Corte di Cassazione, Sez. 3, Sentenza n. 12760 del 1999, dep, il 17 novembre 1999

[…]

Svolgimento del processo
Con citazione notificata il 3.11.1995 il […], intimava sfratto per morosità, davanti al Pretore di Ragusa, alla […], relativamente ad alcuni locali siti in Ragusa […], assumendo che la locataria era morosa nel pagamento del canone locativo dal 14.2.1995 al 14.10.1995.
L’intimata si opponeva alla convalida, sostenendo che la morosità non sussisteva, in quanto il proprio comportamento era giustificato dalla circostanza che il condominio aveva rifiutato il pagamento dei canoni relativi ai mesi di febbraio e marzo 1995, adducendo di voler promuovere azione di diniego di rinnovo ex art. 29 l. n. 292/1978, come in effetti proposta con ricorso del 27.2.1995 ed il cui relativo giudizio era stato cancellato dal ruolo per mancata comparizione delle parti alla prima udienza. Riteneva l’intimata di non essere responsabile della mora, da addebitarsi al solo condominio ed offriva in pagamento i soli canoni scaduti al fine di purgare la mora, chiedendo in via riconvenzionale la condanna del condominio al pagamento di L 2 milioni, per temerarietà della lite. Il Pretore, con sentenza del 21.5.1996, dichiarava la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento della conduttrice, che condannava al rilascio dei locali.
La conduttrice proponeva appello ed il Tribunale di Ragusa, con sentenza depositata il 13.9.1996, rigettava l’appello. Rilevava la sentenza che il Pretore non aveva ritenuto sussistente la mora debendi in relazione ai canoni dei mesi di febbraio e marzo, per i quali vi era stato il rifiuto a riceverli del locatore, ma in relazione ai canoni dei sei mesi successivi; che il rifiuto della ricezione dei canoni relativi ai mesi di febbraio e marzo non legittimava la conduttrice a non offrire in pagamento i canoni dei mesi successivi, tenuto conto che essa continuava a godere dell’immobile; che non si poteva ritenere che il mancato pagamento dei canoni successivi al mese di marzo fosse da addebitare alla mancata collaborazione del creditore a riceversi la prestazione, posto che all’uopo sarebbe stata necessaria la volontà di adempiere della debitrice.
Quanto alla purgazione della mora, riteneva il tribunale che essa non si fosse verificata, avendo la conduttrice offerto in pagamento i soli canoni scaduti e non anche interessi e spese, come previsto dall’art. 55 della l. n. 392/1978. Infine il tribunale riteneva assorbita la domanda riconvenzionale dall’accoglimento della domanda principale.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la […].
Resiste con controricorso il […].

Motivi della decisione.
1. Con un unico articolato motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1206, 1207, 1218, 1220, 1227, 1282 c. 2^, 1375, 1460 e 2909 c.c., 112 c.p.c., 55 l. n. 392/1978, nonché “l’omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia”.
Sotto un primo profilo la ricorrente censura l’impugnata sentenza perché avrebbe ritenuto che il locatore aveva rifiutato il pagamento dei canoni di febbraio e marzo 1995 per la causa di diniego di rinnovo della locazione, senza valutare se quel rifiuto poteva considerarsi legittimo alla stregua dell’art. 1220 c.c.. Sotto un secondo profilo, lamenta la ricorrente che erroneamente il tribunale avrebbe omesso di valutare il comportamento del locatore (rifiuto dei predetti canoni) alla stregua degli artt. 1175, 1375, 1220, 1206, 1207, 1218 c.c. e, quindi, di verificare se, in relazione agli artt. 1227 e 1460 c.c., era ancora possibile pretendere che la locataria continuasse ad offrire mese dopo mese i canoni che venivano a scadere successivamente.
All’esito di tale verifica, sempre secondo la ricorrente, il tribunale avrebbe dovuto concludere che il comportamento del locatore non era ne’ corretto ne’ in buona fede; che il rifiuto dei due canoni suddetti non era legittimo e che la situazione oggettiva di mora doveva essere addebitata allo stesso locatore, onde la risoluzione del contratto non avrebbe potuto essere dichiarata. Sostiene ancora la ricorrente che pretendere che essa conduttrice offrisse “mese per mese” il canone era contrario al disposto degli artt. 1227 e 1460 c.c.. La ricorrente, inoltre, censura l’impugnata sentenza per non aver considerato se era lecito esigere dal locatore che comunicasse la sua nuova disponibilità a ricevere il pagamento e per aver ritenuto la volontà della conduttrice di non adempiere e non, invece, la sua buona fede, per quanto essa si fosse costituita nel procedimento di sfratto, adducendo di aver appreso solo a seguito della relativa intimazione che il locatore aveva deciso di ricevere il pagamento del canone.
La ricorrente lamenta, altresi, che inesattamente il Tribunale aveva fatto richiamo all’art. 55 l.n. 392/1978, che, invece, non era applicabile, in quanto sussisteva una mora addebitabile al locatore. Inoltre la ricorrente assume che erano stati violati gli artt. 112 c.p.c e 2909 c.c., in quanto erano stati ritenuti dovuti gli interessi legali, pure in mancanza di specifica domanda in tal senso del locatore, ed era stato trascurato che il Pretore non aveva condannato la conduttrice al loro pagamento ed il locatore aveva chiesto sul punto la conferma della sentenza pretorile, onde sul punto si era formato il giudicato.
Infine la ricorrente lamenta che non sia stata accolta la sua domanda riconvenzionale di condanna del locatore per responsabilità ex art.96 c.p.c..
2. Il motivo è infondato e va rigettato.
Va, anzitutto, rilevato che, contrariamente a quanto assume la ricorrente, la sentenza impugnata, riportandosi sul punto alla sentenza del Pretore, ha escluso una situazione di mora debendi relativamente ai canoni di febbraio e marzo 1995, rifiutati dal creditore, mentre ha ritenuto la sussistenza di detta mora per i canoni successivi, poiché il rifiuto di detti due canoni non comportava anche il rifiuto dei successivi (sei canoni), tenuto conto che il conduttore ancora continuava ad utilizzare l’immobile e che nella fattispecie non poteva farsi questione di dovere di cooperazione di riceversi la prestazione, poiché essa presuppone pur sempre la volontà del debitore di adempiere, che nella fattispecie non sussisteva.
3. Esclusa, quindi, in fatto dal tribunale la rilevanza del mancato pagamento dei predetti due primi canoni, va esaminato se la sentenza del tribunale, che ha ritenuto l’inadempimento colpevole della conduttrice, relativamente ai successivi sei canoni, sia affetta dalle censure mossele. Osserva preliminarmente questa Corte che la colpa dell’inadempiente, quale presupposto per la risoluzione del contratto è presunta sino a prova contraria e che tale presunzione è destinata a cadere solo a fronte di risultanze positivamente apprezzabili, dedotte e provate dal debitore, le quali dimostrino che quest’ultimo, nonostante l’uso della normale diligenza, non sia stato in grado di eseguire tempestivamente le prestazioni dovute per cause a lui non imputabili (Cass. 14.5.1983, n. 3328). Tra le cause di non imputabilità dell’inadempimento vi è anche il rifiuto ingiustificato del creditore di riceversi la prestazione. Senza entrare nella vexata quaestio se la posizione del creditore riguardo alla necessità di una sua cooperazione all’adempimento costituisca solo un suo onere (come ritiene la maggioranza della dottrina) ovvero un vero e proprio diritto del debitore (come ritiene altra, minoritaria corrente), sta di fatto che non può essere pronunciata la risoluzione del contratto in danno della parte inadempiente, ove questa superi la presunzione di colpevolezza dell’inadempimento, dimostrandone la non imputabilità a causa dell’ingiustificato rifiuto della controparte di ricevere la prestazione (nella specie, canoni di locazione). Tale esclusione della colpa dell’inadempimento non è condizionata all’offerta reale della prestazione, secondo la procedura prevista dagli artt. 1209 e segg. c.c., costituendo questa offerta una facoltà della quale il debitore può avvalersi al diverso fine di determinare gli effetti della mora credendi e di conseguire la propria liberazione (Cass.13.6.1975,n. 2382; Cass. 7.5.1982, n. 2852).
Sennonché diventa poi una questione di merito accertare se il creditore ha effettuato detto rifiuto della prestazione e se detto rifiuto è illegittimo. Tale accertamento rientra nei poteri del giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità, se immune da vizi logici o giuridici.
A tal fine va osservato che il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, denunciabile con ricorso per cassazione ex art. 360 n. 5 c.p.c. si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione (Cass. 2 giugno 1995, n. 6189). Nella fattispecie la sentenza impugnata ha escluso l’esistenza del rifiuto della prestazione da parte del creditore, ritenendo che il solo fatto di non aver accettato due canoni di locazione, non comportava anche il rifiuto dei successivi, tanto più che era mancata l’offerta degli stessi e quindi la volontà di adempiere da parte del debitore. La stessa sentenza ha escluso che il locatore fosse venuto meno ad un dovere collaborativo di riceversi la prestazione proprio perché non vi era stata l’offerta della stessa. Sul punto la sentenza impugnata non è, quindi, affetta dai vizi motivazionali indicati nel ricorso.
4. Inconferenti sono le censure di violazione degli artt. 1227 e 1460 c.c., secondo cui non era possibile pretendere che la locataria continuasse ad offrire, dopo il rifiuto dei primi due canoni, anche i canoni successivi “mese per mese”. Quanto alla norma di cui all’art.1227 c.c., secondo la dottrina più recente, che ha avuto una sostanziale conferma da parte della giurisprudenza, il primo comma va riferito alla cooperazione attiva del danneggiato alla produzione del danno, nel qual caso il risarcimento è diminuito, mentre il secondo comma attiene all’ipotesi di danno eziologicamente imputabile al danneggiante, ma tale che avrebbe potuto essere impedito o attenuato dal comportamento diligente del danneggiato.
Entrambe dette ipotesi attengono, quindi, non all’inadempimento del debitore, che, anzi ne costituisce il presupposto, ma al danno conseguente a detto inadempimento (e, per l’effetto, al risarcimento dello stesso, che è nella prima ipotesi è diminuito e nella seconda non dovuto).
Quanto alla seconda norma (art. 1460 c.c.), essa attiene all’eccezione di inadempimento, per cui ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere alla propria obbligazione se l’altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo che termini diversi siano stati stabiliti dalle parti o discendano dalla natura del contratto.
Nella fattispecie ha rilevato la sentenza impugnata (ed il punto non è contestato dalla ricorrente), che la conduttrice continuava a godere dell’immobile locato durante i sei mesi, cui si riferiscono i canoni non pagati.
Inoltre, poiché il dovere del creditore di cooperare (se necessario in relazione alla natura della prestazione) all’adempimento del debitore non costituisce una vera e propria obbligazione del creditore nei confronti di quest’ultimo, ma si configura, invece, come un mero dovere strumentale, rispetto all’adempimento stesso (Cass. 8.2.1986, n. 809), l’inosservanza a detto dovere non può mai costituire fondamento dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c., ma può essere astrattamente rilevante solo ai fini dell’imputabilità dell’inadempimento.
Sennonché nella fattispecie la sentenza ha escluso in fatto detta inosservanza del dovere di collaborazione del creditore, poiché il conduttore non aveva offerto di adempiere (e cioè il pagamento dei sei canoni).
5.1. Infondata è anche la censura della violazione degli artt. 55 l. n. 392/1978 e 112 c.p.c. e 2909 c.c., per aver disposto il rilascio dell’immobile, mentre non sussisteva una mora addebitabile al conduttore e per aver ritenuto dovuti gli interessi legali, pur in assenza di una domanda in tal senso e di una statuizione del pretore sul punto.
5.2. Va premesso, anzitutto, che le S.U. di questa Corte (28.4.1999, n. 272), hanno statuito che nel regime ordinario delle locazioni urbane fissato dalla legge n. 392 del 1978, la disciplina di cui all’art. 55 relativa alla concessione di un termine per il pagamento dei canoni locatizi scaduti e per la sanatoria del relativo inadempimento, non opera in tema di contratti aventi ad oggetto immobili destinati ad uso diverso da quello abitativo, così componendo un contrasto giurisprudenziale, che vedeva l’orientamento maggioritario aderire alla tesi contraria, fatta propria anche dalla sentenza impugnata.
Ne consegue che l’inapplicabilità della disciplina di cui all’art.55 l. n. 392/1978 agli immobili adibiti ad uso non abitativo, quali quelli oggetto della presente controversia, da una parte rende ultronea la censura della ricorrente di violazione della predetta norma e dall’altra comporta che la motivazione dell’impugnata sentenza, che, in ossequio all’orientamento maggioritario, aveva valutato anche se la conduttrice aveva perfezionato detta sanatoria nella fattispecie (escludendolo), va corretta nei termini suddetti, a norma dell’art. 384, 2^ c., c.p.c.. 5.3. In ogni caso, va osservato che, contrariamente, all’assunto della ricorrente la sentenza impugnata non ha emesso alcuna statuizione in merito al pagamento degli interessi sui canoni, violando l’art. 112 c.p.c., ma ha solo valutato il punto se ai fini della purgazione della mora fosse sufficiente, ai sensi dell’art. 55 l. n. 392/1978, la sola offerta di pagamento dei canoni o se, invece,
fosse necessario anche il pagamento degli interessi e delle spese, dando risposta positiva a tale quesito.
Il punto, esatto all’interno della disciplina di cui all’art. 55 cit. (Cass. 27.11.1986,n. 6995; Cass. 22.11.1982,n. 6289), e quindi relativamente alle sole locazioni di immobili urbani adibiti ad uso abitativo, diventa irrilevante relativamente alle locazioni di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo, per la non applicabilità della suddetta disciplina, come sopra detto. 6. Infondata è anche la censura relativa al mancato accoglimento della riconvenzionale, attinente alla domanda di condanna del locatore per responsabilità aggravata, ex art. 96 c.p.c.. Tra i presupposti di detta condanna, vi è, infatti, la totale soccombenza, mentre nella specie la soccombente totale è stata la conduttrice.
7. Il ricorso va, pertanto, rigettato […]