Corte di cassazione, Sez. 3, Sentenza n. 1283 del 2012, dep. 30/01/2012

[…]

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denunzia violazione dell’art. 112 c.p.c. e mancata applicazione di norme di diritto ex art. 360, n. 3. Sostiene il ricorrente che il giudice di appello ha erroneamente interpretato l’atto di appello , dando rilievo al pagamento del prezzo effettuato dalla […] dopo la proposizione della domanda di risoluzione per inadempimento da parte della promittente venditrice,in violazione del divieto di cui all’art. 1453 cod. civ., comma 3.

Ha ritenuto erroneamente che l’appellante avesse invocato la diversa disciplina di cui all’art. 1453 cod. civ., comma 2.

Il motivo è infondato.

Il ricorrente denunzia sostanzialmente l’errata interpretazione dell’atto di appello, integralmente riprodotto in ricorso nel rispetto del principio dell’autosufficenza, e non la violazione tra il chiesto ed il pronunciato, che in cassazione può essere denunziata a pena di inammissibilità della deduzione esclusivamente sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4.

La Corte di appello ha respinto l’impugnazione della parte venditrice sul rilievo che nel preliminare non era previsto un termine entro il quale la promittente acquirente avrebbe dovuto adempiere all’obbligazione del pagamento del prezzo e che comunque il prezzo era stato integralmente pagato, anche con riferimento al mutuo accesso dalla promittente venditrice con la Banca CIS, nel corso 1999.

La Corte di merito ha quindi ritenuto che non vi fosse l’inadempimento della promittente acquirente, correttamente interpretando la censura proposta dall’appellante con l’impugnazione, confermando la decisione di primo grado di accoglimento della domanda di esecuzione in forma specifica e di rigetto dalla domanda di risoluzione per inadempimento proposta dalla venditrice. 3. Con il secondo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 1453 cod. civ., comma 3.

Sostiene il ricorrente che avendo egli proposto domanda di risoluzione del contratto preliminare per l’inadempimento da parte della […] dell’obbligazione di pagamento del prezzo, la […] non poteva adempiere alla sua obbligazione in virtù del divieto di cui all’art. 1453 cod. civ., comma 3.

4. Come terzo motivo di denunzia difetto di motivazione su un fatto decisivo per la controversia per erronea valutazione le prove offerte in ordine al momento in cui la […] aveva adempito alla obbligazione di pagamento del prezzo.

5. I due motivi si esaminano congiuntamente per connessione logico giuridica e sono infondati.

Questa Corte ha affermato che il contraente che chiede, a norma dell’art. 2932 c.c., l’esecuzione specifica di un contratto preliminare è tenuto ad eseguire la prestazione a suo carico od a farne offerta nei modi di legge se tale prestazione sia già esigibile al momento della domanda, mentre non è tenuto a pagare il prezzo quando, in virtù delle obbligazioni nascenti dal preliminare il pagamento del prezzo (o della parte residua) risulti dovuto all’atto della stipulazione del contratto definitivo (Cass. 1 agosto 2001 n. 10469, Cass. 11 luglio 2000, n. 9176).

6. A maggior ragione il pagamento integrale del prezzo al momento della proposizione della domanda di esecuzione specifica non può integrare inadempimento, come correttamente ritenuto dalla Corte di appello, quando non è stabilito contrattualmente un termine per l’adempimento di tale obbligazione.

Quando, come nel caso in esame, il convenuto in risoluzione per inadempimento, con riferimento all’epoca della domanda giudiziale, risulti non essere inadempiente, per inesigibilità – a quella epoca – della prestazione dedotta in contratto e adempia la sua obbligazione nel corso del giudizio, manca il denunziato inadempimento che è condizione dell’azione per l’accoglimento della domanda di risoluzione contrattuale. 7.La decisione è sorretta da idonea motivazione conforme alla legge e nessun rilievo può avere il riferimento a divieto posto dall’art. 1453 c.c., di mutare la domanda di risoluzione in adempimento, in quanto tale riferimento contenuto nella sentenza, per quanto improprio, non costituisce elemento fondante la decisione.

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