Corte di Cassazione, Sez. 3, Sent. n. 20178 del 2014, dep. il 25/09/2014

[…]

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione alla parte della decisione che ha ritenuto inammissibile la richiesta di prove testimoniali.

Rileva la Banca ricorrente che dette prove avrebbero dimostrato ulteriormente la correttezza dell’operato della medesima, anche perché l’informativa completa circa la rischiosità dell’operazione era stata fornita al […] solo verbalmente; sicché la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere che la prova per testi avesse ad oggetto le stesse circostanze già oggetto di istruttoria. 1.1. Il motivo non è fondato.

La sentenza impugnata ha spiegato, con motivazione argomentata e priva di vizi logici, le ragioni della mancata ammissione della prova per testi, osservando – come si è già riportato – che la medesima aveva ad oggetto fatti già allegati in primo grado ed era finalizzata all’acquisizione di “giudizi di tipo critico che competono al giudice”.

Non sussiste, quindi, il lamentato vizio di motivazione. D’altra parte, il punto sul quale si sollecitava la prova per testimoni – ossia la dimostrazione che il […] era un investitore esperto e propenso al rischio – è un punto non decisivo, alla luce di quanto si dirà a proposito dei motivi terzo e quarto del ricorso. 2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione delle norme relative all’inammissibilità delle prove documentali prodotte con l’atto di citazione in appello.

Osserva la ricorrente che il divieto di nuove prove documentali in grado di appello, non essendo previsto da alcuna norma, doveva ritenersi consentito senza limiti. Nonostante la nota pronuncia delle Sezioni Unite 20 aprile 2005, n. 8202, la Banca sollecita questa Corte a rimeditare detto orientamento; a sostegno della propria tesi rammenta che la modifica dell’art. 345 c.p.c., disposta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, dimostrerebbe, indirettamente, che il divieto di nuove prove documentali non era in precedenza previsto dall’ordinamento.

2.1. Il motivo non è fondato.

L’intervento del legislatore del 2009, infatti, non ha avuto carattere innovativo, quanto piuttosto è stato di chiarimento e di recepimento dell’orientamento giurisprudenziale che le Sezioni Unite di questa Corte avevano già fissato con la nota pronuncia sopra richiamata.

Questo Collegio non vede alcuna ragione per discostarsi – nell’odierna fattispecie, sottoposta ratione temporis al regime precedente – dall’orientamento delle Sezioni Unite, che qui è interamente condiviso.

3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 21, dell’art. 29 del regolamento della CONSOB n. 11522 del 1998, nonché dell’art. 1227 c.c., relativo al concorso di colpa del […] nella determinazione del danno. Osserva la ricorrente che, avendo il […] sottoscritto la clausola che contiene l’indicazione della non adeguatezza dell’operazione, tale sottoscrizione avrebbe valore confessorio, ai sensi dell’art. 2730 c.c., circa il fatto che la Banca gli avrebbe fornito tutte le informazioni necessarie per impedirgli di portare a termine l’operazione. Richiama, quindi, una serie di pronunce di merito emesse da vari Tribunali, secondo le quali la presenza della clausola operazione non adeguata sarebbe sufficiente ad escludere la carenza di informazione da parte della Banca stessa. Aggiunge la ricorrente, poi, che il rifiuto del […] di fornire le informazioni necessarie ad accertare la sua complessiva situazione finanziaria e patrimoniale costituirebbe ulteriore indice di una responsabilità del medesimo, con conseguente riconoscimento, a suo carico, almeno di un concorso di colpa.

4. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione alla ritenuta idoneità della clausola sottoscritta dal […] ad esaurire l’obbligo di informazione esistente a carico della Banca.

Si rileva, a sostegno, che la sentenza impugnata non avrebbe adeguatamente valutato tutto il materiale probatorio esistente; in particolare, essa non avrebbe dato conto del perché la clausola operazione non adeguata per tipologia non sia stata ritenuta sufficiente a far ritenere assolto l’obbligo di informazione da parte della Banca.

5. Il terzo ed il quarto motivo, da esaminare insieme in considerazione dell’intima connessione che li collega, sono entrambi privi di fondamento.

5.1. Questa Corte ha già avuto modo di occuparsi, in altre precedenti pronunce, della corretta interpretazione dell’art. 29 del regolamento della CONSOB n. 11522 del 1998 (ormai non più vigente, ma applicabile nell’odierna fattispecie ratione temporis), da compiere alla luce della disposizione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21, il cui comma 1, lett. b), prevede che gli operatori autorizzati debbano “acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati” (v. le sentenze 25 giugno 2008, n. 17340, 29 ottobre 2010, n. 22147, e 26 luglio 2013, n. 18140). Si è detto in quelle pronunce che la banca intermediaria, ai sensi dell’art. 29, comma 3, della Delib. citata, prima di dare attuazione ad un ordine, ancorché scritto, ha l’obbligo di fornire all’investitore un’informazione adeguata in concreto, tale cioè da soddisfare le specifiche esigenze del singolo rapporto, in relazione alle caratteristiche personali e alla situazione finanziaria del cliente; e, a fronte di un’operazione non adeguata, può darvi corso soltanto a seguito di un ordine impartito per iscritto dall’investitore in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute. Tale disciplina è applicabile in relazione “a tutti i servizi di investimento prestati nei confronti di qualsiasi investitore che non sia un operatore qualificato”; dovendosi ritenere operatore non qualificato “anche chi abbia in precedenza occasionalmente investito in titoli a rischio” (sentenza n. 17340 del 2008). Si è altresì osservato che l’analiticità di simile disposizione CONSOB “deve essere interpretata, da un lato, come espressione dell’intento del legislatore di assicurare una effettiva conoscenza dei termini dell’operazione da parte del risparmiatore acquirente e, dall’altro, come rappresentativa delle modalità attraverso le quali l’intermediario autorizzato può ottenere l’effetto liberatorio dell’obbligo di informativa posto a suo carico” (sentenza n. 18140 del 2013). In altri termini, il rispetto delle successive scansioni previste dalla norma regolamentare garantisce il rispetto del diritto del cliente alla piena informazione e consente all’intermediario di liberarsi da eventuali obblighi risarcitori in caso di cattivo andamento dell’operazione.

5.2. Nel caso in esame, la discussione si focalizza, innanzitutto, sulla portata della sottoscrizione, da parte del […], della dicitura operazione non adeguata per tipologia; la quale, secondo la prospettazione di cui al terzo motivo di ricorso, dovrebbe assumere valore confessorio ai sensi dell’art. 2730 c.c., costituendo prova idonea della conoscenza, da parte del cliente, della rischiosità dell’operazione.

Tale argomentazione non può essere condivisa.

In proposito, va richiamato il precedente di cui alla sentenza 19 aprile 2012, n. 6142, integralmente condiviso da questo Collegio, secondo il quale “la dichiarazione resa dal cliente, su modulo predisposto dalla banca e da lui sottoscritto, in ordine alla propria consapevolezza conseguente alle informazioni ricevute – della rischiosità dell’investimento e della inadeguatezza dello stesso rispetto al suo profilo di investitore, non costituisce dichiarazione confessoria, in quanto è rivolta alla formulazione di un giudizio e non all’affermazione di scienza e verità di un fatto obiettivo” (v., in argomento, anche la sentenza 6 luglio 2012, n. 11412). Ma, anche a prescindere dall’evidente impossibilità di attribuire alla sottoscrizione natura confessoria, la sentenza impugnata – con accurata ricostruzione in fatto sorretta da congrua motivazione, priva di vizi logici – ha posto in luce una serie di argomenti decisivi.

Come si è visto nella parte in fatto della presente pronuncia, la Corte territoriale ha precisato che alle ore 16,10 del 2 febbraio 2001 il […] aveva sottoscritto due volte un documento, redatto su carta intestata della Banca, che recava nell’incipit l’espressione “vi confermiamo l’esecuzione dell’ordine di acquisto del valore mobiliare così come di seguito specificato”; una delle due firme era stata apposta sotto la dicitura “operazione eseguita in contropartita diretta fuori dai mercati regolamentati (…) operazione non adeguata per tipologia”.

A fronte di simile sequenza temporale, la Corte d’appello ha ritenuto, con una valutazione di merito logicamente argomentata, che non fosse stata rispettata la precisa cadenza imposta dall’art. 29 del citato regolamento della CONSOB; la doppia sottoscrizione, infatti, non consente, di per sè, di ritenere dimostrato che l’intermediario, ossia la Banca, si sia dapprima rifiutato di compiere l’operazione e vi abbia poi dato esecuzione dietro un preciso ordine scritto del cliente. Mancava, evidentemente, la prova della scissione tra i due momenti, che la normativa vigente considera elemento sufficiente a dimostrare l’effettiva piena consapevolezza da parte del cliente. Tanto più che – come rileva la sentenza in esame – l’ordine risultava essere stato eseguito contestualmente alla pretesa “conferma”, in tal modo accreditando la convinzione che, nella specie, vi era stato un solo ed unico ordine.

A fronte di simile dettagliata motivazione in fatto – che questa Corte non ha alcun potere di contestare – si rivelano inutili i richiami, compiuti nel terzo motivo di ricorso, ad alcune pronunce di uffici giudiziari di merito che si sarebbero orientati in modo diverso. A prescindere, infatti, dalla genericità delle pronunce così come riportate – che non paiono, tra l’altro, in contrasto con quanto detto fin qui – va comunque affermato in questa sede che la sottoscrizione, da parte del cliente, della formula operazione non adeguata per tipologia non è di per sè sufficiente a far ritenere dimostrato, da parte dell’intermediario, il perfezionamento dell’iter così come imposto dalla citata norma del regolamento CONSOB, a meno che non risulti aliunde provato che quei passaggi successivi abbiano ugualmente avuto luogo.

5.3. È appena il caso di rilevare, ad abundantiam, che la Corte torinese ha anche rilevato che non poteva attribuirsi alcun rilievo al fatto che il […] avesse rifiutato, nel momento della stipula del contratto, di fornire le informazioni di cui all’art. 28, comma 1, lett. a), del citato regolamento CONSOB, ossia le informazioni “circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, nonché circa la sua propensione al rischio”. Tale argomentazione è corretta ed in linea con la giurisprudenza di questa Corte (v. la sentenza 19 ottobre 2012, n. 18039), secondo cui l’intermediario finanziario non è esonerato dall’obbligo di valutare l’adeguatezza dell’operazione di investimento nel caso in cui l’investitore nel contratto-quadro si sia rifiutato di fornire le informazioni sui propri obiettivi di investimento e sulla propria propensione al rischio; nel qual caso l’intermediario deve comunque compiere quella valutazione, in base ai principi generali di correttezza e trasparenza, tenendo conto di tutte le notizie di cui egli sia in possesso (come, ad esempio, l’età, la professione, la presumibile propensione al rischio alla luce delle operazioni pregresse e abituali, la situazione di mercato). E, d’altra parte, proprio il rifiuto di fornire quelle informazioni deve indurre l’intermediario, semmai, ad una cautela maggiore, evitando investimenti di per sè incerti o comunque rischiosi. 5.4. Alla luce di quanto fin qui rilevato, appare evidente l’infondatezza anche del quarto motivo di ricorso, nel quale il ricorrente si duole, in sostanza, di un’incompleta valutazione, da parte della Corte d’appello, del materiale probatorio raccolto; il che è all’evidenza smentito dalla completezza della motivazione che quel giudice ha viceversa fornito, a fronte della quale la censura si risolve nel tentativo di ottenere da questa Corte una nuova e non consentita valutazione del merito.

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