Corte di Cassazione, Sez. 2, Sentenza n. 7479 del 2013, dep. il 25/03/2013

 

[…]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 5-5-1988 […] conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Fermo […], […] e […] esponendo che il […] era deceduto in San Benedetto del Tronto il padre […] il quale, con atto a rogito notaio […] del 18-3- 1983, aveva ceduto, per remunerare un vitalizio alimentare, l’unico cespite immobiliare di sua proprietà al figlio […] ed alla di lui moglie […].
L’attore chiedeva di dichiarare aperta la successione di […] e, accertato che l’atto stipulato il 18-3-1983 dissimulava una donazione, di ridurre la donazione stessa in modo da ricostituire la quota a lui spettante quale legittimario, di ordinare ai donatari di rendere il conto o, in subordine, di ridurre la lesione della sua quota di legittimario entro i limiti della congruità delle rispettive prestazioni delle parti.
[…] e […] si costituivano in giudizio contestando il carattere simulato del vitalizio e chiedendo il rigetto della domanda attrice, mentre […] restava contumace.
A seguito del decesso dell’attore si costituiva in giudizio quale sua erede […].
Il Tribunale adito con sentenza del 14-10-2002, dichiarata aperta la successione di […], respingeva ogni ulteriore domanda attrice.
Proposta impugnazione da parte della […] cui resistevano […] e la […] mentre […] restava contumace la Corte di Appello di Ancona con sentenza del 22-2-2006 ha rigettato l’impugnazione, avendo escluso che il contratto stipulato il 18-3-1983 dissimulasse una donazione o un “negotium mixtum cum donatione”.
Avverso tale sentenza la […] ha proposto un ricorso articolato in due motivi cui […] e la […] hanno resistito con controricorso; […] non ha svolto attività difensiva in questa sede.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente, denunciando vizio di motivazione e violazione o falsa applicazione degli artt. 809, 1872, 1362, 1364, 1369, 1371 e 2729 c.c., assume che erroneamente il giudice di appello ha ritenuto che il contratto stipulato dal defunto […] con il figlio […] e la nuora […] aveva carattere di effettività e non dissimulava una donazione indiretta. La […] assume anzitutto che lo spirito di liberalità è perfettamente compatibile con l’imposizione di un peso al beneficiato, e che nella fattispecie in effetti mancava un nesso di sinallagmaticità tra il trasferimento della proprietà di un immobile alle attuali controparti e l’obbligo di assistenza in favore di […], configurandosi quest’ultimo come una semplice limitazione del beneficio che non atteneva alla causa del contratto;
vi erano pertanto elementi indiziari per ritenere che tale contratto dissimulava una donazione.
La ricorrente sostiene che il contratto di mantenimento, secondo la qualificazione operata dalla sentenza impugnata, è caratterizzato dall’alea, e che, se la Corte territoriale avesse proceduto ad una comparazione delle contrapposte prestazioni, detta alea nella specie sarebbe risultata insussistente, data l’età molto avanzata di […] al tempo della stipula del contratto (85 anni) e quindi la sua ridotta aspettativa di vita; d’altra parte l’eventuale degenza in una struttura sanitaria o gli oneri di assistenza in caso di malattia non sarebbero gravati a carico delle controparti, in quanto il ricovero ospedaliero come le spese per assistenza medica o per farmaci sarebbero state tutte a carico del servizio sanitario nazionale; la […] inoltre rileva che era stato omesso l’esame del valore dell’immobile trasferito.
La […] poi sostiene che illogicamente la sentenza impugnata ha ritenuto comunque non provata la consapevole accettazione da parte dell’anziano disponente della sproporzione tra la prestazione da lui fornita e quella che i beneficiati si erano obbligati ad offrire, omettendo così di considerare che l’esistenza dello spirito di liberalità era desumibile dal valore e dall’entità delle rispettive prestazioni, da valutare anche ai fini dell’accertamento dell’esistenza dell'”animus donandi”; invero significativa in tal senso era l’attribuzione a […] ed alla […] dell’intero patrimonio del disponente, fatto che aveva comportato l’impoverimento assoluto di […] ed un correlativo arricchimento in capo ai beneficiati.
Con il secondo motivo la ricorrente, deducendo vizio di motivazione e violazione e falsa applicazione degli artt. 809, 433, 1362, 1363, 1364, 1369, 1371, 2727 e 2729 c.c., e art. 210, 212, 213 e 232 c.p.c., rileva che la sentenza impugnata ha ritenuto implicitamente la sussistenza di esigenze assistenziali del cosiddetto vitaliziato che in realtà non esistevano e non erano state minimamente provate;
anzi l’istruttoria svolta aveva consentito di accertare che […] disponeva di introiti, provenienti dai canoni di locazione dell’immobile per cui è causa e dalla pensione di anzianità, più che sufficienti per far fronte ai propri bisogni; d’altra parte le controparti non avevano offerto nessuna prova di aver sostenuto delle spese per il vitto, l’assistenza e la cura di […]. La […] deduce ancora che il giudice di appello ha omesso di considerare che gli oneri dichiaratamente assunti dalle controparti si identificavano con gli obblighi che la legge (art. 433 c.c.) pone a carico del figlio nel caso in cui il padre si trovi in stato di bisogno.
La ricorrente evidenzia come ulteriore indizio della simulazione la dichiarazione resa dalle parti nel contratto in questione in ordine alle cattive condizioni statiche e di manutenzione dell’immobile, considerato che tale dichiarazione non corrispondeva allo stato reale del bene; nello stesso senso doveva essere apprezzato il prezzo di L. 15.000.000 dichiarato dai contraenti “ai soli fini fiscali”, ma in realtà anche per celare la reale causa del negozio, costituita appunto da una donazione.
Le enunciate censure, da esaminare contestualmente per ragioni di connessione, sono fondate nei limiti che ora saranno chiariti. La Corte territoriale, premesso di condividere la qualificazione del negozio stipulato il 18-3-1983 quale contratto di mantenimento, nel quale l’obbligazione del vitaliziante è sia di dare che di fare, ed ha quindi per oggetto una prestazione continuativa e non periodica, ha escluso che il suddetto contratto dissimulasse una donazione o anche un “negotium mixtum cum donatione”; in proposito ha anzitutto valorizzato il fatto, emerso da alcune deposizioni testimoniali, che gli attuali controricorrenti avevano garantito alloggio ed assistenza a […] anche durante i periodi di degenza ospedaliera, posto che tali circostanze costituivano un indice rivelatore della insussistenza della simulazione; ne’ in senso contrario aveva rilevanza l’età avanzata di […] al momento della stipulazione del contratto (85 anni), in quanto le possibili malattie che avrebbero potuto colpire un soggetto di quella età o delle quali egli era affetto, rendeva possibile anche l’eventualità di consistenti oneri per l’ipotesi di degenza del vitaliziato o di necessità di assistenza medica, cosicché non poteva escludersi per tali ragioni la sussistenza dell’alea del contratto in questione così da dedurne l’esistenza di una donazione; il fatto poi che […] fosse titolare di trattamenti pensionistici e che percepisse un reddito dall’affitto del terreno non incideva sul piano oggettivo e non escludeva la effettività della volontà delle parti nell’atto denominato “contratto di vitalizio alimentare mediante cessione di immobili”, considerato il rilievo verosimilmente attribuito da […] all’aspetto spirituale della obbligazione assunta nei suoi confronti, consistente nella prestazione di assistenza, ed alle spese necessarie per malattie pur eventuali, presumibilmente rappresentate come tali da rendere equilibrata, nell’ambito di un contratto caratterizzato dall’alea, la prestazione assunta a suo carico.
Il giudice di appello ha quindi escluso una rilevante sproporzione tra le prestazioni oggetto dei rispettivi obblighi assunti dalle parti, tenuto conto della variabilità dell’obbligo assunto da […] e dalla […] in considerazione di fattori non predeterminabili quali la residua vita di […], le malattie che avrebbero potuto colpirlo ed in genere il mutamento delle sue esigenze; d’altra parte l’immobile ceduto ai vitalizianti era stato descritto nell’atto notarile come terreno agricolo di ha 0.98.20 con sovrastante fabbricato rurale in cattive condizioni statiche e di manutenzione, del valore dichiarato a fini fiscali di lire 15.000.000; a tal riguardo la sentenza impugnata ha ritenuto inattendibili le valutazioni espresse in una consulenza di parte prodotta dalla […] che indicava un valore del bene alla data dell’atto notarile di lire 105.680.000, ed ha disatteso comunque la richiesta dell’appellante per l’espletamento di una CTU volta alla determinazione della stima dell’immobile, in quanto l’accertamento del valore del bene nei termini prospettati dalla suddetta consulenza di parte non avrebbe assunto rilievo in ordine alla dimostrazione di un intento simulatorio; invero a tali fini era necessario provare non solo una significativa sproporzione tra le entità delle prestazioni, ma anche la consapevolezza della stessa e la sua volontaria accettazione da parte del cedente, prova nella fattispecie non fornita neppure sulla base di presunzioni.
Orbene il convincimento della sentenza impugnata non appare sufficientemente persuasivo per le considerazioni che saranno ora espresse, pur dovendosi premettere che alcuni profili di censura sollevati dalla ricorrente sono infondati.
Sotto tale ultimo aspetto, invero, il fatto che le controparti non avessero offerto alcuna prova delle spese sostenute per il vitto, l’assistenza e la cura di […] è irrilevante ai fini di provare l’insussistenza dell’alea del contratto in questione, attenendo tali circostanze piuttosto all’adempimento o meno delle obbligazioni contrattuali assunte e quindi ad un tempo successivo alla conclusione del contratto, laddove l’indagine sollecitata dalla domanda di simulazione deve essere operata con riferimento al momento della conclusione del contratto stesso; del pari nessun rilievo può essere attribuito alle buone condizioni economiche di […] allorché stipulò il suddetto contratto, in quanto le prestazioni a carico del vitaliziante prescindono, come correttamente ritenuto dalla Corte territoriale, dallo stato di bisogno del vitaliziato (Cass. 7-2-1992 n. 1401), circostanza che quindi comporta altresì l’erroneità dell’assunto della stessa ricorrente in ordine ad una presunta identificazione degli obblighi contrattuali assunti dagli attuali ricorrenti con quelli nascenti dalla legge in materia di alimenti (art. 433 c.c. e ss.), avuto riguardo al carattere marcatamente spirituale di tali obblighi (Cass. 5-5-2010 n. 10859). Tanto premesso, tuttavia l’indagine condotta dal giudice di merito non appare appagante in relazione alla domanda di simulazione proposta ed ai conseguenti accertamenti che essa comportava per verificarne la sua fondatezza in relazione alla peculiarità del contratto atipico di mantenimento, denominato anche vitalizio assistenziale; infatti secondo l’orientamento consolidato di questa Corte l’aleatorietà, che costituisce elemento essenziale di tale contratto, deve essere accertata con riguardo al momento della conclusione del contratto stesso, il quale è caratterizzato dalla incertezza obiettiva iniziale in ordine alla durata di vita del vitaliziato e dalla correlativa eguale incertezza in relazione al rapporto tra il valore complessivo delle prestazioni dovute dal vitaliziante in relazioni alle esigenze assistenziali del vitaliziato (dipendenti non soltanto dalla sopravvivenza del beneficiario, ma anche dalle sue condizioni di salute, il cui peggioramento implica un aggravio delle cure) ed il valore del cespite patrimoniale ceduto in corrispettivo del vitalizio (Cass. 29-8-1992 n. 9998; Cass. 24-6-2009 n. 14796); orbene la Corte territoriale, dopo aver esaminato la natura delle prestazioni contrattualmente a carico dei vitalizianti, ha sostanzialmente omesso una apprezzabile oggettiva valutazione dell’immobile ad essi ceduto con riferimento all’epoca di conclusione del contratto, ritenendo in particolare superfluo l’espletamento di una CTU al riguardo senza dare sufficiente e logica motivazione di tale convincimento; infatti la ritenuta insufficienza della eventuale prova di una significativa sproporzione tra le entità delle rispettive prestazioni delle parti se non accompagnata dalla prova della consapevolezza della stessa e della sua volontaria accettazione da parte del cedente sembra avere riguardo alla natura della domanda di simulazione del contratto per cui è causa in quanto dissimulante una donazione, e dunque all’esigenza di una prova anche dello spirito di liberalità quale elemento essenziale della donazione stessa; e tuttavia in proposito è agevole osservare che tale requisito ben può essere accertato in via presuntiva proprio tramite l’accertamento della sproporzione tra le rispettive prestazioni dei contraenti; pertanto in sede di rinvio occorrerà procedere ad un nuovo esame di tale aspetto della controversia onde effettuare una effettiva comparazione delle prestazioni rispettivamente a carico dei contraenti.
In definitiva quindi il ricorso deve essere accolto per quanto di ragione, la sentenza impugnata deve essere cassata, e la causa deve essere rinviata anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio alla Corte di Appello di Bologna.
[…]