Corte di Cassazione, Sez. 2, Sentenza n. 17140 del 2006, dep. il 27/07/2006

[…]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto del 20.8.1989 […] ed […] promisero di vendere a […], per il prezzo di L. 190.000.000, un fabbricato per civile abitazione sito in […]. Il promittente acquirente, avendo accertato l’esistenza di rilevanti difformità dell’edificio rispetto al progetto approvato, comunicò di ritenersi sciolto dal contratto. Di conseguenza il […] e la […], con atto di citazione del 4 marzo 1988, convennero innanzi al Tribunale di Urbino […] e […], dai quali, con atto notarile del 4.3.1988, avevano acquistato l’immobile per il prezzo dichiarato di 18.000.000, chiedendo la risoluzione del contratto di vendita e la condanna dei convenuti, che avevano garantito, nel rogito, la perfetta regolarità urbanistica dell’immobile, al risarcimento dei danni. I convenuti resistettero alla domanda eccependo la decadenza (dalla) e la prescrizione dell’azione di garanzia per vizi, ex art. 1495 c.c.. Il Tribunale, con sentenza parziale del 25 agosto 2000, rigettò le eccezioni disponendo per la prosecuzione del giudizio. La sentenza fu appellata dai convenuti […] che insistettero sulle proposte eccezioni.

La Corte di Appello di Ancona, con sentenza del 9.11.2002, in accoglimento del gravame, ha dichiarato prescritta l’azione proposta dagli attori condannandoli alle spese.

Ha osservato la Corte che, sia all’azione di garanzia per vizi che a quella per mancanza delle qualità promesse, si applica lo stesso termine prescrizionale di un anno, che decorre dalla consegna. Gli attori non avevano dedotto, a fondamento dell’azione, ne’ la consegna di aliud pro alio ne’ la garanzia per gravi difetti e pericolo di rovina ex art. 1669 c.c. sottratte ai termini prescrizionali di cui agli artt. 1495 e 1497 c.c. (rispettivamente soggette alla prescrizione ordinaria ed a quella di un anno decorrente dalla denunzia dei vizi). I compratori, solo nella comparsa conclusionale, si erano “limitati a ventilare, In maniera oltretutto assai interlocutoria” l’applicabilità della vendita di aliud pro alio. In ogni caso, il Tribunale aveva inquadrato l’azione nell’ambito della garanzia per difformità e mancanza di qualità, trascurando i distinti profili della vendita di aliud pro alio e della garanzia ex art. 1669 c.c., e gli attori non avevano proposto, come era loro onere, le relative questioni, “sia pure subordinatamente“, nel grado di appello, ai sensi dell’art. 346 c.p.c.. Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per Cassazione […] e […] con due motivi. […] e […] resistono con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Nel primo motivo, intitolato “erronea applicazione dell’art. 1453 c.c.: consegna di aliud pro alio“, i ricorrenti sostengono che, nella specie, ricorreva la ipotesi della consegna di aliud pro alio essendo l’immobile oggetto della vendita non commerciabile e non abitabile e, quindi, del tutto inidoneo a svolgere la sua normale funzione economico-sociale, da cui non si può prescindere l’identificazione del genus. L’inidoneità del bene all’uso cui era destinato lo rendeva appartenente ad un tipo diverso da quello dedotto in contratto, per cui nella specie, era proponibile la normale azione di risoluzione sottratta al termine prescrizionale di cui agli artt.1453 e 1497 c.c.. Il motivo è inammissibile.

1.a. Come si rileva dall’esordio della motivazione della sentenza di appello, il Tribunale aveva collocato il dies a quo per la prescrizione dell’azione nel momento (anteriore al giudizio) in cui gli acquirenti, avevano ricevuto la lettera (11.10.1989) dell’avvocato del loro promissario acquirente ([…]) ovvero in quello (successivo al giudizio) del deposito della consulenza tecnica, anziché dal momento della consegna dell’immobile. I convenuti avevano “concentrato” il gravame sull’eccezione di prescrizione sostenendo la erroneità di tale impostazione. La Corte di Appello, al fine di accogliere il gravame, ha fatto decorrere il termine di prescrizione dalla data della consegna, ex artt. 1495 e 1497 c.c..

1.b. I ricorrenti non censurano i rilievi su cui poggia la conclusione decisoria della Corte di Appello e, precisamente:

a) che il Tribunale aveva collocato l’azione al di fuori della consegna dell’aliud pro alio e della garanzia ex art. 1669 c.c. – “integranti (secondo la Corte di Appello) vere e proprie domande autonome e, comunque, controeccezioni avverso l’eccezione preliminare della. controparte” (di prescrizione e decadenza) – e che questa questione era stata “ventilata” dai compratori solo nella comparsa conclusionale;

b) che gli attori, in ogni caso, non avevano adempiuto all’onere della riproposizione delle suindicate questioni a norma dell’art. 346 c.p.c. per cui l’esame di esse era precluso.

La Corte di Appello, dunque, sebbene la sentenza non lo dica espressamente (ma la ratio decidendi non può essere che questa), ha risolto la questione della qualificazione dell’azione (non consegna di aliud pro alio ne’ garanzia ex art. 1669 c.c.) sul piano processuale, ritenendo che sul punto sia intervenuto il giudicato, con conseguente impossibilità di una revisione del merito ed, anzi, ha affermato (cfr. sent. pagg. 4 e 5) che gli appellanti, sebbene abbiano affrontato sia la questione della prescrizione che quella della decadenza (senza specificare in quali termini), avevano proposto motivi specifici solo con riguardo alla prescrizione, il che conferma che, in sede di gravame, non era stata proposta la questione della consegna dell’aliud pro alio). E, del resto, in materia di compravendita immobiliare, per potersi ravvisare la consegna di aliud pro alio non è sufficiente che l’immobile sia stato realizzato in maniera difforme dal progetto approvato (nella specie: quelle rappresentate dal […]) ma occorre che l’immobile stesso sia privo in maniera assoluta della licenza di abitabilità (mancanza che, nella specie, non è neppure dedotta) oppure che non sussistano le condizioni per ottenerla a causa della presenza di insanabili violazioni urbanistiche. (Cass. 2872/98; Cass. 13268/91). L’insistenza dei ricorrenti, poi, sulla asserita “incommerciabilità” del bene – probabilmente riferita alle sanzioni di cui alla L. n. 47 del 1985 (art. 40) attiene, piuttosto, alla nullità del negozio, mai

dedotta e che, per mancanza di adeguati elementi conoscitivi di fatto, non può essere accertata in questa sede.

2. Col secondo motivo si denunzia “erronea interpretazione degli artt. 1495 – 1497 c.c., anche in relazione agli artt. 1669 c.c.”. Nella specie si tratta(va) di vizi occulti in relazione ai quali la Corte di Appello aveva omesso di compiere le dovute distinzioni. La denunzia e la prescrizione decorreva(no) del giorno in cui essi erano divenuti riconoscibili – con sufficiente certezza obiettiva – al compratore. Nella specie i coniugi […] erano venuti a conoscenza dei vizi dopo la stipula del preliminare col […] e quando costui aveva rifiutato la stipula del definitivo a causa delle irregolarità urbanistiche dell’immobile e, per di più, la certezza si era avuta dopo il deposito della consulenza tecnica di ufficio. I venditori erano a conoscenza delle irregolarità dell’immobile e le avevano volutamente nascoste. Alla luce di queste considerazioni si rendeva applicabile l’art. 1669 c.c. e, nella specie, erano stati rispettati i termini previsti da detta norma per la denunzia e l’inizio dell’azione.

Anche tale censura, che è volta a sostenere l’applicabilità nel caso di specie dell’art. 1669 c.c. (cfr. ricorso a pag. 9), a prescindere dalla difficoltà di collocare la fattispecie nell’ambito di tale previsione normativa, propone per la prima volta in questa sede le questioni di fatto relative alla conoscenza dei vizi ed al loro occultamento da parte del venditore e deve, pertanto, ritenersi inammissibile, avendo la Corte di Appello, per quanto detto poc’anzi (sub 1.b.), escluso che i profili della garanzia ex art. 1669 c.c. siano stati dedotti in sede di gravame alla sentenza del Tribunale, che tale ipotesi aveva trascurato.

3. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. […]