[…]
RITENUTO IN FATTO
1. […] ricorre per cassazione impugnando la sentenza indicata in epigrafe con la quale il tribunale di Terni l’ha condannato alla pena di €3.000,00 di ammenda per il reato previsto dall’articolo 37, comma 1, in relazione all’articolo 55, comma 5, lettera c), del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 perché, in qualità di legale rappresentante della S.r.l. […] e di datore di lavoro, non provvedeva ad assicurare che ciascun lavoratore ricevesse una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza, con particolare riferimento ai rischi relativi alle mansioni e ai possibili danni e alle conseguenti misure e procedure di prevenzione e protezione caratteristici del settore o comparto di appartenenza dell’azienda. Reato accertato in Orvieto il 14 aprile 2012.
2. Per l’annullamento dell’impugnata sentenza il ricorrente solleva due motivi di impugnazione, qui enunciati ai sensi dell’articolo 173 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’articolo 2 del codice penale, dell’articolo 37, commi 1 e 2, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e dell’accordo tra il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro della salute, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano del 21 dicembre 2011 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale serie generale n. 8 del 11 gennaio 2012 (articolo 606, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale).
Assume che l’articolo 37 del decreto legislativo n. 81 del 2008, al comma 1, afferma l’obbligo della formazione dei lavoratori e, al comma 2, dispone che il contenuto di tale obbligo deve essere descritto e regolamentato da una norma secondaria individuata in un accordo da definirsi in sede di conferenza permanente Stato – Regioni. L’accordo previsto dalla legge è stato raggiunto in data 21 dicembre 2011 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 8 gennaio 2012, con la conseguenza che il sopraindicato atto, a contenuto normativo, ha una portata generale ed astratta tale da concorrere a definire la norma penale “in bianco” costituita dal contenuto dell’articolo 37, comma 1, la quale altro non sarebbe che la fonte primaria che stabilisce la sanzione e definisce il precetto in termini generali, ma che poi riserva alla fonte secondaria tutti gli aspetti di carattere tecnico e specifico necessari ad integrare con sicurezza il precetto.
Siccome il contenuto di tale accordo deve essere utilizzato per vagliare la condotta che i soggetti obbligati hanno posto od omesso di porre in essere dal 8 gennaio 2012 in poi, in conformità al principio di carattere generale dettato dall’articolo 2 del codice penale, le modalità, i tempi ed i contenuti della formazione sulla sicurezza dei lavoratori individuati dall’accordo Stato – Regioni non potevano essere utilizzati per valutare le condotte anteriori alla sua entrata in vigore, con la conseguenza che il tribunale di Terni, in tema di formazione dei lavoratori sugli aspetti della salute e della sicurezza, non poteva in alcun modo valutare la condotta dell'[…] S.r.l. e del suo legale rappresentante mediante un’applicazione retroattiva del contenuto del richiamato accordo, laddove la condotta dell’Imputato doveva essere valutata diversamente a seconda della successione delle norme nel tempo sulla base dell’entrata in vigore della disciplina tecnica dettata dall’accordo Stato – Regioni pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 8 gennaio 2012 e quindi avrebbe dovuto valutare i documenti prodotti e la formazione svolta negli anni precedenti sulla base della regolamentazione vigente prima del gennaio 2012 e verificare l’applicazione dell’accordo soltanto con riferimento alla condotta posta in essere dal gennaio 2012 al 14 aprile 2012, data di contestazione del reato come risulta dal capo di imputazione. Quindi, per il primo periodo, pur sussistendo l’obbligo da parte del datore di lavoro di formare ed informare i lavoratori, non era stabilito alcun obbligo relativo alla durata minima dei corsi, mentre per il periodo successivo (dal 12 gennaio 2012 al 14 aprile 2012) la condotta dell’Imputato è stata conforme al modello legale dettato dal richiamato accordo Stato – Regioni.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in relazione all’accordo tra il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro della salute, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano del 21 dicembre 2011 (articolo 606, comma 1, lettera e), del codice di procedura penale).
Sostiene che il tribunale avrebbe omesso di verificare i documenti prodotti dalla difesa e di rendere conto nella motivazione della loro insufficienza o irrilevanza ai fini del proscioglimento dell’imputato. Tale documentazione attestava, infatti, la conformità del comportamento tenuto dal datore di lavoro al contenuto dell’accordo e la normativa da osservare si riferiva alle ore complessive di formazione e non alla durata minima dei corsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non è fondato.
2. I motivi, essendo tra loro strettamente collegati, possono essere congiuntamente esaminati.
2.1. Osserva il Collegio come occorra risolvere preliminarmente una questione che, sebbene il ricorrente non abbia esplicitamente posto, è tuttavia pregiudiziale per l’esame dei motivi di ricorso, in quanto la sua risoluzione implica l’accertamento o meno dell’esistenza di una previsione legislativa, richiesta dal principio della riserva assoluta di legge in materia penale, che sanzioni i fatti di cui si discute e che invece è stata esclusa da un orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità secondo il quale, in materia di prevenzione degli infortuni ai danni dei lavoratori, la norma di cui all’art. 18, comma primo, lett. l) del d.lgs. n. 81 del 2008 – che obbliga il datore di lavoro ad adempiere agli obblighi di informazione, formazione e addestramento di cui agli articoli 36 e 37 stesso decreto – non rientra tra quelle disposizioni precettive la cui violazione, ai sensi del successivo articolo 55, è presidiata da sanzione penale (Sez. 3, n. 3145 del 11/12/2013, dep. 2014, Dal Sasso, Rv. 258382).
2.2. Per meglio comprendere i termini della questione, è tuttavia necessaria una specifica ricognizione normativa, che non prenderà in considerazione gli obblighi informativi e formativi posti a carico di soggetti diversi dal datore di lavoro o dai dirigenti e a quelli connessi a “mansioni o ad attrezzature particolari” previste nello stesso testo unico del 2008 [il quale ha tuttavia esteso l’area dei soggetti cui la formazione e l’informazione sono destinate ai preposti (art. 37, 7° comma), ai soggetti incaricati dell’attività di prevenzione incendi (art. 37, 9° comma), al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (art. 37, 10° comma) e al rappresentante del servizio di prevenzione e protezione (art. 32)] e che tuttavia tornerà utile anche per lo scrutinio dei motivi di ricorso, i quali, come si vedrà, implicano, a cagione delle questioni di inquadramento che il ricorrente pone, una precisa definizione della struttura dei reati in tema di informazione e formazione dei lavoratori nella materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.
Originariamente, l’art. 18 del d.lgs. n. 81 del 2008, rubricato “obblighi del datore di lavoro e del dirigente” ed inserito nel capo III “gestione della prevenzione nei luoghi di lavoro“, sezione I “misure di tutela e obblighi” del testo unico del 2008, stabiliva, al primo comma, alla lettera I) e, quindi, nella parte che qui interessa, che “il datore di lavoro, che esercita le attività di cui all’ articolo 3, e i dirigenti, che organizzano e dirigono le stesse attività secondo le attribuzioni e competenze ad essi conferite, devono: (…) adempiere agli obblighi di informazione, formazione e addestramento di cui agii articoli 36 e 37“, disposizioni, queste ultime, che regolavano specificamente la materia.
Nondimeno, originariamente, l’articolo 55 del testo unico del 2008, rubricato “sanzioni per il datore di lavoro e il dirigente” ed inserito nel Capo IV “disposizioni penali” della Sezione I “sanzioni“, prevedeva, al quarto comma, lettera a) e per quanto qui interessa, la sanzione dell’arresto da due a quattro mesi o dell’ammenda da 800 a 3.000 euro per il datore di lavoro e il dirigente “per la violazione degli articoli 18, comma 1, lettere b), e), g), i), m), n), o), p) , 34, comma 3, 36, commi 1, 2 e 3, 43, comma 1, lettere a), b) e c)” e successivamente, alla lettera e), “l’arresto da quattro a otto mesi o con l’ammenda da 2.000 a 4.000 euro per la violazione degli articoli 18, comma 1, lettera I), e 43, comma 4“.
E’ il caso di ricordare, a questo proposito, che le disposizioni del decreto legislativo n. 81 del 2008 costituiscono attuazione dell’articolo 1 della legge (delega) 3 agosto 2007, n. 123, per il riassetto e la riforma delle norme vigenti in materia di salute e sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori nei luoghi di lavoro, mediante il riordino e il coordinamento delle medesime in un unico testo normativo e per questa ragione il predetto decreto è anche denominato “testo unico” sulla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, pur segnalandosi per la sua estraneità alla categoria dei testi unici esclusivamente compilativi.
Risale all’insegnamento della Corte costituzionale (sentenza 10 aprile 1957, n. 54) la precisazione sulla natura dei testi unici, suddivisi in due categorie: quelli che, stante anche il loro carattere innovativo, richiedono l’esercizio di una potestà legislativa delegata e quelli che, per la loro formazione, prescindono da una delega legislativa svolgendo una funzione di mera compilazione, cosicché la forza di legge delle singole norme, incorporate nel testo unico, è data, nel primo caso, dalle leggi cui le norme stesse promanano, con la conseguenza che i testi unici compilativi, a differenza di quelli innovativi/compilativi (come il decreto legislativo n. 81 del 2008), non costituiscono una manifestazione di volontà legislativa, bensì di potestà amministrativa.
Tutto ciò per dire che il decreto legislativo n. 81 del 2008 ha rivisitato l’intera materia della sicurezza nei luoghi di lavoro ed ha conseguentemente abrogato, con l’articolo 304, le disposizioni di cui al decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626 (emanato in attuazione delle direttive CEE riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro), il quale, per quanto qui interessa, agli articoli 21 e 22 prevedeva gli obblighi informativi e formativi del datore di lavoro, in una versione abbastanza allineata a quella disciplinata dagli articoli 36 e 37 del decreto legislativo n. 81 del 2008, penalmente sanzionandone l’inosservanza con l’articolo 89, comma 1, lettere a) e b).
2.3. Tuttavia va segnalato che – con l’emanazione del decreto legislativo 3 agosto 2009, n. 106 (“Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro” in G.U. n. 180 del 5 agosto 2009 ed entrato in vigore il 20 agosto 2009) – l’articolo 32, comma 1, nell’intento di meglio tipizzare i fatti di reato evocati dall’articolo 18, lettera I), ed eliminando tale articolo dalla disposizione de qua, ha sostituito l’articolo 55 del d.lgs. n. 81 del 2008 (rubricato: “Sanzioni per il datore di lavoro e il dirigente“), stabilendo, al comma quinto lettera c), che il datore di lavoro e il dirigente sono puniti con l’arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da 1.200 a 5.200 euro per la violazione dell’articolo 18, comma 1, lettere c), e), f) e q), 36, commi 1 e 2, 37, commi 1, 7, 9 e 10, 43, comma 1, lettere d) ed e-bis), 46, comma 2.
Scomparso, quindi, dall’articolo 55 d.lgs. n. 81 del 2008 il rinvio all’articolo 18 lettera l), in precedenza contenuto unitamente ad una autonoma e inspiegabile previsione del fatto di reato di cui all’art. 36 (l’articolo 18, alla lettera “I”, già infatti rinviava tanto all’articolo 36 quanto all’articolo 37), ciò ha probabilmente determinato l’orientamento, che ha originato il principio di diritto soprarichiamato, secondo il quale l’assenza di un rinvio, nell’articolo 55, al precetto di cui all’articolo 18, lettera l), avrebbe reso penalmente irrilevanti l’inosservanza agli obblighi di informazione e di formazione dei lavoratori in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.
Invece, pare non possa essere posta in discussione – sia pure al cospetto della segnalata discrasia legislativa – la continuità normativa tra il combinato disposto degli arti. 89, comma primo e 22, comma primo, d.lgs. 19 settembre 1994, n. 626 (obbligo per il datore di lavoro di assicurare ai lavoratori una formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza e salute) e l’art. 55, comma 5, lettera c) del decreto legislativo n. 81 del 2008 come modificato dal decreto legislativo n. 106 del 2009 per quanto attiene alla configurazione del tipo di illecito riguardante gli obblighi datoriali di informazione e formazione nei confronti dei lavoratori.
Ne deriva che, in materia di prevenzione degli infortuni ai danni dei lavoratori, la condotta del datore di lavoro – il quale non adempia gli obblighi di informazione e formazione (che, ove previsto, comprendono anche gli obblighi di addestramento) di cui agli articoli 36 commi 1 e 2, e 37, commi 1, 7, 9 e 10 d.lgs. n. 81 del 2008 e succ. mod. – rientra tra quelle disposizioni precettive la cui violazione, ai sensi del successivo articolo 55, comma 5, lettera c), è presidiata da sanzione penale, definendo il modello legale di reato che la normativa antinfortunistica in materia di lavoro già contemplava sulla base del d.lgs. n. 626 del 1994 e che è anche enunciata nella disposizione di cui all’articolo 18, comma primo, lettera l) del d.lgs. n. 81 del 2008 – che agli articoli 36 e 37 stesso decreto espressamente rinvia.
A tale conclusione si perviene considerando che, in materia di obblighi informativi e formativi, il precetto della sanzione contemplata dall’articolo 55, comma 5, lettera c), d.lgs. n. 81 del 2008 è dettato dagli articoli 36 e 37 stesso decreto e non dall’articolo 18, lettera l), come poteva desumersi sulla base dell’originario testo di cui al d.lgs. n. 81 del 2008, atteso che l’articolo 55, comma 5, lettera c), espressamente si riferisce, quantomeno dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 106 del 2009, alle violazioni delle disposizioni di cui agli articoli 36, commi 1 e 2, nonché 37, commi 1, 7, 9 e 10 per la determinazione della sanzione applicabile alle infrazioni dei relativi precetti che, solo genericamente enunciati dall’articolo 18, lettera I), sono espressamente formulati negli articoli 36 e 37 in linea con i principi di determinatezza e di precisione che, quali evidenti corollari del principio di legalità in materia penale, devono presiedere alla tipizzazione del fatto di reato.
3. In tale quadro normativo, il ricorrente, del tutto esulando dall’area della contestazione (il rimprovero che gli è stato mosso attiene al fatto che egli non aveva provveduto ad assicurare che ciascun lavoratore ricevesse una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza, con particolare riferimento ai rischi riferiti alle mansioni e ai possibili danni e alle conseguenti misure e procedure di prevenzione e protezione caratteristici del settore o comparto di appartenenza dell’azienda), sostiene che, nella specie, si sarebbe in presenza di una norma penale in bianco nel senso che il precetto sanzionato dall’art. 55, comma 5, lettera c), d.lgs. n. 81 del 2008 troverebbe corpo in una norma secondaria individuata in un accordo da definirsi in sede di conferenza permanente Stato – Regioni, con la conseguenza che tale atto, a contenuto normativo, avrebbe una portata generale ed astratta tale da concorrere a definire la norma penale “in bianco” costituita dal contenuto dell’articolo 37, comma 1, la quale altro non sarebbe che la fonte primaria che stabilisce la sanzione e definisce il precetto in termini generali, ma che poi riserva alla fonte secondaria tutti gli aspetti di carattere tecnico e specifico necessari ad integrare con sicurezza il precetto.
4. L’assunto del ricorrente non è condivisibile perché, in primo luogo, le fattispecie di reato che configurano gli illeciti in materia di inosservanza degli obblighi informativi e formativi nei confronti dei lavoratori non possono rientrare tout court nella categoria delle norme penali in bianco (salvo che si ritenga, secondo un indirizzo dottrinale, norma penale in bianco l’art. 55, comma 5, lettera c), d.lgs. n. 81 del 2008 contenente la sola sanzione in relazione al rinvio di cui agli articoli 36 e 37 contenenti invece il relativo precetto) e, in secondo luogo, perché l’Accordo, al quale si riferisce l’articolo 37, comma 2, d.lgs. n. 81 del 2008, non costituisce un atto normativo extrapenale integrativo del precetto.
Si è già detto (ut supra 2.2. del considerato in diritto) come il testo unico n. 81 del 2008 abbia carattere innovativo/compilativo nel senso che, in conformità alla legge delega, poteva introdurre nuove norme giuridiche perseguendo, al tempo stesso, lo scopo di procedere al riassetto e alla riforma delle norme vigenti in materia di salute e sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori nei luoghi di lavoro, mediante il riordino e il coordinamento delle medesime in un unico testo normativo.
Ne consegue che l’abrogazione di interi testi di legge (exempli causa, il decreto legislativo n. 626 del 1994 per effetto dell’art. 304 d.lgs. n. 81 del 2008) si spiega nel senso che è stata anche assicurata, attraverso il trasferimento delle relative disposizioni, una continuità normativa tra la legislazione previgente e il d.lgs. n. 81 del 2008.
Infatti, l’art. 22 del decreto legislativo n. 626 del 1994 – oltre a disporre, tra l’altro, che fosse erogata ai lavoratori una formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza e di salute e a prevedere che la formazione dovesse essere reiterata e fornita in occasione di eventi particolari – stabiliva che i ministri del lavoro e della previdenza sociale e della sanità, sentita la commissione consultiva permanente, potessero stabilire i contenuti minimi della formazione dei lavoratori, tenendo anche conto delle dimensioni e della tipologia delle imprese.
Fu varato quindi il decreto ministeriale 16 gennaio 1997 che individuava i contenuti minimi della formazione dei lavoratori, prevedendo (articolo 4) che fosse rilasciata l’attestazione dell’avvenuta formazione con onere di conservazione della stessa da parte del datore di lavoro.
Allo stesso modo, l’articolo 37 – dopo aver tipizzato, al comma 1, il fatto di reato con le note descrittive che valgono a precisarlo, consistendo la condotta vietata nel non assicurare che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza, anche rispetto alle conoscenze linguistiche, con particolare riferimento ai concetti di rischio, danno, prevenzione, protezione, organizzazione della prevenzione aziendale, diritti doveri dei vari soggetti aziendali, organi di vigilanza, controllo, assistenza nonché con riferimento a rischi riferiti alle mansioni e ai possibili danni e alle conseguenti misure e procedure di prevenzione e protezione caratteristici del settore o comparto di appartenenza dell’azienda – ha previsto che la durata, i contenuti minimi e le modalità della formazione siano definiti mediante accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano da adottare, previa consultazione delle parti sociali, entro il termine di dodici mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 81 del 2008.
La previsione del secondo comma dell’articolo 37 d.lgs. n. 81 del 2008 non si presta ad essere interpretata come funzionale ad integrare il precetto penale, già da ritenersi pienamente precisato dal primo comma, quanto piuttosto a richiedere che, attraverso l’attuazione del principio di leale collaborazione tra Stato – Regioni e Province autonome, con la collaborazione delle parti sociali (datoriali e sindacali) e quindi con il coinvolgimento di tutte le componenti interessate, fossero determinati gli standard minimi ed uniformi su tutto il territorio nazionale della formazione dei lavoratori e degli altri soggetti qualificati indicati dal d.lgs. n. 81 del 2008 ed in ciò risolvendosi, di regola, la natura giuridica degli accordi in sede di conferenza permanente tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, ossia in intese dirette a favorire la cooperazione tra l’attività dello Stato e quella delle Regioni e Province Autonome, costituendo la “sede privilegiata” della negoziazione politica tra le Amministrazioni centrali e il sistema delle autonomie regionali.
La ragione di precostituire modelli di formazione, uniformi sull’intero territorio nazionale, fonda sulla medesima ratio che informava l’articolo 22 d.lgs. n. 626 del 1994, il quale perseguiva la medesima finalità attraverso il raggiungimento di intese interministeriali che stabilissero i contenuti minimi della formazione dei lavoratori, tenendo anche conto delle dimensioni e della tipologia delle imprese.
La funzione di tali “intese” è dunque quella di assicurare un livello minimo di affidabilità della formazione in maniera da salvaguardare in concreto la sicurezza nei luoghi di lavoro con una presunzione di adeguatezza e sufficienza dell’offerta formativa in tal modo garantita, cosicché il datore di lavoro che avesse impartito una formazione secondo le linee tracciate dal decreto ministeriale, prima, e dall’accordo, poi, può ritenersi esonerato, salvo prova contraria, da qualsiasi responsabilità al riguardo.
L’Accordo, di cui al secondo comma dell’art. 37, svolge pertanto una funzione meramente processuale riservata al piano probatorio, fermo restando che, in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, non rileva la mera ottemperanza di obblighi formali, incombendo sui titolari di una posizione di garanzia a tutela dell’incolumità dei lavoratori di impedire, purché il garante abbia i necessari poteri d’intervento, qualsiasi evento lesivo in concreto verificatosi, in quanto gli obblighi informativi e formativi non si esauriscono nell’informazione e nell’addestramento, in merito ai rischi derivanti dalle mansioni esercitate dal lavoratore, venendo così detti obblighi relegati ad una fase meramente statica del rapporto di lavoro, ma implicano che si tenga conto, per espressa previsione normativa, della fase dinamica del rapporto e perciò anche dei rischi derivanti dalla diretta esecuzione delle operazioni di lavoro.
5. A questo punto è il caso di chiarire come la tesi pronosticata dal ricorrente, secondo la quale l’Accordo fungerebbe da normativa (secondaria) extrapenale integratrice del precetto tale da sterilizzare il precetto stesso sino alla entrata in vigore della stipulazione, sia ampiamente smentita dall’Accordo stesso che, all’allegato A punto 10 che detta le norme transitorie, precisa che “In fase di prima applicazione, non sono tenuti a frequentare i corsi di formazione di cui ai punti 4, 5 e 6 i lavoratori, i dirigenti e i preposti che abbiano frequentato — entro e non oltre dodici mesi dalla entrata in vigore del presente accordo — corsi di formazione formalmente e documentalmente approvati alla data di entrata in vigore dei presente accordo, rispettosi delle previsioni normative e delle indicazioni previste nei contratti collettivi di lavoro per quanto riguarda durata, contenuti e modalità di svolgimento dei corsi“.
Ciò, da un lato, conferma la preesistenza di una disciplina sostanzialmente sovrapponibile nella ratio a quella varata con il secondo comma dell’art. 37 ma soprattutto rende chiara, dall’altro, l’autosufficienza del precetto penale in materia di repressione dell’inosservanza degli obblighi informativi e formativi rispetto a fonti extrapenali (peraltro di dubbia valenza normativa), con la conseguenza che la norma penale precettiva non aveva e non ha alcuna necessità di essere ab externo integrata, risolvendosi sul piano probatorio la questione dell’adeguatezza e sufficienza o meno degli obblighi informativi e formativi impartiti.
Certo la Corte non ignora alcune critiche che, sotto il profilo della precisione e determinatezza della fattispecie, sono state mosse nei confronti della formulazione della norma incriminatrice, laddove sono utilizzati i segni linguistici della sufficienza e dell’adeguatezza.
Tuttavia le note descrittive dell’illecito non si risolvono nei soli concetti di adeguatezza e/o sufficienza dell’informazione o della formazione ma tanto la prima (informazione che deve essere adeguata) quanto la seconda (formazione che deve essere adeguata e sufficiente) sono parametrate rispetto a una serie di indici precisi e dettagliatamente descritti, di settori, di eventi pericolosi, di rischi derivanti dall’espletamento dell’attività lavorativa da parte del lavoratore stesso o di altri lavoratori in maniera che, essendo l’apparato normativo finalizzato a prevenire gli infortuni nell’espletamento del lavoro, la legge penale consente di distinguere chiaramente la sfera del lecito da quella dell’illecito, ponendo un’indicazione normativa che, attraverso l’impiego di termini intellegibili e precisi, consente di orientare la condotta dei destinatari, descrivendo fatti che sono suscettibili di essere provati ed accertati nel processo attraverso i criteri messi a disposizione dalla scienza e dalle regole di esperienza, essendo tale ultimo aspetto facilitato dalla formulazione di Accordi istituzionali finalizzati a realizzare linee guida da seguire quanto a durata, contenuti minimi e modalità della formazione, la cui esatta osservanza rende, sulla base di una presunzione iuris tantum, conforme a diritto l’offerta e l’obbligo formativo a carico del datore di lavoro.
6. Nel caso in esame, il tribunale ha affermato che il teste […], in servizio presso la […], sezione sicurezza ambiente di lavoro, riferiva che in data 14 aprile 2012, all’esito di un sopralluogo effettuato presso i locali della ditta del ricorrente, come da prassi, aveva richiesto l’esibizione della documentazione attestante la formazione dei lavoratori. Tuttavia, in data 23 aprile, solo una parte della documentazione richiesta venne consegnata da un lavoratore, munito di apposita delega. Rilevata, dunque, l’insufficienza della documentazione prevista dalla normativa in materia di sicurezza sul lavoro, al ricorrente venne elevata regolare contravvenzione.
Il teste, rispondendo a specifiche domande della difesa dell’imputato e visionata la documentazione dalla stessa prodotta, riferiva inoltre che, sulla base dei documenti prodotti ed acquisiti, la formazione impartita dall’imputato ai propri lavoratori non poteva essere considerata sufficiente ed adeguata perché, in un primo momento, erano stati consegnati agli ispettori solo i test di ingresso e, solo successivamente, documentazione inconferente con quanto richiesto dall’articolo 37 del decreto legislativo n. 81 del 2008 o comunque corsi di formazione della durata nettamente inferiore a quella richiesta dalla normativa vigente in materia.
Da ciò emerge, al di là dell’infondato assunto del ricorrente che vorrebbe priva di copertura penale l’inosservanza degli obblighi formativi da impartire prima dell’entrata in vigore dell’Accordo e che pertanto rende infondato il primo motivo di impugnazione, come il tribunale abbia valutato tanto l’inosservanza degli obblighi formativi “pregressi”, quanto quelli parimenti disattesi nel corso della vigenza dell’Accordo di cui all’art. 37 d.lgs. n. 81 del 2008.
Sul punto, è il caso di ricordare che il datore di lavoro, con riferimento alla formazione pregressa, avrebbe potuto provare di avere ottemperato all’obbligo in questione, in quanto tenuto a compilare un documento sulla formazione del lavoratore, contenente i riferimenti anagrafici di costui, le ore di formazione dedicate ai rischi, la data della formazione medesima (Sez. 3, n. 37312 del 03/07/2014, Rossi, non mass.), mentre il tribunale, con logica ed adeguata motivazione in quanto fondata su prova testimoniale, ha escluso che gli obblighi formativi fossero stati ottemperati nel corso della vigenza dell’Accordo, derivando da ciò anche l’inammissibilità del secondo motivo di impugnazione per manifesta infondatezza e per aspecificità sulla base della generica affermazione, che il tribunale non avrebbe valutato la documentazione (peraltro parziale) prodotta ed acquisita.
Consegue il rigetto del ricorso […]