Corte di Cassazione, Sez. 2, Sentenza n. 20868 del 2005, dep. il 27/10/2005

 

[…]
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 12.1.1983 […] conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Busto Arsizio la sorella […], il marito di costei […] e la S.p.a. […] esponendo:
nel 1961 il padre […] aveva trasferito in comproprietà alle figlie […] ed […] 48 azioni della s.p.a. […] (concessionaria della […]) intestando tali azioni per motivi di opportunità alla sola […], pur restando di proprietà comune delle due sorelle in ragione del 50% ciascuna;
tale partecipazione azionaria era stata gestita, per conto e nell’interesse delle due sorelle, dal comune mandatario […] che aveva regolarmente versato all’attrice metà dei dividendi relativi alla partecipazione azionaria della […] fino al 1981, allorché i versamenti erano inspiegabilmente cessati. […] chiedeva quindi che fosse accertata la sua comproprietà al 50% sia della originaria partecipazione azionaria sia dei frutti e dei successivi incrementi, comprese le nuove azioni emesse a seguito di aumenti di capitale, e che, previo rendiconto, […] ed il […]fossero condannati a versarle quanto di sua spettanza in virtù della suddetta comproprietà. Con successivo atto di citazione notificato il 25.6.1984 […], premesso che […] aveva trasferito 234 azioni della S.p.a. […] al figlio [….] ed altri 234 azioni alla figlia […], nonché altre azioni al marito […], conveniva in giudizio sempre davanti al Tribunale di Busto Arsizio […] e […] nonché i convenuti della precedente causa perché fosse dichiarata l’invalidità e l’inefficacia di tale trasferimento.
Con sentenza non definitiva del 6.11.1990 il Tribunale di Busto Arsizio, riuniti i due procedimenti, dichiarava che tutte le azioni della società […], già di proprietà di […] e da questi girate ad […], erano dal 1961 di proprietà di […] e […], ciascuna per la metà, così come i frutti, gli incrementi ed i vantaggi relativi a tali azioni, ordinava a […] di depositare il rendiconto della predetta partecipazione azionaria, e dichiarava inefficaci i trasferimenti della partecipazione azionaria di proprietà dell’attrice effettuati da […] in favore di […], […] e […]. Tale decisione, impugnata da tutte le parti interessate, era sostanzialmente confermata dalla Corte di Appello di Milano con sentenza del 20.1.1995, fatta salva la precisazione che il diritto di credito di […] era limitato alla percezione del 50% dei frutti (da intendersi come dividendi ed utili) delle originarie 48 azioni, con esclusione degli ulteriori incrementi e vantaggi ad esse inerenti.
Avverso tale sentenza aveva proposto ricorso per Cassazione […].
Il Tribunale di Busto Arsizio con l’ordinanza pronunciata contestualmente alla sentenza non definitiva del 1990 aveva poi rimesso le parti dinanzi al Giudice istruttore per il prosieguo del giudizio in ordine alla determinazione delle somme spettanti all’attrice e successivamente con sentenza definitiva del 22.12.1997 aveva parzialmente accolto la domanda di […]. Proposta impugnazione da parte di quest’ultima cui resistevano […], […] e […] mentre la società […] restava contumace, la Corte di Appello di Milano con sentenza non definitiva del 9.1.2001 accertava la legittimazione passiva di […] sulle domande proposte dalla […] anche nella qualità di erede di […] (nel frattempo deceduta il 1.2.1997 in pendenza del giudizio di primo grado), dichiarava che in ordine alle domande dell’appellante […] e […] erano legittimati passivi esclusivamente in proprio e non anche quali eredi di […], rigettava l’eccezione di inammissibilità dell’appello proposta contro la sentenza impugnata e provvedeva con separata ordinanza a rimettere la causa davanti all’istruttore per gli adempimenti connessi alla presentazione del conto da parte di […] ed alla prosecuzione del giudizio nei confronti di tutti gli appellati rispetto alle domande proposte dalla […]. La Corte territoriale premetteva che tra le parti pendevano due controversie, la prima delle quali aveva ad oggetto l’accertamento dei diritti di comunione tra le sorelle […] riguardo alle azioni della società […] già di proprietà di […]; tale causa era sfociata nella pronuncia della Corte di Cassazione del 23.6.1998 che, nell’accogliere il ricorso della […] e nel rinviare la causa stessa ad altra sezione della Corte di Appello di Milano, aveva ritenuto sussistente la presunzione, salva la prova contraria, che […], nel sottoscrivere gli aumenti di capitale via via deliberati dall’assemblea, avesse agito – per il 50% delle azioni di proprietà della sorella […] – quale mandataria della stessa. La seconda controversia, invece, devoluta all’esame del Giudice di Appello, riguardava la determinazione del controvalore pecuniario spettante alla […] per effetto dello scioglimento della comunione e della suddivisione dei frutti e dei relativi incrementi;
in particolare, assumeva la Corte territoriale, secondo la sentenza appellata il residuo oggetto doveva intendersi limitato alla quantificazione del 50% dei frutti spettanti alla […] in riferimento alle 48 azioni della società […] già di proprietà di […], come deciso dalla precedente sentenza della Corte di Appello di Milano del 20.1.1995. La Corte territoriale riteneva poi infondata l’eccezione di inammissibilità dell’appello sollevata dagli appellati; questi ultimi in proposito avevano dedotto che, a seguito del decesso di […] in data 1.2.1997 dopo l’udienza di precisazione delle conclusioni del giudizio di primo grado, l’appellante non aveva validamente instaurato un regolare contraddittorio neppure dopo la rinnovazione della notificazione dell’appello nei […] confronti degli eredi di […] disposta dall’istruttore ed eseguita nei confronti di […], […] e […], considerato che costoro avevano dichiarato di non essere eredi, ma semplici chiamati alla eredità, cosicché la mancanza di tale qualità rendeva irrilevante la notificazione e l’impugnazione doveva essere dichiarata inammissibile ai sensi dell’art. 331, comma 2, c.p.c.; invero, pur affermando di non poter accedere alla tesi della ultrattività del mandato alle liti conferito in primo grado da […] al proprio difensore, la Corte territoriale rilevava che l’impugnazione aveva ad oggetto rapporti processuali relativi a più parti connessi da un vincolo di pregiudizialità – dipendenza, e che, poiché l’impugnazione stessa era stata tempestivamente proposta nei confronti di […], l’omessa notificazione nei termini stabiliti per l’appello anche nei confronti degli eredi di […] non rendeva l’appello inammissibile, ma determinava la necessità di integrazione del contraddittorio nei confronti degli eredi stessi in base all’art. 331, c.p.c.; occorreva pertanto verificare se fosse intervenuta una inammissibilità dell’appello ai sensi del secondo comma dell’articolo ora citato, cosicché la validità della integrazione del contraddittorio era condizionata alla prova che gli appellati fossero passivamente legittimati a stare in giudizio in luogo della defunta quali suoi eredi per avere espressamente o tacitamente accettato l’eredità.
Al riguardo il Giudice di Appello escludeva la sussistenza della legittimazione passiva di […] e […] in ordine alle domande proposte nei loro confronti dall’appellante anche quali eredi di […] oltre che in proprio, attesa l’assenza di una prova inequivoca in ordine ad una loro implicita manifestazione di volontà di accettare l’eredita di […], mentre dalle dichiarazioni svolte nella comparsa di costituzione in appello, in cui la qualità di eredi di […] era contestata soltanto da […] e […], era legittimo concludere che […] aveva tacitamente ammesso di aver acquistato tale qualità.
Il Giudice di Appello rilevava poi l’obbligo di […] di rendere il conto sia in proprio sia quale erede di […].
Infine la Corte territoriale escludeva la possibilità di disporre la sospensione del procedimento fino all’esito della definizione dell’altro giudizio sulle questioni rimesse al Giudice di rinvio, poiché l’art. 279, comma 4, seconda parte c.p.c. richiede in proposito l’istanza concorde delle parti e non già della sola parte interessata, requisito quest’ultimo non ricorrente nella fattispecie. Per la cassazione di tale sentenza […] ha proposto un ricorso articolato in due motivi cui […], […] e […] hanno resistito con controricorso proponendo altresì un ricorso incidentale affidato a tre motivi cui la […] ha resistito con controricorso; la S.p.a. […] in liquidazione non ha svolto attività difensiva neanche in questa sede; la ricorrente principale ha successivamente depositato una memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente deve procedersi alla riunione dei ricorsi in quanto proposti contro la medesima sentenza.
Venendo quindi all’esame del ricorso principale, si rileva che con il primo motivo […], denunciando violazione e falsa applicazione degli articoli 39 – 112 – 174 – 277 – 278 – 295 – 337 – 383 – 384 – e 394 c.p.c. nonché vizio di motivazione, assume che a seguito della decisione della Corte di Cassazione 23.6.1998 n. 6246 che aveva annullato la precedente sentenza della Corte di Appello di Milano n. 177/1995 sull'”an debeatur” con rinvio ad altra sezione della stessa Corte (ovvero la Seconda Sezione) e la riassunzione dinanzi a questa dell’intera causa, quest’ultimo giudice era divenuto esclusivamente competente; conseguentemente doveva ritenersi l’incompetenza a decidere della prima sezione della Corte di Appello di Milano che aveva invece emesso la sentenza impugnata; il rinvio disposto dalla richiamata sentenza della Corte di Cassazione aveva determinato la pendenza di due procedimenti che non potevano essere riuniti; da tale pendenza era derivata la nullità degli atti ulteriori del procedimento n. 544/1998 sul “quantum” e quindi della sentenza impugnata.
Preliminarmente all’esame di tale motivo deve essere respinta l’eccezione di inammissibilità di esso sollevata dai controricorrenti per il fatto che la […] ha dedotto chiaramente di non avere più alcun interesse alla impugnazione proposta a suo tempo dinanzi alla Corte di Appello di Milano e di voler altresì rinunciare agli effetti prodotti dalla sentenza impugnata in questa sede; in realtà tale rilievo è smentito dalla affermazione della ricorrente principale in ordine alla necessità di trattazione del procedimento cui si riferisce la sentenza impugnata dinanzi alla stessa sezione della Corte territoriale dove è pendente in sede di rinvio il giudizio sull'”an” che invece, secondo la […], dovrebbe riguardare anche il “quantum”. Tanto premesso, la censura deve comunque ritenersi infondata.
La contemporanea pendenza davanti a due giudici diversi del giudizio sull'”an debeatur” e di quello sul “quantum” non integra un’ipotesi di incompetenza del secondo giudice, potendo semmai dare luogo ad una sospensione facoltativa del giudizio sul “quantum” rispetto a quello sull”an”, atteso il rapporto di pregiudizialità solamente in senso logico esistente tra i due giudizi (Cass. 8.4.2002 n. 5006, Cass. S.U. Ord. 26.07.2004 n. 14060); tale questione peraltro non è stata neppure prospettata con il motivo in esame.
Deve peraltro aggiungersi che la definizione del giudizio sul “quantum” con sentenza passata in giudicato non comporta comunque là possibilità di un contrasto di giudicati rispetto alla definizione del giudizio sull'”an”, considerato che ai sensi dell’art. 336 secondo comma c.p.c. gli effetti determinati dalla riforma o dalla
cassazione della sentenza non definitiva, in rapporto di conseguenzialità con quella definitiva, si producono anche nei confronti di quest’ultima, non rilevando che nei confronti di essa si sia verificato il giudicato formale, trattandosi di giudicato soltanto apparente in quanto necessariamente condizionato alla mancata riforma della sentenza non definitiva che ne costituisca l’antecedente logico giudizio (Cass. 23.02.1993 n. 2188; Cass. 4.11.1993 n. 10909); pertanto la riforma o la cassazione della sentenza sull'”an” determina l’automatica caducazione della sentenza sul “quantum” anche se su quest’ultima sì sia formato un giudicato apparente (Cass. 25.5.1996 n. 4844; Cass. 29.4.1997 n. 3724 – Cass. 8.04.2002 n. 5006; Cass. S.U. Ord. 26.7.2004 n. 14060).
Con il secondo motivo la ricorrente principale, denunciando violazione e falsa applicazione degli articoli 459 – 476 e 485 c.c. e vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per aver escluso una accettazione tacita dell’eredità di […] da parte dei suoi figli […] e […]; in tal modo non è stato considerato che dopo la sentenza n. 774/1990 del Tribunale di Busto Arsizio che aveva dichiarato inefficace il trasferimento in loro favore delle azioni della S.p.a. […] da parte di […], essi avevano continuato a possederle e non avevano redatto l’inventario entro tre mesi dall’apertura della successione;
inoltre […] e […] avevano venduto le suddette azioni alla […] incassando e trattenendo il prezzo di lire 1.490.000 per azione, alla morte della madre avvenuta in pendenza del sopra menzionato ricorso per Cassazione avevano poi chiesto il rigetto di tale impugnazione, del pari avevano resistito nel procedimento pendente nel primo grado di giudizio sul “quantum”, avevano notificato successivamente la relativa sentenza ed avevano resistito nel giudizio di appello conclusosi con la sentenza impugnata. La censura è infondata.
Il Giudice di Appello ha ritenuto che tutti gli atti processuali posti in essere da […] e […], dai quali […] si poteva desumere una accettazione tacita dell’eredità di […], erano stati compiuti in proprio da costoro per la tutela dei propri interessi patrimoniali e con la volontà di distinguere soggettivamente le responsabilità dedotte nella controversia; inoltre la Corte territoriale ha escluso la sussistenza di una prova circa il possesso delle azioni della società […] da parte di […] e […], aggiungendo comunque che, ancorché provato, tale possesso si sarebbe configurato come un comportamento di significato non univoco, compatibile con la semplice finalità conservativa dei diritti della dante causa, considerato che la questione della titolarità delle azioni suddette costituiva la materia stessa del contendere. Orbene il Giudice di Appello ha svolto l’indagine relativa alla esistenza o meno di un comportamento di […] e […] qualificabile come accettazione tacita dell’eredità di […] in modo scrupoloso ed esaustivo, fornendo adeguata e puntuale indicazione delle fonti del proprio convincimento con un apprezzamento congruamente e logicamente motivato, come tale insindacabile in questa sede: infatti la ricerca della volontà di accettare l’eredità attraverso l’accertamento e l’interpretazione degli atti compiuti dal chiamato si risolve in una indagine di fatto non suscettibile di censura in sede di legittimità se sorretta da motivazione logica ed adeguata (Cass. 22.3.1999 n. 2663; Cass. 17.11.1999 n. 12573). Pertanto le censure della ricorrente principale tendono inammissibilmente a prospettare una diversa ricostruzione dei fatti ritenuti rilevanti ai fini della invocata accettazione tacita dell’eredità da parte di […] e […] rispetto a quella offerta dalla Corte di merito; in tale contesto deve poi rilevarsi che tra gli atti dai quali avrebbe dovuto desumersi l’accettazione tacita dell’eredità il Giudice di Appello non contempla la pretesa vendita delle azioni ereditate da parte di […] e […], cosicché tale profilo di censura sollevato in questa sede è inammissibile in quanto solleva una questione che implica un accertamento di fatto – da considerarsi nuova.
Con riferimento poi agli atti di possesso da parte di […] e […] che secondo la ricorrente principale configurerebbero comportamenti da cui desumere una accettazione tacita dell’eredità da parte di costoro è del tutto corretto l’assunto della Corte territoriale che, dopo aver escludo la prova di un possesso al riguardo, ha aggiunto che comunque la invocata relazione possessoria, pur se sussistente, non sarebbe di per sè sufficiente ad integrare una accettazione tacita dell’eredità, posto che l’immissione nel possesso dei beni ereditari può anche dipendere da un intento conservativo del chiamato o da tolleranza da parte degli altri chiamati (Cass. 17.11.1999 n. 12753). Procedendo quindi all’esame del ricorso incidentale, si rileva che con il primo motivo, denunciando violazione dell’art. 476 c.c. nonché contraddittoria motivazione, viene censurata la sentenza impugnata per aver ritenuto […] erede di […] per effetto di una accettazione tacita; ad avviso dei ricorrenti incidentali si tratta di una valutazione erronea in quanto desunta arbitrariamente dal fatto che nella comparsa di costituzione in appello, mentre […] e […] avevano dichiarato di non aver accettato l’eredità, […] non aveva dedotto nulla al riguardo; invero non sembra ammissibile trarre una simile conclusione da una semplice dichiarazione del difensore della parte. Con il secondo motivo i ricorrenti incidentali, deducendo violazione degli articoli 331 c.p.c. e 476 c.c., censurano la sentenza impugnata per avere ravvisato – in relazione alla eccezione di inammissibilità dell’appello di […] avverso la sentenza di primo grado n. 1194/1994 per mancata integrazione del contraddittorio nei confronti degli eredi di […] – l’unico erede di quest’ultima nella persona di […]; invece, sostengono i ricorrenti incidentali, […] non aveva accettato l’eredità della moglie, e comunque non era l’unico erede di […]. Le enunciate censure, da esaminare contestualmente in quanto connesse, sono infondate.
Il Giudice di Appello ha ritenuto la qualità di eredi di […] in capo a […] sulla base dell’esame della comparsa di costituzione in appello depositata da […], […] e […]; in proposito ha rilevato che, essendo comune la difesa relativamente a tutti gli appellati, la dichiarazione contenuta in tale comparsa secondo cui […] e […] non avevano accettato l’eredità della madre […] comportava necessariamente l’ammissione tacita della qualità di erede per […] e quindi la sussistenza della legittimazione per il soggetto rispetto al quale non era stata contestata; la Corte territoriale ha configurato tale circostanza quale esplicazione di una scelta consapevole dettata da una diversa strategia processuale rispetto a quella adottata da […] e […]; e d’altra parte tale diversificazione delle posizioni degli appellati non poteva essere riconducibile ad una mera svista del difensore, in quanto attinente a deduzioni frutto della impostazione e dello svolgimento delle difese conseguenti alla informazione dei fatti data dalle parti, e dunque poste in essere d’intesa con questi ultimi. È dunque evidente che la ritenuta qualità di erede di […] è stata affermata quanto a […] all’esito di una valutazione del comportamento processuale di quest’ultimo sorretta da una motivazione congrua e piena di vizi logici, come tale insindacabile in questa sede alla luce del sopra richiamato orientamento di questa Corte in ordine ai limiti entro i quali è censurabile in sede di legittimità l’indagine del Giudice di merito relativa alla esistenza o meno di un comportamento qualificabile in termini di accettazione tacita.
Deve poi rilevarsi la inammissibilità del profilo di censura secondo cui comunque […] non sarebbe l’unico erede di […], trattandosi di questione che implica un accertamento di fatto non trattata nella sentenza impugnata e quindi nuova. In definitiva, pertanto, all’esito delle argomentazioni ora esposte risulta infondata la censura sollevata nei confronti della sentenza impugnata per non aver rilevato le inammissibilità dell’atto di appello di […] per mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti gli eredi di […].
Con il terzo motivo i ricorrenti incidentali, deducendo violazione della disposizione che vieta il mutamento delle domande in grado di appello, censurano la sentenza impugnata per aver affermato che […] con la richiesta di divisione aveva manifestato la volontà di conseguire il controvalore pecuniario della sua quota di spettanza dei beni comuni; essi rilevano che in tal modo il Giudice di Appello non ha considerato che la domanda proposta originariamente da […] riguardava l’assegnazione di azioni della società […]. La censura è inammissibile.
In realtà la sentenza impugnata, nell’interpretare le domande proposte da […], si è limitata a rilevare la manifestazione di volontà da parte di quest’ultima di conseguire il controvalore pecuniario della quota di sua spettanza dei beni comuni senza peraltro emettere alcuna pronuncia in proposito, cosicché i ricorrenti incidentali sono privi del necessario interesse a ricorrere in assenza di una statuizione al riguardo. In definitiva quindi entrambi i ricorsi devono essere rigettati;
ricorrono giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese di giudizio.
[…]