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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 16 dicembre 1992 […] conveniva davanti al Tribunale di Palermo il notaio […] ed esponeva:
– che con atto in data 8 giugno 1990, rogato dal notaio convenuto, aveva acquistato un appartamento;
– che i venditori avevano dichiarato che l’immobile era libero da iscrizioni ipotecarie, trascrizioni pregiudizievoli, da altri pesi e vincoli, ad eccezione di due iscrizioni ipotecarie, da intendersi come “cartolari”, cioè riferibili a debiti estinti;
– che, invece, una ipoteca non era affatto “cartolare” e che per evitare l’espropriazione dell’immobile da parte del Monte […], era stata costretta a pagare la somma di Lire 99.000.000;
sulla base di tali premesse l’attrice chiedeva la condanna del notaio convenuto al pagamento di tale somma.
Il notaio […], costituitosi, resisteva alla domanda, che veniva rigettata dal tribunale di Palermo con sentenza in data 6 ottobre 2000. Contro tale decisione […], quale erede di […], proponeva appello, che veniva parzialmente accolto, con sentenza in data 19 giugno 2002, dalla Corte di appello di Palermo, che affermava la responsabilità del notaio rogante, ma limitava il risarcimento del danno a Lire 60.000.000, in base alla seguente motivazione.
Poiché, alla stregua di quanto si è esposto, l’opera professionale del notaio non si riduce a quella di un passivo registratore delle dichiarazioni altrui, ne consegue che nella specie il notaio non avrebbe dovuto limitarsi a ricevere la dichiarazione con cui i venditori attestavano la cartolante delle ipoteche iscritte, essendo altresì tenuto, se non ad accertare personalmente che i crediti cui si riferivano le garanzie ipotecarie erano ormai estinti, quantomeno a prospettare all’acquirente l’opportunità di verificare la veridicità delle attestazioni degli alienanti e quindi l’effettiva estinzione dei crediti cui si riferivano le formalità stesse, cautela tanto più necessaria dato che, secondo quanto dedotto dallo stesso appellato, lo svolgimento delle trattative si era prolungato oltre il termine originariamente previsto dalle partì in quanto, ben prima della stipula del definitivo, era risultato che il bene promesso era gravato da altre iscrizioni ipotecarie in danno di uno dei venditori. Siffatto obbligo, che appunto non è subordinato al conferimento di uno specifico incarico, è stato pretermesso dal notaio, il quale pertanto è tenuto a rispondere nei confronti dell’appellante di tale sua condotta negligente. Nè può esimere l’appellato da responsabilità la circostanza che l’acquirente già prima della stipula del definitivo aveva dato sostanziale esecuzione alla compravendita mediante il pagamento dell’intero prezzo convenuto, per l’ovvia ragione che, qualora non si fosse proceduto alla stipula dell’atto pubblico, la […] non avrebbe dovuto effettuare un ulteriore esborso di danaro al fine di evitare l’espropriazione da parte della Banca creditrice. Contro tale decisione hanno proposto ricorso per cassazione […], […] e […], quali eredi di […], con cinque motivi. Resiste con controricorso […].
MOTIVI DELLA DECISIONE
Da un punto di vista logico va esaminato per primo il secondo motivo, con il quale si denunzia un vizio di ultrapetizione nel quale sarebbe incorsa la sentenza impugnata, in quanto avrebbe accolto la domanda sotto il profilo della esistenza di un obbligo del notaio rogante di consigliare all’acquirente la effettiva estinzione del debito a garanzia del quale è stata iscritta una ipoteca sull’immobile oggetto della vendita, mentre la domanda iniziale era stata basata sulla esistenza di un obbligo del notaio di procedere personalmente a tale accertamento.
La doglianza è infondata.
In definitiva, infatti, i giudici di secondo grado si sono limitati ad accogliere la domanda sotto il profilo della affermata sussistenza di un obbligo dal contenuto meno pregnante di quello prospettato dalla attrice.
Con il primo motivo ed il terzo motivo, che, per la loro stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente, i ricorrenti sostanzialmente deducono che la Corte di appello di Palermo, in contrasto con i principi desumibili dalla giurisprudenza di questa S.C., ha erroneamente affermato che il notaio dovrebbe consigliare le parti di controllare la veridicità delle dichiarazioni rese dalle controparti.
La doglianza è fondata.
È pacifico che, come ricordato dalla sentenza impugnata, il notaio non è un passivo registratore delle dichiarazione delle parti, essendo contenuto essenziale della sua prestazione professionale anche il ed. dovere di consiglio.
Va, però, chiarito che tale dovere di consiglio ha per oggetto questioni tecniche, cioè problematiche che una persona non dotata di competenza specifica non sarebbe in grado di percepire, collegate al possibile rischio che una vendita formalmente perfetta possa, poi, risultare inefficace a causa della condizione giuridica dell’immobile trasferito, ma non può essere dilatato fino al controllo di circostanze di fatto il cui accertamento rientra nella normale prudenza.
Così, ad es., non può rientrare nella prestazione professionale del notaio il dovere di consigliare al venditore di accertare la solvibilità del compratore nel caso di vendita con pagamento dilazionato del prezzo o di consigliare al compratore di accertare la inesistenza di eventuali vizi.
Allo stesso modo quando, in sede di stipula di una vendita, l’alienante dichiara che sull’immobile oggetto del trasferimento grava un’ipoteca, ma che il debito a garanzia del quale è stata iscritta si è estinto, è da ritenere che l’acquirente, secondo la diligenza del normale padre di famiglia, abbia controllato la veridicità di tale circostanza, attraverso la richiesta della esibizione della quietanza, senza che sia configurabile un obbligo professionale del notaio avente ad oggetto il consiglio di effettuare tale controllo, specie quando, come nella specie, è pacifico che la vendita ha luogo alla conclusione di un lungo periodo di trattative.
Il quinto ed il quarto motivo, relativi rispettivamente alla inesistenza di un danno ed in via subordinata alla errata liquidazione dello stesso, vengono ad essere assorbiti. Il ricorso va, pertanto, accolto, con cassazione della sentenza impugnata. Non essendovi accertamenti da compiere che giustifichino un giudizio di rinvio, il collegio, ai sensi dell’art. 384 c.c., comma 2, decidendo la causa nel merito, rigetta la domanda.
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