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Ciò posto, con il primo motivo del ricorso principale viene dedotta errata applicazione ed interpretazione della L. 28 febbraio 1985, n. 47, artt. 17, 18 e 40 per avere la corte territoriale ritenuto incommerciale il rustico nonostante la costruzione dello stesso risalisse a prima del 1.9.1967; d’altro canto non qualsiasi intervento non autorizzato su costruzioni iniziate prima di tale data comporta ex sè l’incommerciabilità della costruzione, come sostenuto dalla Commissione Studi Civili del notariato, ma solo quello comportante la “totale difformità” dell’opera. A conclusione del mezzo viene formulato il seguente quesito di diritto: “Dica l’Ecc.ma Corte di Cassazione se ai sensi della L. n. 47 del 1985 sia o meno liberamente commerciabile una costruzione iniziata prima del 1 settembre 1967 e sulla quale sia stato successivamente operato un intervento edilizio non costituente variazione essenziale, ne’ ampliamento della volumetria”.
La censura è fondata e va, pertanto, accolta.
Sono pacifici – e risultano dagli atti del processo presi in considerazione dai giudici del merito – i seguenti dati di fatto: il rustico in questione è stato realizzato, nella sua originaria struttura, prima del 1 settembre 1967; dopo la sua edificazione ha subito interventi di ristrutturazione e di sistemazione negli anni 1982 – 1984 senza avere ottenuto preventivamente la concessione di autorizzazione, giacché l’unica rinvenuta, la n. 53/81-A del 1.3.1982, richiedeva (da parte dell’Assessorato alla Pianificazione Territoriale della Regione Piemonte) integrazioni non presentate; rispetto alla costruzione iniziale, all’immobile in questione sono state apportate successivamente modificazioni, in occasione del restauro che ha riguardato il rifacimento del tetto, degli intonaci, della torretta fumaria, oltre al rappezzo delle pavimentazioni, alla sistemazione degli infissi e soprattutto la realizzazione di una scala esterna, con muretti di elevazione intonacati al rustico e gradini in pietra naturale grezza (la Regione ha in ordine a quest’ultima opera evidenziato la necessità di realizzare la nuova scala con muratura in pietra a faccia a vista come il resto dell’edificio); l’immobile presenta, rispetto all’opera iniziale, difformità riguardante la costruzione della scala esterna, costituente una modifica essenziale, per la quale la Regione, come suddetto, ha chiesto di modificare il progetto redatto al tempo del restauro, modifica che però non è stata presentata;
l’Amministrazione comunale non ha proceduto ad ingiungere la demolizione delle opere de quibus; il c.t.u. ha accertato la possibilità di sanare l’immobile attraverso la realizzazione di interventi puntualmente indicati e quantificati economicamente. La giurisprudenza di questa Corte ha più volte ribadito (Cass. 17 giugno 1999 n. 6018; Cass. 11 luglio 2005 n. 14489; Cass. 24 aprile 2007 n. 9849) che la sanzione di nullità, prevista dalla L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 40, comma 2, con riferimento ad immobili privi della necessaria concessione edificatoria (ovvero della concessione rilasciata in sanatoria o della copia conforme della relativa domanda corredata della prova dell’avvenuto versamento delle prime due rate dell’oblazione), trova applicazione ai soli contratti ad effetti reali, mentre le relative previsioni non possono essere estese ai contratti ad efficacia meramente obbligatoria, quali i preliminari di vendita, come si desume dal tenore letterale della norma, nonché dalla circostanza che, successivamente al contratto preliminare, può intervenire la concessione in sanatoria degli abusi edilizi commessi, con la conseguenza che, in questa ipotesi, rimane esclusa la sanzione di nullità per il successivo contratto di vendita, ovvero si può far luogo alla pronuncia di sentenza ex art. 2932 c.c.. Peraltro, poiché la procedura di cui all’art. 2932 c.c. opera in funzione sostitutiva della volontà del contraente inadempiente, se fosse consentita l’emanazione di tale sentenza senza l’osservanza della L. n. 47 del 1985, art. 40, l’indicata disciplina imperativa verrebbe di fatto elusa, dato che, tramite il provvedimento dell’autorità giudiziaria, sarebbe possibile l’ottenimento di un effetto maggiore o diverso da quello raggiungibile con un atto negoziale.
Per tale motivo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 9 dicembre 1992 n. 13024; Cass. 27 aprile 2006 n. 9647; Cass. 22 maggio 2008 n. 13225) ha affermato che, in assenza della dichiarazione degli estremi della concessione edilizia o della allegazione della domanda di concessione in sanatoria con gli estremi del versamento delle prime due rate della relativa oblazione, il giudice non può pronunciare la sentenza di trasferimento coattivo di diritti reali su edifici o loro parti, prevista dall’art. 2932 c.c., perché l’art. 40, comma 2, legge cit., che richiede la predetta dichiarazione o allegazione, a pena di nullità, per la stipulazione degli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali (che non siano di servitù o di garanzia) relativi ad edifici o loro parti, indirettamente influisce anche sui presupposti necessari per la pronuncia della sentenza di cui all’art. 2932 c.c., che, avendo funzione sostitutiva di un atto negoziale dovuto, non può realizzare un effetto che, comunque, eluda le norme di legge che governano, nella forma e nel contenuto, l’autonomia negoziale delle parti. E tale limite non può essere superato dalla astratta possibilità della successiva sanatoria della nullità, prevista per i contratti, dell’art. 40, comma 3 (che espressamente consente la successiva “conferma”, con efficacia sanante, del negozio viziato), attesa l’evidente incompatibilità tra l’istituto della conferma dell’atto nullo previsto dalla predetta disposizione e le peculiari caratteristiche della sentenza e l’autorità del giudicato che questa è destinata ad acquistare. Orbene, se è corretta l’analisi normativa della Corte territoriale e la ricostruzione della vicenda in ordine alla possibilità per l’attrice di ottenere una pronuncia costitutiva del trasferimento della proprietà ex art. 2932 c.c., non è condivisibile la conclusione cui nella specie è pervenuta. Infatti la Corte di merito ha ritenuto di equiparare la costruzione senza licenza edilizia alla costruzione in difformità senza previamente accertare se si trattasse di difformità “totale” (per la quale ipotesi vale l’assimilazione predetta) ovvero di variazione parziale e non essenziale. La prima ipotesi (L. n. 47 del 1985, art. 7, comma 1) ricorre quando sia stato realizzato un organismo edilizio radicalmente diverso per caratteristiche tipologiche o di realizzazione di volumi non assentiti (L. n. 47 del 1985, ex art. 8), da quello per cui la concessione è stata rilasciata. Si ha invece variazione parziale (L. n. 47 del 1985, art. 12) quando la modifica concerne parti non essenziali del progetto. In particolare la giurisprudenza del Consiglio di Stato, con specifico riferimento al caso della traslazione del manufatto rispetto all’area originaria, assume esservi “variante essenziale…… quando le modifiche al progetto assentito riguardano la sagoma, la superficie coperta, la struttura interna e la destinazione dell’edificio”, mentre “la parziale rilocalizzazione… attuata con una parziale traslazione e rotazione dello stesso rispetto all’ubicazione originaria di progetto è una mera variante minore e non una vicenda che giustifichi l’emanazione di una nuova concessione” (Consiglio di Stato 22 gennaio 2003 n. 249).
In linea generale, la Corte di legittimità ha sottolineato che “la strumentazione prevista dalla L. n. 47 del 1985 ha lo scopo di garantire che il bene nasca (e si trasmetta nella contrattazione) soltanto se privo di determinati caratteri di abusivismo. Quindi, attesa la tutela di un interesse generale sotteso alla previsione di sanzioni di nullità, detta comminatoria riguarda i casi di immobili costruiti in assenza di concessione, ed anche quelli in totale difformità da essa (come è reso palese anche dal fatto che la L. n. 47 del 1985 accomuna, anche sotto il profilo delle sanzioni amministrative e penali ex artt. 7 e 20 della Legge, l’uno e l’altra tipologia di opere abusive). Comminatoria di nullità che non colpisce invece le costruzioni effettuate in base a regolare concessione edilizia e non in totale difformità dalla stessa nel senso sopra precisato” (così Cass. 31 gennaio 2011 n. 2187; ma anche Cass. 18 settembre 2009 n. 20258). Nel caso di specie la previsione della nullità – e, corrispondentemente, la preclusione alla emanazione della sentenza costitutiva – non era però applicabile, perché si tratta di immobile costruito sulla base della normativa antecedente alla cd. legge Ponte, ma avente una parziale difformità rispetto all’originaria struttura, per la presenza di una scala esterna, che pur costituente una modifica essenziale, soprattutto per i vincoli paesaggistici, non comporta un aumento consistente della volumetria realizzata e non consta che abbia dato luogo ad un organismo integralmente diverso o autonomamente utilizzabile.
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