Corte di Cassazione, Sez. 2, Sentenza n. 24287 del 2015, dep. il 27/11/2015

[…]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso ex art. 447 bis c.p.c. al tribunale di Benevento — sezione distaccata di Guardia Sanframondi — notificato in data 13.10.2000 a […] e a […], […] esponeva quanto segue:
che aveva contratto matrimonio con […] in data […]1981 e che, in mancanza di diversa convenzione, il regime patrimoniale era quello della comunione dei beni; che il coniuge con atto per notar […] del 20.7.1984 aveva acquistato la quota ideale di 500/1000 di un fabbricato in Cerreto […], quota che conseguentemente doveva reputarsi ricompresa nella comunione legale;
che nel corso del giudizio di separazione personale, iniziato nel 1998, aveva appreso che il marito aveva concesso in comodato gratuito a […], per la durata di cinque anni, l’intero pian terreno dello stabile;
che il comodato dissimulava una donazione idonea a pregiudicare i suoi diritti ed in ogni caso costituiva un atto suscettibile di annullamento ai sensi dell’art. 184 c.c. perché stipulato senza il suo consenso.
Chiedeva, tra l’altro, all’adito giudice di “a) dichiarare simulato o in subordine annullare il contratto di comodato; b) condannare il sig. […] al rilascio dell’immobile (…)” (così ricorso, pag. 2).
Costituitosi, […] deduceva che aveva acquistato l’immobile, nella sua intera consistenza, dal padre, […], in epoca antecedente al matrimonio, con atto per notar […] del 26.1.1980; che, dunque, il rogito […] doveva considerarsi privo di causa, giacché la quota ideale con tal atto compravenduta era già di sua proprietà e in suo possesso, ovvero, per altro verso, simulato; che, al contempo, del prezzo corrisposto a […], sua zia, alienante la quota oggetto del rogito […], si era in realtà fatto carico suo padre, il quale in tal guisa aveva operato in suo favore una donazione indiretta, per giunta in adempimento di obblighi morali che nei suoi confronti il genitore aveva assunto.
Instava per il rigetto dell’avversa domanda; in via riconvenzionale, per la declaratoria di nullità ovvero di inefficacia, in quanto simulato, dell’atto in data 20.7.1984.
Si costituiva altresì […].
Autorizzata la chiamata in causa degli eredi di […], costoro non si costituivano. Disposto il mutamento di rito, ammessa ed assunta la prova testimoniale all’uopo articolata, con sentenza n. 1/2006 il tribunale adito annullava il contratto di comodato siglato in data 25.1.1999 da […] e da […], condannava quest’ultimo al rilascio dell’immobile, rigettava ogni ulteriore domanda hic et inde esperita, compensava le spese di lite.
Dava atto previamente il tribunale che con il rogito […] del 26.1.1980 […], quale corrispettivo del vitalizio assistenziale che con il medesimo rogito il figlio […] aveva contratto nei suoi confronti, aveva trasferito al figliolo, per mero errore materiale, siccome si era riconosciuto nel successivo rogito […] del 20.7.1984, l’intera proprietà del fabbricato in Cerreto […] anziché la proprietà della sola quota ideale di 1/2 di sua spettanza. Indi esplicitava che, “pur potendosi ritenere dimostrato che il denaro per l’acquisto compiuto con l’atto (…) […] era stato donato dal padre (…) al figlio (…) perché (…) moralmente responsabile per avere ricevuto assistenza dal figlio in base al (…) vitalizio del 1980 (…), ciò non di meno, al contratto (…) […] del 26.1.1980, (…) di (…) vitalizio assistenziale, doveva ritenersi applicabile la disciplina di cui all’art. 1478 c.c., [ragion] per cui […] (…) sarebbe rimasto, comunque, obbligato a procurare al figlio (…) l’acquisto della rimanente quota da […] e (…) tale obbligo sarebbe stato adempiuto (…) mediante il versamento della somma necessaria per l’acquisto (…), verificatosi con l’atto […]” (così ricorso, pagg. 5 – 6).
Esplicitava ulteriormente che, pertanto, l’ “esborso di denaro da parte di […] per l’acquisto da […] di tale residua quota, non avrebbe potuto configurarsi come donazione indiretta, ma solo come adempimento dell’obbligo di procurare la proprietà dell’intero bene a […]” (così ricorso, pag. 6); che di conseguenza l’acquisto della quota “doveva considerarsi caduto in comunione legale e, quindi, soggetto all’azione di annullamento di cui all’art. 184 c.c. proposta dalla […]” (così ricorso, pag. 6). Interponeva appello […]. Resisteva […]. Non si costituivano e venivano dichiarati contumaci […].
Con sentenza n. 547 dei 9/12.2.2010 la corte d’appello di Napoli rigettava il gravame e compensava integralmente tra le parti costituite le spese del grado.
Puntualizzava la corte distrettuale che “la disposizione dell’art. 1478 c.c. (…) opera anche nell’ipotesi di vendita parzialmente altrui, e anche se la cosa venduta appartenga per quote indivise al venditore e ad un terzo” (così sentenza d’appello, pag. 9); che “una volta stabilito (…) che ricadeva sul […] padre l’obbligo di procurare al figlio l’acquisto della quota di proprietà di […], appare evidente che tale obbligo è stato adempiuto ” (così sentenza d’appello, pag. 11); che, “d’altro canto, è da escludere che nella fattispecie si versasse in un’ipotesi di donazione indiretta, atteso che il dante causa con il citato atto poneva rimedio al riconosciuto errore materiale” (così sentenza d’appello, pag. 11). Puntualizzava ancora che, “al fine di escludere l’applicazione del regime della comunione legale dei beni è necessario, oltre ai requisiti indicati nelle lettere c, d ed f del comma 1 dell’art. 179 c.c., che l’altro coniuge partecipi all’atto di acquisto e che risulti espressamente tale esclusione (…), laddove nel caso di specie la […], non presente al rogito, evidentemente non ha potuto rendere la necessaria dichiarazione di esclusione” (così sentenza d’appello, pag. 12) . Avverso tale sentenza ha proposto ricorso […]; ne ha chiesto sulla scorta di due motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione in ordine alle spese, da distrarsi in favore dei difensori anticipatari.
[…] ha depositato controricorso; ha chiesto rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese. […] non hanno svolto difese.
Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione degli artt. 179, 1478, 1872 cod. civ. e 113 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.” (così ricorso, pag. 8). Adduce che, contrariamente a quanto assunto dalla corte di merito, il precedente costituito dalla pronuncia n. 4801/1978 di questa Corte di legittimità, giusta il quale l’art. 1478 c.c. si applica alla rendita vitalizia, non può esplicar valenza anche in relazione “al diverso caso di vitalizio assistenziale, attesa la sostanziale differenza tra le prestazioni oggetto dei due contratti, (…) quelle della rendita vitalizia (…) prevalentemente fungibili, (…) quelle del vitalizio assistenziale (…) essenzialmente infungibili, in quanto eseguibili unicamente dal vitaliziante specificamente individuato alla luce delle sue proprie qualità personali” (così ricorso, pag. 17); che nel vitalizio assistenziale “le prestazioni tipiche del vitaliziante, accentuatamente di natura spirituale, morale e personale, sono (…) incompatibili con un trasferimento della proprietà ad effetti differiti nel tempo, in quanto all’alea (…) verrebbe ad aggiungersi anche quella sul se nel futuro l’acquisto della proprietà si perfezionerà o meno” (così ricorso, pag. 18).
Adduce ulteriormente che, “esclusa l’applicabilità della disciplina della vendita di cosa altrui al vitalizio assistenziale, […], quale vitaliziato, non aveva alcun obbligo giuridico di procurare l’acquisto dei restanti 500 millesimi al figlio Bruno, ma solo, al più, un impegno morale” (così ricorso, pagg. 18 — 19); che in assolvimento di tale impegno “e con evidente spirito di liberalità e riconoscenza per l’assistenza ricevuta (…) dal figlio, lo stesso si determinò a versare a […] il corrispettivo per l’acquisto di cui all’atto […] (…), dando così vita ad una donazione indiretta della quota immobiliare residua in favore del ricorrente” (così ricorso, pag. 19); che siffatta donazione indiretta “in quanto tale doveva (e deve) ritenersi estranea alla comunione legale ai sensi dell’art. 179, lett. b), c.c.” (così ricorso, pag. 19).
Il motivo è a vario titolo immeritevole di seguito.
Si rappresenta innanzitutto che, in ossequio al canone di cosiddetta autosufficienza del ricorso per cassazione, quale positivamente sancito all’art. 366, 1° co., n. 6), c.p.c. (cfr. Cass. 20.1.2006, n. 1113, secondo cui il ricorso per cassazione – in forza del principio di cosiddetta “autosufficienza” — deve contenere in sé tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di merito), ben avrebbe dovuto il ricorrente riprodurre più o meno testualmente nel corpo del ricorso l’atto per notar […] del 20.7.1984 e l’atto per notar […] del 26.1.1980, onde consentire a questa Corte il compiuto riscontro, il compiuto vaglio dei propri assunti.
Si rappresenta altresì che la corte napoletana, in contrasto con le conclusioni formulate da […] a pagina 6 dell’atto di appello (cfr. sentenza d’appello, pag. 10) ed in aderenza all’insegnamento n. 4801 del 24.10.1978 di questa Corte di legittimità (a tenor del quale la disposizione contenuta nell’art. 1478 c. c., secondo cui, nel caso di vendita di cosa altrui, il venditore è obbligato a procurarne l’acquisto al compratore, opera anche nell’ipotesi di vendita di cosa parzialmente altrui ed anche se la cosa venduta appartenga per quote indivise al venditore e ad un terzo, non potendosi escludere in entrambi i casi l’obbligo di procurare al compratore la proprietà anche della quota altrui, materiale o ideale che sia), ha opinato nel senso che “la norma di cui all’art. 1478 c.c. si applica per la quota non di proprietà del dante causa, quota che egli ha però comunque alienato all’avente causa” (così sentenza d’appello, pag. 10). Il riferito passaggio motivazionale, tuttavia, avvalora e dà conto del buon fondamento della prospettazione della controricorrente secondo i difensori del ricorrente, “prima nella comparsa conclusionale depositata in appello ed ora nel ricorso per cassazione, invocano per mótivazioni del tutto nuove l’inapplicabilità della disciplina sulla vendita di cosa altrui” (così controricorso, pag. 8), ovvero la invocano – allo stato — in dipendenza dell’asserita diversità intercorrente tra rendita vitalizia, da un lato, e vitalizio alimentare, dall’altro.
Si tenga conto, ovviamente, che nel giudizio di legittimità non può essere proposto nessun motivo, né di fatto né di diritto, che comporti l’allargamento della materia del contendere oppure che presupponga l’accertamento di nuovi elementi di fatto, ulteriori rispetto a quelli già dedotti nelle fasi di merito (cfr. Cass. 12.8.2004, n. 15673).
Si rappresenta in ogni caso che nessun ostacolo si frappone all’operatività dell’insegnamento n. 4801 del 24.10.1978 di questa Corte di legittimità (secondo cui, altresì, al contratto di rendita vitalizia costituito mediante trasferimento, in corrispettivo, della proprietà di un immobile indiviso, appartenente pro quota ad un terzo, sono applicabili, per analogia, le norme sulla vendita di cosa altrui) pur sul terreno del vitalizio assistenziale.
Il contratto aleatorio tipico di cui agli artt. 1872 e ss. c.c. è il contratto con cui una parte, detta vitaliziante, si obbliga a corrispondere periodicamente all’altra, detta vitaliziato, una somma di denaro o altra quantità di cose fungibili, solitamente per tutta la durata della vita del vitaliziato ovvero di un terzo, verso il corrispettivo dell’alienazione di un bene immobile, mobile ovvero della cessione di un capitale.
Il contratto cosiddetto di vitalizio alimentare o contratto di mantenimento è il contratto con cui “una parte si obbliga, in corrispettivo dell’alienazione di un immobile o dell’attribuzione di altri beni o utilità, a fornire all’altra parte vitto e alloggio, ad assisterla in caso di malattia e a provvedere alle sue esigenze per tutta la durata della sua vita e in misura variabile secondo i suoi bisogni” (così Cass. sez. un. 18.8.1990, n. 8432 in motivazione).
Ebbene, pur a reputare, sulla scia del testé menzionato insegnamento delle sezioni unite di questo Giudice del diritto, che il vitalizio alimentare costituisca non già una sottospecie della rendita vitalizia ma un contratto atipico, è innegabile che trattasi di un contratto parimenti aleatorio (cfr. Cass. sez. un. 18.8.1990, n. 8432; Cass. 12.2.1998, n. 1502) e, soprattutto, di un contratto nel cui solco il vitaliziato analogamente può obbligarsi alla alienazione di un bene immobile.
In questo quadro a nulla rileva la circostanza per cui nel vitalizio assistenziale le prestazioni gravanti sul vitaliziante “sono essenzialmente infungibili, in quanto eseguibili unicamente dal vitaliziante specificamente individuato alla luce delle sue proprie qualità personali” (così ricorso, pag. 17) ed hanno un’accentuata “natura spirituale, morale e personale” (così ricorso, pag. 18).
Ciò che riveste valenza, piuttosto, è l’analoga “componente”, dal lato del vitaliziato, dell’alienazione eventualmente di un bene immobile, sicché è da recepire il rilievo della controricorrente per cui “le norme in tema di vendita si applicano non al vitalizio in quanto tale, ma alla prestazione di colui che beneficerà dell’assistenza, quando questa, come nella fattispecie, ha ad oggetto il trasferimento di un bene immobile” (così controricorso, pag. 14).
In questo quadro, inoltre, del tutto ingiustificata è la prospettazione del ricorrente secondo cui “se il futuro trasferimento della proprietà, infatti, per qualsiasi motivo, non si dovesse verificare, il vitaliziante resterebbe privo di adeguata tutela, in quanto le prestazioni da lui, nelle more, eseguite, essendo essenzialmente infungibili, resterebbero insuscettibili di essere pienamente ed adeguatamente ristorate e risarcite” (così ricorso, pag. 18).
Al riguardo è sufficiente evidenziare che l’elaborazione giurisprudenziale ammette con riferimento al vitalizio alimentare l’operatività del rimedio della risoluzione per inadempimento che, di contro, l’art. 1878 c.c. esclude per il vitalizio tipico (cfr. Cass. sez. un. 18.8.1990, n. 8432), sicché sicuramente maggiori sono i margini di tutela assicurati all’una ed all’altra parte contraente nel vitalizio alimentare.
In questo quadro, infine, in nessun modo si comprende — siccome sul punto rileva la controricorrente (cfr. controricorso, pag. 15) — l’assunto di […] a tenor del quale, “a fronte di prestazioni infungibili, l’effetto traslativo della proprietà o di altro diritto reale di godimento su di un immobile, deve essere necessariamente immediato e non già differito nel tempo”(così ricorso, pag. 18).
Con il secondo motivo il ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione degli artt. 179 c.c. e 113 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.” (così ricorso, pag. 20). Adduce che l’acquisto della quota immobiliare di 500/1000 mercé l’atto […] in data 20.7.1984 deve considerarsi operato mediante “un contratto di vitalizio assistenziale (…) escluso dalla comunione legale, in virtù dell’art. 179, lettera f), c.c. atteso il carattere strettamente ed eminentemente personale del vitalizio che è contratto stipulato intuitu personae” (così ricorso, pag. 20); che propriamente “si tratterebbe (…) di acquisto (…) derivante dal trasferimento di beni personali” (così ricorso, pag. 20); che, infatti, seppure “fosse corretta (ma non lo è) la ricostruzione giuridica operata dal Tribunale (…), il corrispettivo corrisposto da […] non sarebbe di certo il danaro sborsato da […] a favore di […], bensì le prestazioni assistenziali dallo stesso rese in favore del padre […], atteso che, proprio in adempimento del vitalizio assistenziale, il padre avrebbe procurato la proprietà dell’intero bene al figlio” (così ricorso, pagg. 20 – 21); che, più esattamente, nel quadro del rapporto trilaterale intercorso tra […], […] e […], “l’alienante resta sempre e comunque […] mentre l’acquirente resta il figlio […], in virtù delle prestazioni assistenziali oggetto del vitalizio” (così ricorso, pag. 21); che “tali prestazioni, per il loro carattere non meramente patrimoniale e per la loro infungibilità (…), certamente rientrano nel novero dei casi in cui è costituito da beni personali” (così ricorso, pag. 21).
Adduce, ancora, che la dichiarazione della parte acquirente postulata dall’art. 179, 1° co., lett. f), c.c. ed in pari tempo la partecipazione dell’altro coniuge all’atto risultano necessarie e indispensabili “solo se l’acquisto avviene con denaro o con altra prestazione fungibile che possa creare incertezza in ordine alla provenienza degli stessi, ove, invece, tale incertezza non sussiste per la peculiarità della prestazione strettamente personale ed infungibile, deve certamente escludersi che l’acquisto ricada in comunione legale” (così ricorso, pag. 22); che, conseguentemente, “non vi era la necessità che […] rendesse la dichiarazione di cui all’art. 179, lettera f), c.c. e che il coniuge, […], partecipasse all’atto al fine di aderire a tale dichiarazione” (così ricorso, pag. 24).
Il motivo analogamente a vario titolo non merita seguito.
Si rappresenta innanzitutto che, parimenti in relazione al motivo de quo agitur, rileva il mancato ossequio al canone di “autosufficienza” del ricorso per cassazione, segnatamente l’omessa riproduzione nel corpo del ricorso dell’atto […] e dell’atto […]. E ciò tanto più che il ricorrente assume che l’acquisto della quota immobiliare di 500/1000 mercé l’atto […] deve considerarsi operato mediante “un contratto di vitalizio assistenziale (…) escluso dalla comunione legale” (così ricorso, pag. 20). Si rappresenta in ogni caso – e pur a prescindere dal profilo di novità stigmatizzato dalla controricorrente a pagina 17 del controricorso (controparte “nell’atto di appello (…) aveva impugnato la sentenza di primo grado postulando esclusivamente (…) ovvero l’esclusione del bene dalla comunione per la sua provenienza donativa’) — in rapporto alla ipotesi di esclusione dalla comunione legale di cui alla previsione dell’art. 179, 1° co., lett. 0, c.c., cui è ancorato il motivo di ricorso in disamina, che questa Corte, a sezioni unite, ha spiegato che, nel caso di acquisto di un immobile effettuato dopo il matrimonio da uno dei coniugi in regime di comunione legale, la partecipazione all’atto dell’altro coniuge non acquirente, prevista dall’art. 179, 2° co., c.c., si pone come condizione necessaria ma non sufficiente per l’esclusione del bene dalla comunione, occorrendo a tal fine non solo il concorde riconoscimento da parte dei coniugi della natura personale del bene, richiesto esclusivamente in funzione della necessaria documentazione di tale natura, ma anche l’effettiva sussistenza di una delle cause di esclusione dalla comunione tassativamente indicate dall’art. 179, 1° co., lett. c), d) ed f), c.c. (cfr. Cass. sez. un. 20.10.2009, n. 22755).
In questi termini si rimarca in primo luogo che — nonostante il mancato assolvimento degli oneri postulati dal canone dell’ “autosufficienza” — è da reputare, più che verosimilmente, che l’atto per notar […] del 1984 indichi quale corrispettivo del trasferimento della quota di 500/1000 il prezzo di lire 14.000.000 pattuito e non le prestazioni assistenziali da […] rese in favore del padre (al riguardo cfr. controricorso, pag. 19).
In questi termini si rimarca in secondo luogo che — nonostante il mancato assolvimento degli oneri postulati dal canone dell’ “autosufficienza” – non vi è motivo per dubitare che l’atto […] non solo non rechi alcuna dichiarazione riferibile ad […] e diretta ad escludere l’acquisto della quota di 500/1000 dalla comunione legale, ma neppure registri la partecipazione allo stesso atto della medesima controricorrente. Anzi, […] ha avuto cura di soggiungere che “nell’atto del 1984, mentre la zia […] dichiari di essere in comunione legale ma garantisca espressamente che il coniuge non ha alcun diritto sull’immobile, l’acquirente, […] non dichiari niente” (così controricorso, pag. 20); difetta, quindi, pur una dichiarazione riferibile a […] e tesa a far sì che l’acquisto fuoriesca dalla comunione legale.
In questi termini si rimarca in terzo luogo — e nel segno dell’insegnamento di questa Corte n. 24061 del 28.10.2009 (secondo cui, in tema di regime della comunione legale fra i coniugi, la dichiarazione di cui è onerato il coniuge acquirente, prevista nella lett. I) del I° co., dell ‘art. 179 c. c., al fine di conseguire 1’esclusione, dalla comunione, dei beni acquistati con il trasferimento di beni strettamente personali o con il loro scambio, non è meramente facoltativa; tuttavia, pur non avendo natura dispositiva, ma ricognitiva della sussistenza dei presupposti per l’acquisto personale, è necessaria solo quando la natura dell’acquisto sia obbiettivamente incerta, per non essere accertato che la provvista necessaria costituisca reinvestimento de/prezzo di beni personali) che, tra gli altri, il ricorrente menziona a supporto della sua prospettazione che proprio in dipendenza dell’innegabile singolarità, dell’indubitabile peculiarità del bene personale (prestazioni assistenziali in favore del padre), il cui scambio avrebbe — si assume – generato la provvista utilizzata ai fini dell’acquisto della quota di 500/1000, vi era più che ragionevole motivo, all’atto della stipula del rogito […], per considerare incerta l’esclusione della quota dalla comunione legale e, perciò, per indursi e per non omettere la dichiarazione cui è onerato il coniuge acquirente ai sensi della lett. f) del 1° co. dell’art. 179 c.c..
Il rigetto del ricorso […]