile stipulare il contratto definitivo”.
In via cautelativa la società presentò domanda di condono prima ancora che scadesse il termine ad adempiere di cui alla diffida inviatale ai sensi dell’art. 1455 c.c. e la domanda non venne presa in considerazione essendo in corso le indagini finalizzate all’accertamento dell’ipotizzato mutamento di destinazione d’uso. È pacifico quindi che il giudice tavolare non intendeva decretare l’intavolazione degli atti notarili stipulati sin dal 1995 perché attendeva di conoscere l’esito degli accertamenti del Comune sul contestato mutamento di destinazione dell’Hotel da alberghiero a residenziale. Tanto non è certamente imputabile a colpa della società promittente venditrice, avendo – come detto – gli accertamenti confermato che la destinazione non era stata mai mutata e che quindi detta società aveva agito in piena legittimità. Specularmente, gli atti definitivi non potevano essere stipulati non per la pendenza degli illeciti edilizi minori ma per il sospettato cambiamento d’uso.
Orbene, in tale contesto appare logica e corretta la conclusione del giudice di merito, che ha ritenuto siffatta evenienza rilevante al fine della sussistenza della causa esoneratrice della responsabilità della intimata, consistente nella impossibilità sopravvenuta della prestazione.
In proposito, è senz’altro vero che, in base al principio generale posto dall’art. 1218 c.c., di fronte all’inadempimento contrattuale dell’obbligato la controparte non è tenuta a provarne la dipendenza da colpa del debitore, che è presunta; a norma dell’art. 1218 c.c., infatti, la liberazione del debitore dalla responsabilità per inadempimento in tanto può verificarsi in quanto concorrano i due requisiti previsti dagli artt. 1218 e 1256 c.c.; l’uno, di carattere obiettivo, riflettente l’impossibilità di eseguire la prestazione in sè e per sè considerata e l’altro, subiettivo, attinente alla non imputabilità, e cioè all’assenza di colpa del debitore riguardo alla determinazione dell’evento che ha reso impossibile la prestazione. E tuttavia, ai fini della risoluzione del contratto, a norma dell’art. 1453 c.c. la responsabilità del debitore per il ritardo nell’adempimento deve essere imputabile a dolo o colpa, non essendo sufficiente che egli sia stato diffidato ad adempiere ex art. 1454 c.c., mediante richiesta fatta per iscritto dal creditore; sicché, nel caso in cui ricorrano circostanze obiettivamente apprezzabili, idonee a fare escludere l’elemento psicologico, l’inadempimento deve essere ritenuto incolpevole e non può pronunziarsi la risoluzione del contratto. L’intimazione, da parte del creditore, della diffida ad adempiere di cui all’art. 1454 c.c. e l’inutile decorso del termine fissato per l’adempimento non eliminano la necessità, ai sensi degli artt. 1218 e 1455 c.c., dell’accertamento giudiziale dei precetti generali sull’imputabilità e l’importanza dell’inadempimento. Va del pari ricordato come sia principio ben consolidato di dottrina e giurisprudenza che l’impossibilità di eseguire la prestazione, derivata da un provvedimento di carattere cogente dell’autorità, esclude la responsabilità ove di dimostri che il debitore non abbia provocato il provvedimento medesimo e non si sia volontariamente posto in condizioni di soggiacere a esso. In altre parole, perché tale fatto impeditivo, con effetto estintivo e liberatorio, qualificabile come factum principis, si produca, è necessario che l’ordine o il divieto dell’autorità sia configurabile come un fatto totalmente estraneo alla volontà dell’obbligato e a ogni suo dovere di ordinaria diligenza. Situazione, questa, che ricorreva nella fattispecie concreta, avendo la corte di appello posto in risalto come l’impossibilità di intavolazione degli atti definitivi, che ne impediva la stipula, non dipendesse da un comportamento volontario della società convenuta o comunque a essa eziologicamente riconducibile, ma a una errata valutazione della P.A., la quale aveva in un primo momento ritenuto di ascrivere alla società medesima il mutamento di destinazione d’uso dell’immobile. In altri termini, la corte del merito ha escluso la responsabilità del debitore avendo questi provato che l’inadempimento o il ritardo nell’adempimento dell’obbligazione era stato determinato dalla impossibilità della prestazione derivante da causa a luì non imputabile.
Tale valutazione del giudice di merito, in base alla quale viene escluso l’inadempimento colpevole, implicando la risoluzione di questioni di fatto, è insindacabile in sede di legittimità, essendo immune dai denunziati vizi logici o giuridici. È infatti principio consolidato che l’apprezzamento del giudice di merito sull’imputabilità dell’inadempimento contrattuale importa una indagine di fatto sottratta al sindacato di legittimità quando, come nella specie, esso risulti congruamente e correttamente motivato (Cass. nn. 222/1973, 1039/1973, 967/1974, 3057/1975, 4233/1975, 170/2000). Il ricorso va in definitiva rigettato.
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