Corte di Cassazione, Sez. 3, Sentenza n. 3471 del 2007, dep. il 15/02/2007

[…]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

[…] conveniva, con citazione notificata il 27.11.1989, davanti al Tribunale di Pesaro, […] (fratello) e […] (cognata), chiedendone la condanna alla restituzione della somma di L. 70 milioni, che ella aveva prestato al fratello, il quale, in comunione di beni con il coniuge […], la utilizzava per pagare i lavori di costruzione della casa coniugale.

Riteneva, quindi l’attrice che i coniugi, stante il regime di comunione, erano tenuti in solido alla restituzione di tale somma. Si costituiva il […] che riconosceva i fatti nei termini esposti dall’attrice.

Si costituiva la convenuta […], che assumeva che esattamente il mutuo era stato effettuato solo al marito, ma che lo stesso aveva richiesto il prestito per la ristrutturazione della casa dei genitori.

Il G.I. con ordinanza del 9.2.1991 autorizzava l’attrice a sequestro conservativo nei confronti dei due convenuti per L. 100 milioni. Il Tribunale, con sentenza del 9.6.1999, accoglieva la domanda nei confronti del […], che condannava alla restituzione della somma mutuata e la rigettava nei confronti della […]. Avverso questa sentenza proponeva appello l’attrice. La Corte di appello di Ancona, con sentenza depositata il 16.12.2002, rigettava l’appello e convalidava il sequestro conservativo. Riteneva la Corte di merito che non risultava provato che il mutuo fosse stato richiesto dal […] per la costruzione della casa coniugale e quindi nell’interesse della famiglia e che la confessione in tal senso del […] era rimasta priva di riscontri. Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l’attrice. Non hanno svolto attività difensiva gli intimati.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 112, 113, 115 e 116 c.p.c. e art. 2733 c.c. nonché l’omessa motivazione e travisamento del fatto su un punto essenziale della controversia.

Assume la ricorrente che, in punto di fatto, il giudice di appello erratamente non ha ritenuto di dover liberamente apprezzare la confessione resa dal […], a norma dell’art. 2733 c.c., u.c., secondo cui il denaro mutuatogli fu impiegato nella costruzione della casa coniugale; che, conseguentemente, dell’obbligazione restitutoria dovevano rispondere entrambi i coniugi;

2. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 177, 180, 183, 189 e 190 c.c.. Ritiene la ricorrente che la sentenza impugnata, in violazione delle norme suddette non abbia riconosciuto la responsabilità solidale della […]; che in ogni caso si doveva giungere alla condanna della […] sulla base del principio della cosiddetta apparenza giuridica, essendo stata l’obbligazione assunta anche nell’interesse dell’altro coniuge, attenendo ad esigenze della famiglia.

3.1. I due motivi vanno esaminati congiuntamente, stante la loro connessione.

Essi sono infondati.

Parte attrice, infatti, chiede la condanna della […] al pagamento dell’intera somma dovuta quale condebitrice in solido, per aver mutuato al fratello, coniuge della […] ed in comunione dei beni, una somma, impiegata per la costruzione della casa coniugale.

Anzitutto va osservato che l’impugnata sentenza ritiene che non sia stato provato che la somma mutuata sia stata impiegata per la costruzione della casa coniugale.

Sul punto la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2733 c.c., per non aver il giudice liberamente valutata la confessione del […] in relazione alla posizione della […]. Sennonché, proprio perché il giudice di merito ha ritenuto che la destinazione della somma mutuata non fosse stata provata, ciò dimostra che egli ha ritenuto che nessuna consistenza probatoria potesse assegnarsi a tale confessione nei confronti del coniuge del confidente.

Nè la ricorrente assume che risultassero agli atti altre prove non valutate o erratamente valutate dal giudice di appello.

3.2. Inoltre va osservato che, anche in regime di comunione dei beni, il creditore che voglia agire anche nei confronti del coniuge dello stipulante deve dimostrare non solo che il convenuto è coniuge dello stipulante e che l’obbligazione era nell’interesse della famiglia, ma anche che i beni della comunione non sono sufficienti e che l’unico debitore principale, il coniuge stipulante, non ha lui adempiuto l’obbligazione, assunta contrattualmente a suo, ed esclusivamente suo, carico.

L’attrice nella fattispecie non si rifà alla norma contenuta nell’art. 190 c.c., che prevede la responsabilità sussidiaria dei beni personali dei coniugi, nella misura della metà del credito, quando i beni della comunione non sono sufficienti a soddisfare i debiti gravanti su di essa. Non fa cenno alla circostanza che appunto i beni della comunione si siano rivelati insufficienti. Nella disciplina del diritto di famiglia, introdotta dalla L. 19 maggio 1975, n. 151, l’obbligazione assunta da un coniuge, per

soddisfare bisogni familiari, non pone l’altro coniuge nella veste di debitore solidale, difettando una deroga rispetto alla regola generale secondo cui il contratto non produce effetti rispetto ai terzi; il suddetto principio opera indipendentemente dal fatto che i coniugi si trovino in regime di comunione dei beni, essendo la circostanza rilevante solo sotto il diverso profilo dell’invocabilità da parte del creditore della garanzia dei beni della comunione o del coniuge non stipulante, nei casi e nei limiti di cui agli artt. 189 e 190 c.c. (nuovo testo) (Cass. 4/06/1999, n. 5487; Cass. 18/06/1990, n. 6118).

4. Rimane salva l’ipotesi (pure espressamente invocata dalla ricorrente) in cui si possa ritenere che, per il principio dell’apparenza, il contraente che ha contrattato con uno dei due coniugi dovesse fare ragionevole affidamento che questi agisse anche in nome e per conto dell’altro coniuge (Cass. 08/01/1998, n. 87). Sennonché il principio dell’apparenza del diritto postula, da un lato, uno stato di fatto non corrispondente allo stato di diritto e, dall’altro, il ragionevole convincimento del terzo, derivante da errore scusabile, che lo stato di fatto rispecchi la realtà giuridica, per cui egli facendo affidamento su una situazione giuridica non vera, ma solo apparente, e comportandosi in aderenza a essa, ha diritto di contare sulla manifestazione apparente, sebbene non conforme alla realtà. Sono, pertanto, necessarie, in ogni singolo caso, la buona fede del terzo e la ragionevolezza dell’affidamento, non essendo invocabile il principio in questione da chi versi in colpa per avere omesso di accertare, in contrasto con la stessa legge e con le norme di comune prudenza, la realtà delle cose, affidandosi alla mera apparenza (Cass. 11/02/2005, n. 2838). Pur invocando tale principio, la ricorrente non assume che siano stati prospettati al giudice di merito gli elementi fattuali perché potesse concretizzarsi nella fattispecie l’ipotesi dell’apparenza del diritto nella stipula del contratto di mutuo con il fratello, in modo che potesse incolpevolmente ritenersi che questi agisse anche in nome e per conto della moglie.

5. Quanto alla censura di travisamento del fatto in merito alla scrittura del 10.5.1986, relativamente al tasso di interessi convenzionali, per essere stata la stessa depositata in atti, contrariamente all’assunto del giudice di merito, la stessa è inammissibile.

Il travisamento del fatto non può costituire motivo di ricorso per Cassazione, poiché, risolvendosi in un’inesatta percezione da parte del giudice di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento, in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo, costituisce un errore denunciabile con il mezzo della revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 4, (Cass. 30.1.2003, n. 1512; Cass. 27.1.2003, n. 1202; Cass. n. 1143 del 2003).

6. Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c., nonché l’omessa e contraddittoria motivazione e contraddittorietà tra la parte motiva ed il dispositivo. Assume la ricorrente che, avendo il giudice di appello convalidato il sequestro conservativo, che era stato emesso nei confronti di entrambi i coniugi, il giudice di appello necessariamente doveva condannare entrambi i convenuti in solido alla restituzione della somma mutuata al marito per soddisfare esigenze familiari.

7.1. Il motivo è infondato.

Va, preliminarmente osservato che le nuove disposizioni sul processo cautelare uniforme si applicano alle cause iniziate successivamente al 1 gennaio 1993: le stesse possono applicarsi ai processi pendenti alla detta data e che lo siano ancora alla data del 16 febbraio 1994, di entrata in vigore del D.L. n. 673 del 1994, a condizione peraltro della loro compatibilità con la disciplina processuale previgente, in relazione alla fase, allo stato, e al grado del processo pendente, nonché ai relativi poteri del giudice e ai diritti e/o alle facoltà delle parti. In particolare la previsione secondo cui “tutti i sequestri anteriormente autorizzati perdono la loro efficacia se con sentenza, anche non passata in giudicato, è rigettata l’istanza di convalida ovvero è dichiarato inesistente il diritto a cautela del quale erano stati concessi”, deve essere interpretata nel senso che, ove ai processi pendenti non sia applicabile la nuova normativa, a partire dal 16 febbraio 1994 è sufficiente, per determinare l’inefficacia del sequestro autorizzato anteriormente alla data medesima, che nei processi stessi, indipendentemente dalla fase, dallo stato o dal grado in cui sì trovano, sia intervenuta una sentenza di rigetto dell’istanza di convalida o dichiarativa dell’inesistenza del diritto cautelato (con conseguente obbligo del giudice, in tali casi, di applicare immediatamente lo ius superveniens, anche d’ufficio, senza attendere il ricorso del sequestrato) (Cass. 21/02/2004, n. 3489).

7.2. Ne consegue che, avendo il giudice di merito rigettato la domanda nei confronti della […], non poteva convalidare il sequestro conservativo nei confronti di questa, ma solo nei confronti del condannato[…].

Sennonché anzitutto, interpretando la sentenza nel suo complesso, nel silenzio sul punto se la convalida del sequestro sia stata effettuata nei confronti del solo condannato o di entrambe le parti, dovendosi privilegiare l’interpretazione conforme a diritto, può ritenersi che tale convalida attenga alla sola posizione del […].

7.3. In ogni caso da tale eventuale errata convalida del sequestro nei confronti della […] (che può essere fatta valere solo da questa e non dall’attrice), l’attrice stessa non può ritenere che la motivazione della sentenza sia contraddittoria con il dispositivo. La statuizione di (conferma del) rigetto della domanda è – come detto – esattamente motivata, ne’ vi è contraddizione tra motivazione e dispositivo.

8. Il ricorso va pertanto rigettato. Nulla per le spese del giudizio di Cassazione, non avendo svolto attività difensiva le parti intimate. […]