Corte di Cassazione, Sez. 2, Sentenza n. 22013 del 2016, dep. il 31/10/2016

 

 

[…]

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Torino, con sentenza depositata il 9/7/2008, accogliendo
la domanda avanzata da […], dispose la revoca della donazione
indiretta, costituita dal medesimo, mediante pagamento della parte prezzo,
corrispondente al 30%, dell’immobile acquistato dallo stesso in data
8/7/2003, in favore di […], coniugata con l’attore in regime di
separazione dei beni, la quale perciò era divenuta proprietaria della
corrispondente quota.
Per quel che rileva e tenuto conto del perimetro decisorio di legittimità,
la vicenda può essere riassunta nei termini salienti che seguono.
Il […] addebitato alla moglie grave ingratitudine per non
averlo assistito a seguito delle lesioni patite, nell’aprile 2004, a sèguito d’un
incidente di sci, sottoponendolo anzi ad angherie varie, che lo avevano
portato a chiedere la collaborazione di estranei per poter svolgere la
professione di […] e partecipare alle sedute del Consiglio Nazionale […] e costringendolo a chiedere la separazione per avere, inoltre,
intrapreso una relazione extraconiugale, condotta con modalità offensive per il
marito.
L’appello, proposto dalla […] venne rigettato dalla la Corte di Torino, con sentenza depositata il 19/1/2012.
Con ricorso del 17/9/2012 la […] chiede l’annullamento della sentenza d’appello.
Resiste con controricorso il […].

Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorso deduce violazione di legge ed illogicità,
nonché contraddittorietà della motivazione per non essere stata pronunciata
la decadenza dall’azione di revoca della donazione, ai sensi dell’art. 802, cod.
civ.
Assume la ricorrente che controparte aveva ancorato la richiesta di
revoca alla denunziata mancata assistenza, giudicato fatto sufficiente ad
integrare l’ingratitudine, in conseguenza dell’incidente patito il 14/4/2004; or
poiché l’atto di citazione era stato notificato il 2/5/2005 era decorso il termine
annuale stabilito dall’art. 802. La Corte territoriale, per respingere l’eccezione,
diversamente argomentando dal Tribunale, aveva valorizzare la pluralità di
condotte addebitate alla donna, che avrebbero, pertanto, assunto significanza
nel loro insieme, in aperto conflitto con quanto rassegnato nell’atto di
citazione, nel quale l’attore aveva allegato <<una serie, fra loro autonome e
ciascuna delle quali viene assertivamente esposta come sufficiente in sé e per
sé ad integrare la presunta ingratitudine>>.
Trattasi di doglianza destituita di giuridico fondamento sotto più
convergenti profili.
Occorre premettere, come di recente riaffermato in questa sede, che il
cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte
del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso
per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360, comma
1, n. 5, cod. proc. civ. (che attribuisce rilievo all’omesso esame di
un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della
sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le
parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), né in quello del precedente
n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132, n. 4, cod. proc. civ. – dà
rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di
legge costituzionalmente rilevante (Sez. 3, n. 11892 del 1076/2016, Rv.
640194).
La ricorrente, pur enunciando di volere denunziare anche la violazione
dell’art. 802, cod. civ., lamenta, peraltro senza confrontarsi con la
motivazione della sentenza censurata, la valutazione del materiale probatorio,
così proponendo, in definitiva, una rilettura di fatto inammissibile in sede di
legittimità. L’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art.
54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134,
introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione,
relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui
esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia
costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a
dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della
controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli
artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il
ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il
“dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il
“quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e
la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori
non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il
fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione
dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze
probatorie (S.U. n. 8053 del 7/4/2014, Rv. 629831).
La Corte di Torino, attingendo incensurabilnnente al materiale
probatorio, ha qualificato tempestiva l’azione in relazione al complesso dei
fatti offensivi esposti dall’attore; giudicando, in particolare, decisivo il
rapporto extraconiugale intrapreso dalla ricorrente con sfoggio di modalità tali
da ledere il decoro e l’onore del […] (sul punto la Corte di merito dedica
svariati passaggi argomentativi, non oggetto di puntuale ed efficace
smentita).
Non è dato cogliere in che consista il difetto d’interpretazione del
narrato attoreo, avendo il Giudice d’appello correttamente individuato il
termine a quo dell’anno decadenziale previsto dall’art. 802, cod. civ., da
quando il donante aveva acquisito consapevolezza del compimento dei fatti da
parte della donataria, legittimanti la revoca della donazione, non essendo
sufficiente una vaga e sommaria conoscenza del fatto ingiurioso (Sez. 2, n.
1090 del 18/1/2007, Rv. 594484; Sez. 2, n. 6208 del 3/6/1993, Rv. 482656).
Con il secondo motivo il ricorso addebita alla sentenza impugnata vizio
motivazionale per avere ritenuto sussistente in capo al […] l’animus
donandi.
In realtà non si ebbe a trattare di un atto di libera generosità, quanto
dell’adempimento del dovere morale di risarcire la moglie, per non aver voluto
optare per il regime della comunione dei beni, nonostante le vive insistenze di
costei. Trattavasi, in definitiva, del <<ragionevole cedimento alle pressioni
della consorte, ritenute moralmente fondate e quindi tali da richiamare il
soggetto all’adempimento di una vera e propria obbligazione naturale».
Non avrebbe potuto attribuirsi significato confessorio alle affermazioni
contenute nel rogito notarile per la difficoltà dell’appellante di cogliere le
sottigliezze giuridiche, invece, ben chiare al marito, di professione […], il
quale aveva agito con la riserva mentale di sfruttare le sue ottime
competenze ai danni della moglie.
Trattasi di doglianza manifestamente infondata.
La ricorrente congettura, con evidente traslazione argomentativa in
fatto, che il […] non intese far luogo ad un gesto di liberalità, ma
adempiere ad una obbligazione naturale. In altri termini, adduce, ignara delle
ragioni decisionali d’appello sul punto, un atteggiamento psicologico del
donante privo di spontaneità, frutto di <<un ragionevole cedimento alle
pressioni della consorte, ritenute moralmente fondate e quindi tali da
richiamare il soggetto all’adempimento di una vera e propria obbligazione
naturale». Di una tale congettura non v’è evidenza probatoria, a fronte della
vistosa smentita costituita dal contenuto dell’atto negoziale, che assegna
contenuto liberale alla dazione.
Con il terzo ed ultimo motivo viene denunziato vizio motivazionale e
violazione di legge a riguardo del preteso carattere gravemente ingiurioso
della condotta attribuita alla […].
L’unico addebito giudicato gravemente lesivo del decoro del […] era
stato individuato dalla Corte territoriale nella relazione extraconiugale. A ben
vedere, tuttavia, secondo la ricorrente, trattavasi di fatti non univoci:
l’atteggiamento confidenziale tenuto con tale […], peraltro non qualificato
da specifica matrice sessuale, si era avuto in una sola occasione; delle
contestate frequenze familiari del predetto […] unici testimoni erano stati
gli ex dipendenti del […], che non potevano dirsi indifferenti ed equanimi
e, peraltro, non si era avuto alcuno scandalo, in quanto gli unici ad aver
potuto percepire della relazione erano proprio i dipendenti domestici. In ogni
caso, a voler ritenere non irreprensibile la condotta della moglie, alla stessa
faceva da pendant il comportamento non morigerato del marito, il quale
giocava d’azzardo, aveva trascurato la figlia minore e, in una occasione,
aggredito fisicamente la moglie.
Anche quest’ultimo motivo, che ripropone inammissibilmente censura
sulla motivazione, denunzia una insussistente violazione di legge, senza
fronteggiare puntualmente il vaglio probatorio svolto dalla Corte di merito.
Questa ha ben spiegato che la ragione dell’ingratitudine non si identificava
con l’instaurazione della relazione extraconiugale in sé, ma nella ostentata
esibizione della stessa, fra le mura della casa coniugale ed in presenza di una
pluralità di estranei e talvolta, anche in presenza del marito. Modalità che,
piuttosto platealmente, esibivano intimità affettiva e, almeno secondo le
ostentate apparenze, anche sessuale, con un chiaro riverbero lesivo del
decoro del resistente e della percezione della di lui onorabilità (addirittura, la
frequente lunga permanenza in camera da letto dei due, in una occasione,
ebbe eco vistoso, in quanto, bloccatasi la serratura della porta d’accesso, fu
necessario chiedere aiuto alla servitù).
L’ingiuria grave richiesta, ex art. 801 cod. civ., quale presupposto
necessario per la revocabilità di una donazione per ingratitudine, pur
mutuando dal diritto penale la sua natura di offesa all’onore e al decoro della
persona, deve essere caratterizzata dalla manifestazione, nel comportamento
del donatario, di un durevole sentimento di disistima delle qualità morali e di
irrispettosità della dignità del donante contrastanti con il senso di
riconoscenza che, secondo la coscienza comune, dovrebbero invece,
improntarne l’atteggiamento (Sez. 2, n. 17188, del 24/6/2008, Rv. 604075).
Essa costituisce segno di una ingratitudine esteriorizzata, in modo tale
da rendere palese ai terzi l’opinione irriguardosa maturata nei confronti del
donante, la evidente disistima nutrita nei di lui confronti. Una tale ipotesi,
costituisce formula aperta ai mutamenti dei costumi sociali, che trovino
riconoscimento nel succedersi della legislazione. Se non può oggi ritenersi
sanzionare il mero fatto del rapporto d’intimità (non necessariamente di tipo
sessuale) esterno al matrimonio, certamente resta integrata
dall’intrattenimento di relazione che, nella migliore delle ipotesi, insensibile al
rispetto della dignità del coniuge, finisca per lederne l’immagine sociale.
Ovviamente, non rileva la dedotta supposta condotta non esattamente
morigerata del marito, stante l’oggetto della causa.
[…]