Corte di Cassazione, Sez. 2, Sentenza n. 17498 del 2012, dep. il 12/10/2012

[…]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

[…] e […] nel 1997 chiedevano e ottenevano nei confronti di […] e […] decreto ingiuntivo per il pagamento della somma di L. 10.000.000 sulla base di una scrittura privata con la quale gli ingiunti si erano obbligati a versare tale somma alla consegna del certificato di abitabilità e conformità relativo ad un appartamento con mansarda a loro venduto da […] e […].

[…] e […] proponevano opposizione deducendo che il pagamento era stato sottoposto alla condizione dell’ottenimento del certificato di abitabilità e conformità delle opere, invece mancanti; quanto al certificato di abitabilità assumevano che era stato rilasciato senza tenere conto della illiceità di talune opere, tra le quali la cisterna di raccolta delle acque piovane.

In via riconvenzionale proponevano domanda di risarcimento danni per la difformità delle opere realizzate rispetto al progetto, […] e […] si costituivano e chiedevano il rigetto dell’opposizione e della domanda riconvenzionale; rilevavano che il provvedimento di abitabilità e uso era stato consegnato e che l’immobile era stato venduto al grezzo e completato sulla base delle indicazioni degli stessi compratori. Con sentenza del 29/11/2002 il Tribunale di Palermo, sezione distaccata di Bagheria rigettava l’opposizione la domanda riconvenzionale rilevando:

– che il certificato di abitabilità e uso era stato rilasciato, che nel certificato di abitabilità risultava espletata una ispezione che aveva in concreto accertato la conformità dell’opera al progetto;

– che pertanto si erano verificate le condizioni che legittimavano la pretesa della somma ingiunta;

– che la dedotta illegittimità dei provvedimenti amministrativi non era provata e che avrebbe dovuto essere provata dagli opponenti che ne deducevano l’illegittimità;

– che, quanto alla cisterna, gli opponenti non avevano prodotto il progetto allegato alla concessione in sanatoria e l’eventuale irregolarità amministrativa della cisterna, non era idonea a costituire un vizio ex art. 1490 c.c. ne’ era provata l’assunzione di alcun obbligo da parte dei venditori in relazione alla cisterna;

– che per l’impianto elettrico e per le carenze dell’intonaco non era stato assunto dai venditori alcun obbligo avendo essi venduto l’immobile al grezzo e sulla base di un progetto del 1988 e, pertanto anteriore alla normativa comunitaria del 1990;

– che lo spazio adibito a parcheggio era stato realizzato e le doglianze relative alle asserite limitazioni erano generiche e comunque indimostrate;

– che non era stata dimostrata l’assunzione, da parte dei venditori, di obblighi relativi alla realizzazione di altre opere che si assumevano non realizzate.

Il […] e la […] proponevano appello al quale resistevano […] e […].

La Corte di appello di Palermo con sentenza del 6/6/2005 rigettava l’appello confermando totalmente la sentenza appellata. La Corte territoriale prendeva in esame ognuno dei sei motivi di appello concludendo per l’infondatezza di ciascun motivo sulla base di argomenti possono essere così sintetizzati nel loro nucleo essenziale:

– quanto alla dedotta illegittimità della cisterna (1 motivo), asseritamente incidente sulla legittimità della certificazione di abitabilità e uso (che costituiva la condizione per il pagamento oggetto di ingiunzione), che la certificazione di abitabilità era stata rilasciata e conteneva la certificazione di conformità, mentre l’interramento delle cisterne, rispetto al quale i venditori non avevano assunto alcun obbligo avente ad oggetto l’abitabilità, ai sensi della L.R. n. 37 del 1975 non era assoggettato ne’ a concessione,nè ad autorizzazione e neppure a mera comunicazione; la cisterna, per il luogo in cui era collocata (non nelle fondamenta, ma nello spiazzo costituente corte comune) non poteva creare alcun pericolo; la Corte sviluppava, poi, altre considerazioni sulla mancanza di pregiudizio per l’approvvigionamento idrico, sulla mancanza di prova dell’abusività della cisterna, sul fatto che la stessa aveva come unico scopo la raccolta delle acque piovane e reflue, sull’insussistenza di un inadempimento in relazione alla cisterna;

– quanto al parcheggio (2 motivo), la cui mancanza era pure addotta come causa di illegittimità del certificato di abitabilità, risultava invece realizzato e costituito da uno spiazzo di terreno adibito a parcheggio, mentre non erano provate pretese di terzi impeditive dell’uso del parcheggio;

– quanto alla consegna di un bene diverso da quello pattuito (3 motivo), che i provvedimenti autorizzatori e concessori (certificato di abitabilità e uso, concessione in sanatoria) erano presenti e che non v’era prova della loro illegittimità, dal che se ne doveva desumere l’idoneità delle ulteriori opere e finiture; in ordine al posto riservato a parcheggio richiamava la CTU e l’assoluta assenza di elementi dai quali desumere che il diritto al parcheggio potesse essere minacciato da terzi;

– quanto alla violazione dell’art. 1477 c.c., comma 3 (4 motivo) per la mancata consegna di legittimi certificati di abitabilità, agibilità e conformità e quanto all’asserita consegna di aliud pro alio, che non era stato consegnato un bene diverso da quello pattuito, per le ragioni già esposte;

– quanto al diniego di espletamento di consulenza tecnica e alla mancata condanna del precedente CTU a restituire quanto percepito (5 motivo) perché non abilitato all’esame tecnico su strutture in cemento armato, che la mancanza di abilitazione del CTU costituiva un argomento che avrebbe dovuto essere dedotto in primo grado, ma che, in ogni caso era destituito di fondamento perché il CTU non era stato incaricato di operazioni complesse, ne’ di calcoli sul cemento armato, ma solo della verifica di conformità delle opere rispetto al progetto e alle concessioni;

– quanto alla mancata condanna alle spese del primo grado, dei convenuti nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo (6 motivo), che era invece corretta la decisione del primo giudice in quanto proprio gli appellanti erano risultati soccombenti anche in primo grado.

[…] e […] propongono ricorso affidato a nove motivi.

Resistono con controricorso […] e […].

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono violazione dell’art.2697 c.c., artt. 162 e 196 c.p.c. e del R.D. n. 274 del 1929, art.16, lett. m, richiamando altresì l’art. 360 c.p.c., n. 5.

I ricorrenti svolgono censure:

– sia in ordine all’applicazione dell’onere probatorio che, a loro dire, sarebbe stato posto a loro carico in violazione dell’art. 2697 c.c. mentre avrebbe dovuto essere posto a carico degli ingiungenti

che pretendevano il pagamento senza avere dimostrato l’esistenza di legittimi certificati di conformità e di abitabilità, sia in ordine al mancato espletamento di CTU asserendo che il CTU nominato non aveva adempiuto l’incarico e il giudice di appello avrebbe violato gli artt. 162 e 196 c.p.c. non rilevando la nullità della CTU e non disponendone la rinnovazione.

1.1 Il motivo è in parte inammissibile per mancanza di specificità con riferimento alla violazione degli artt. 162 e 196 c.p.c. in quanto dalla sentenza impugnata non risulta alcuna nullità che imponesse l’applicazione dell’art. 162 c.p.c., ne’ sono specificate in ricorso le ragioni di nullità della CTU e di una sua

rinnovazione; neppure viene specificato per quale motivo sarebbe violato il R.D. n. 274 del 1929, art. 16, lett. m, che, disciplinando l’oggetto ed i limiti dell’esercizio professionale di geometra lo abilita progetto, direzione e vigilanza di modeste costruzioni civili.

In ogni caso è assorbente rilevare che:

– sia il primo giudice che il giudice di appello hanno ritenuto che il permesso di abitabilità era stato concesso e che la certificazione di conformità della costruzione al progetto era implicitamente contenuta nel permesso di abitabilità (il giudice di appello richiama a pag. 6 la motivazione del primo giudice secondo la quale nel permesso di abitabilità si dava atto di una ispezione dell’Ufficio Tecnico Comunale che aveva accertato la conformità dell’opera alla concessione in sanatoria);

– il giudice di appello ha rilevato che era stato provato il verificarsi delle condizioni per esigere il saldo prezzo essendo stato rilasciato il certificato di abitabilità che implicitamente contiene la certificazione di conformità al progetto, mentre […] e […] non avevano assunto alcun obbligo quanto all’agibilità della cisterna, peraltro non soggetta ne’ ad autorizzazione, ne’ a concessione e che non riguarda l’approvvigionamento dell’acqua potabile che avviene direttamente dalla condotta idrica comunale (pg. 14 della sentenza). Pertanto la sentenza, quanto all’applicazione della regola di cui all’art. 2697 c.c., non è censurabile avendo ritenuti provati presupposti del credito azionato e avendo altresì correttamente rilevato che non era onere dei creditori provare la legittimità dell’iter per l’approvazione del progetto, ma semmai di chi la contestava.

Quanto alle ulteriori censure:

– non risulta che il CTU non abbia espletato l’incarico conferito (trattandosi di mera affermazione contenuta in ricorso) e comunque il giudice non era tenuto a disporre il rinnovo della CTU avendo acquisito tutti gli elementi necessari per decidere ed avendo motivatamente deciso;

– il giudice di appello ha ritenuto insussistente la violazione del R.D. n. 274 del 1929, art. 16, lett. m (Regolamento per la professione del geometra) perché, (v. pag. 21 della sentenza) il geometra non era stato incaricato di operazioni complesse o di calcoli del cemento armato, ma solo della verifica della conformità dei documenti e delle opere rispetto al progetto e alle concessioni e, nel ricorso non viene specificato per quale motivo tale ragionamento entrerebbe in conflitto con la richiamata norma. 2. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono, testualmente, “inammissibilità dell’ingiunzione per violazione dell’art. 872 c.c., comma 2, artt. 1353, 1477 e 1490 c.c., art. 2697 c.c., comma 1, artt.2728, 2699 e 2700 c.c., L. n. 1086 del 1971, artt. 6, 13, 15 e 35, artt. 633 e 634 c.c.; art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”. I ricorrenti sostengono:

– che non avrebbe dovuto essere presa in considerazione la concessione in sanatoria in quanto la sanatoria non avrebbe potuto pregiudicare gli interessi privati e il diritto al risarcimento di cui all’art. 872 c.c., comma 2, ne’ il diritto a che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all’uso;

– che era rimasto inadempiuto l’obbligo assunto contrattualmente di consegnare le certificazioni di abitabilità e conformità che dovevano essere legittime e non illegittime;

– che l’inesistenza di queste certificazioni integrava vendita di aliud pro alio e comunque non si era verificata la condizione sospensiva prevista per l’adempimento oggetto di ingiunzione;

– che era viziata la motivazione per la quale era presunta l’esistenza della certificazione di conformità;

– che non esistevano altri atti necessari e propedeutici alla certificazione di conformità, ne’ risultava nominato il direttore dei lavori o il collaudatore;

– che la certificazione dell’ing. […] era illegittima in quanto in violazione di norme urbanistiche ed edilizie e senza accenno all’esistenza del parcheggi e della cisterna.

2.1 Per quanto attiene alla dedotta inammissibilità del decreto ingiuntivo in quanto mancanti i documenti attestanti l’essersi verificata la condizione e per non essersi verificata la condizione costituita dalla consegna del certificato di abitabilità il motivo è infondato dal momento che il certificato di abitabilità era stato rilasciato prima della richiesta del d.i. e la prova scritta del credito richiesta per l’emissione del decreto era costituita dal contratto.

Quanto alle ulteriori censure il motivo è inammissibile perché non attinge la ratio decidendi della sentenza impugnata che:

non afferma che la sanatoria edilizia possa pregiudicare gli interessi privati, ma che la sanatoria era stata concessa e che non v’era alcuna prova della sua illegittimità;

afferma, invece, che l’obbligo assunto contrattualmente di consegnare le certificazioni di abitabilità e conformità era stato adempiuto e, quindi, non si era verificata l’ipotesi di vendita aliud pro alio e si era verificata la condizione per esigere il credito;

– la censura avente ad oggetto quest’ultima motivazione è infondata perché con motivazione di merito, logica e immune da vizi, la Corte territoriale ha rilevato che nel permesso di abitabilità si dava atto dell’ispezione che aveva accertato la conformità al progetto e che pertanto il permesso assolveva entrambe le funzioni e che comunque la conformità era implicita nel rilascio del permesso di abitabilità; la conclusione è coerente con la norma – ora contenuta nel D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 25 – che condiziona il rilascio del certificato di abitabilità non solo all’aspetto igienico-sanitario (salubrità degli ambienti), ma anche alla conformità edilizia dell’opera realizzata rispetto al progetto approvato (v. anche la giurisprudenza amministrativa secondo cui l’art. 25 del Testo Unico dell’Edilizia “condiziona il rilascio del certificato di abitabilità non solo all’aspetto igienico-sanitario (salubrità degli ambienti), ma anche alla conformità edilizia dell’opera realizzata rispetto al progetto approvato: e ciò per la innegabile stretta correlazione fra i due momenti valutativi”: TAR Lazio, sez. 2 bis Roma, sent. n. 4129 del 24 marzo 2005 e, in precedenza, Cons. di Stato, Sez. 6, 15.7.1993, n. 535; T.A.R. Veneto, Sez. 2, 11.12.2000, n. 2612; T.A.R. Lombardia – Brescia 30.7.2002, n. 1092).

La sentenza impugnata, inoltre, correttamente afferma la piena legittimità della cisterna (rilevando – v. pag. 14 della sentenza – che non è collocata nelle fondamenta, come sostengono i ricorrenti, ma nello spiazzo costituente corte comune esterna) e l’esistenza del parcheggio, il che esclude che la mancata indicazione negli atti dell’ing. […] possa avere una qualche rilevanza ai fini della legittimità della concessione, del permesso di abitabilità e del riferimento, nel permesso, all’accertamento di conformità al progetto risultante da un’ispezione dell’Ufficio tecnico comunale.

3. Con il terzo motivo i ricorrenti deducono la carenza di prova sulla esistenza dei certificati di conformità e dunque dell’esigibilità del credito e la violazione delle norme già indicate al secondo motivo, dell’art. 196 c.p.c. e di tutte le norme richiamate. Nel motivo si reiterano varie doglianze dirette a provare l’illegittimità del permesso in sanatoria e del permesso di abitabilità, il carattere di costruzione abusiva della cisterna e l’errore del giudice nel non rinnovare la CTU per verificare se il permesso di abitabilità era conforme alle norme edilizie.

3.1 Il motivo è infondato.

Sul punto va osservato (come in precedenza già accennato) che nel regime dell’art. 221 t.u.l.s e D.P.R. 22 aprile 1994, n. 425, art. 4 – vedi ora artt. 24 e 25, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 – il rilascio del certificato di abitabilità era subordinato alla richiesta del certificato di collaudo, alla certificazione dell’iscrizione dell’immobile al catasto e ad una dichiarazione del direttore dei lavori che doveva certificare, sotto la propria responsabilità, la conformità rispetto al progetto approvato (originario o in sanatoria), l’avvenuta prosciugatura dei muri e la salubrità degli ambienti e che gli atti amministrativi godono di una presunzione iuris tantum di legittimità. Di conseguenza con il rilascio del certificato di abitabilità devono intendersi verificate, salvo prova contraria, le suddette condizioni senza necessità della produzione di un certificato ulteriore tanto più che, come rilevato dal giudice di primo grado (v. pag. 6 della sentenza di appello) con motivazione condivisa dal giudice di appello, dal permesso di abitabilità risultava che era stata effettuata dall’Ufficio Tecnico del Comune una ispezione che aveva accertato la conformità dell’opera alla concessione in sanatoria. Per il resto, il motivo è inammissibile in quanto reitera contestazioni di merito sulla legittimità della concessione in sanatoria e sulla irregolarità della cisterna che sono già state esaminate sia dal primo giudice che dalla Corte di Appello e motivatamente ritenute infondate trattandosi di costruzione rispetto alla quale i venditori non avevano assunto alcun obbligo di rilascio di agibilità e che, in quanto interrata non era soggetta nè a concessione, ne’ ad autorizzazione, ne’ a comunicazione, che non era posizionata tra le fondamenta dell’edificio, ma era ubicata nella corte comune (v. pag. 14 della sentenza di appello).

4, Con il quarto motivo i ricorrenti deducono violazione degli artt.872, 1477, 1490 e 2697 c.c., art. 196 c.p.c. e art. 360 c.p.c., nn. 1 e 5 e censurano la sentenza:

nella parte in cui ha ritenuto non assunto contrattualmente alcun obbligo in ordine al rilascio del certificato di agibilità della cisterna, attribuita ai compratori in quarta parte indivisa e posta nella corte comune, nella parte in cui ha ritenuto la cisterna non soggetta a permessi od obblighi di comunicazione e comunque costruzione non illegittima.

4.1 Il motivo attiene alla asserita illegittimità della cisterna. Il motivo è inammissibile quanto alla censura dell’interpretazione della clausola contrattuale che imponeva l’obbligo del rilascio del permesso di abitabilità e del certificato di conformità: il giudice di appello lo ha riferito alla sola abitazione e non alla cisterna, posta nel cortile comune; trattasi di attività di ermeneutica contrattuale riservata al giudice del merito e rispetto a tale interpretazione non è dedotta la violazione di alcuna delle norme civilistiche che dettano le regole di ermeneutica contrattuale. Quanto alla necessità di autorizzazione o concessione per la cisterna e alla sua illegittimità, il motivo è altresì completamente privo di fondamento in quanto il giudice di appello ha correttamente ritenuto la legittimità della cisterna sulla base della L.R. 10 agosto 1975, n. 37 (rectius 1985) (Nuove norme in materia di controllo dell’attività urbanistico – edilizia, riordino urbanistico e sanatoria delle opere abusive) che all’art. 6 (Opere non soggette a concessione, autorizzazione o comunicazione) specificamente prevede che “Non sono soggette a concessione, ad autorizzazione, a comunicazione al sindaco le seguenti opere: …. cisterne ed opere connesse interrate. Le disposizioni del presente articolo nonché dello articolo precedente prevalgono su quelle contenute negli strumenti urbanistici e nei regolamenti edilizi vigenti”.

Va inoltre osservato per completezza di argomentazione: – che la normativa antisismica (L. 2 febbraio 1974, n. 64 e D.P.R. 15 maggio 1985, n. 360600) non disciplina espressamente le cisterne interrate destinate a contenere acqua e che sul punto esiste una nota del genio civile di Agrigento del 20 maggio 2010 (costituente utile riferimento ancorché l’immobile de quo sia situato in provincia di Palermo) la quale esclude dall’assoggettamento alla normativa sismica a determinate condizioni “le vasche prefabbricate in c.a. per accumulo idrico, interrate” e “le piscine prefabbricate”;

che l’esigenza di applicazione delle norme antisismiche è stato invocato dal ricorrente sul rilievo, disconosciuto dalla sentenza, che il serbatoio si trovasse all’interno delle strutture in cemento armato del fabbricato.

5. Con il quinto motivo i ricorrenti deducono violazione degli artt.872, 1476, 1477 e 2697 c.c., L. n. 47 del 1985, artt. 13 e 35 e L. n.765 del 1967, art. 18 con riferimento all’omessa costruzione del parcheggio.

Sostengono che il parcheggio era previsto in progetto e che invece non fu realizzato perché i venditori avevano lasciato lo spiazzo destinato a parcheggio privo delle opere che si erano impegnati a realizzare; di conseguenza anche la concessione in sanatoria era illegittima in quanto il parcheggio era obbligatoriamente imposto dalle norme di legge.

5.1 Quanto all’illegittimità della concessione in sanatoria per mancanza del parcheggio il motivo, , è infondato in fatto perché la Corte di appello, sulla scorta della CTU, ha dato atto che era annessa alla costruzione un’area destinata a parcheggio, con ciò risultando realizzato il requisito di legge; infatti la L. n. 1150 del 1942, art. 41 sexies, modificato dalla L. n. 765 del 1967, art.18 stabilisce che “Nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle stesse, debbano essere ricavati appositi spazi per parcheggio in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni venti metri cubi di costruzione”; pertanto la norma impone soltanto la realizzazione di appositi spazi riservati a parcheggio e l’esistenza e l’utilizzabilità di essi da parte dei condomini, come detto, è stata accertata dal c.t.u. Con riferimento

all’inadempimento di impegni assunti per la realizzazione del parcheggio con specifiche modalità costruttive, il motivo è inammissibile per genericità in quanto non sono specificate quali opere i venditori si sarebbero assunti l’obbligo di eseguire rimanendo in ordine a tali opere inadempienti.

6. Con il sesto motivo i ricorrenti deducono la violazione degli artt. 872, 1223, 1476, 1477, 1490, 1697, 2699 e 2700 c.c. e dell’art.360 c.p.c., nn. 3 e 5 in relazione all’esclusione dell’ipotesi di vendita di cosa diversa da quella promessa.

I ricorrenti nuovamente deducono varie irregolarità che non avrebbero consentito il rilascio della concessione in sanatoria, la mancanza del certificato di conformità dell’opera al progetto, la mancanza, nel permesso di uso dell’indicazione del parcheggio.

6.1 Il motivo è infondato per le ragioni già esplicitate nell’illustrare l’infondatezza e inammissibilità dei precedenti motivi: il primo giudice e il giudice di appello hanno accertato con motivazione congrua ed immune da violazione di legge che il parcheggio era stato garantito, che la realizzazione della cisterna era legittima, che nessuna illegittimità della concessione in sanatoria è emersa, che nel permesso di abitabilità era ricompresa l’attestazione di conformità e che pertanto non era stato consegnato un bene diverso da quello promesso.

Occorre solo precisare, per completezza di argomentazione, che le questioni attinenti alla legittimità della cisterna ed alla realizzazione del parcheggio riguardano l’esatto adempimento o a vizi dell’opera e non la vendita di aliud pro alio che si concretizza per la mancanza di certificazione di abitabilità solo quando il rilascio di tale certificazione sia giuridicamente impossibile.

7. Con il settimo motivo i ricorrenti, deducendo violazione del R.D. 11 novembre 1929 e segnatamente dell’art. 16, dell’art. 2697 c.c. e

degli artt. 61, 62, 157, 196 e art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 sostengono:

– che il giudice di appello si sarebbe avvalso di una C.T.U. nulla in quanto affidata a consulente privo del titolo abilitativo necessario per il suo espletamento;

– che il consulente non aveva risposto a quesiti;

– che il giudice di appello non avrebbe potuto ritenere inammissibile per novità la questione della nullità della consulenza essendo nullità rilevabile di ufficio.

7.1 Il motivo è inammissibile in quanto non attinge la seconda ratio deciderteli della Corte di Appello, autonomamente sufficiente a giustificare il diniego di rinnovo della CTU; la Corte di Appello ha infatti rilevato, con motivazione congrua, oltre che condivisibile, che il CTU non era stato incaricato di operazioni complesse, ne’ di calcoli sul cemento armato, ma solo della verifica di conformità delle opere rispetto al progetto e alle concessioni, attività che il suo titolo professionale di geometra (per giunta, aggiunge la Corte di Appello, di comprovata esperienza e capacità) lo abilitava a svolgere; la Corte di appello ha altresì rilevato che altre attività (compresi i calcoli riguardanti le strutture in cemento armato) non erano richiesti e non erano ritenuti necessari; occorre ancora precisare che questa Corte ha affermato il principio secondo il quale le norme relative alla scelta del consulente tecnico d’ufficio hanno natura e finalità esclusivamente direttive, essendo la scelta riservata, anche per quanto riguarda la categoria professionale di appartenenza del consulente e la competenza del medesimo a svolgere le indagini richieste, all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito; pertanto, la decisione di affidare l’incarico ad un professionista iscritto ad un albo diverso da quello competente per la materia al quale si riferisce la consulenza, ovvero non iscritto in alcun albo professionale, non è censurabile in sede di legittimità e non richiede specifica motivazione. (Cass. 12/3/2010 n. 6050; v. anche Cass. 6/7/2011 n. 14906).

8. Con l’ottavo motivo i ricorrenti deducono la violazione dell’art.2033 c.c. per il mancato accoglimento della domanda di restituzione del compenso pagato al CTU, trattandosi di compenso illegittimamente percepito in quanto al CTU era inibita l’assunzione dell’incarico.

8.1 Motivo è assorbito per quanto esposto e deciso in merito al settimo motivo (v. il precedente punto 7.1): il CTU era pienamente legittimato ad espletare le attività richieste dal giudice e di conseguenza aveva diritto al compenso.

9. Con il nono motivo i ricorrenti deducono la violazione dell’art.91 c.p.c. da parte del giudice di appello per averli condannati al pagamento delle spese dei due gradi mentre avrebbe dovuto condannare le controparti in quanto soccombenti.

9.1 Il motivo è inammissibile non potendo configurarsi un vizio della sentenza in una regolamentazione delle spese coerente con il contenuto della stessa che ha individuato proprio negli odierni ricorrenti la parte soccombente e come tale tenuta al pagamento delle spese.

10. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato […]