Corte Cassazione, Sez. 3, Sentenza n. 4048 del 2003, dep. il 29/01/2003

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con l’ordinanza in epigrafe il tribunale di Latina respinse la richiesta di riesame proposta dalla […] avverso l’ordinanza di sequestro preventiva emesso dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Latina il […] 2002. L’indagata propone ricorso per cassazione deducendo:
a) violazione di legge e vizio di motivazione, osservando in particolare che il manufatto era di vecchia realizzazione, ad esclusione delle opere di copertura effettuate di recente, per le quali però non necessitava alcuna concessione edilizia trattandosi di opere di straordinaria manutenzione, che non avevano comportato alcuna variazione dei volumi e delle superfici. Erroneamente poi il tribunale del riesame ha ritenuto che il manufatto fosse abusivo. Esso, invero, fu costruito nel 1982, e cioè prima della entrata in vigore della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e quindi deve ritenersi lecito anche se realizzato senza concessione edilizia, all’epoca non prevista.
b) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari, ed in particolare in ordine alla possibilità di aggravare o protrarre le conseguenze del reato. c) violazione di legge e vizio di motivazione e nullità del decreto di sequestro preventivo perché non conteneva l’indicazione completa del fatto, nonché del luogo e della data di consumazione del presunto reato e perché la informazione di garanzia non conteneva tutte le indicazioni previste dall’art. 369 cod. proc. pen. ed in particolare la descrizione del fatto, del tempo e del luogo dello stesso.

MOTIVI DELLA DECISIONE
In via preliminare deve essere ricordato, che, secondo la costante giurisprudenza di questa Suprema Corte, confermata da ultimo dalle SS.UU., sent. 23 febbraio 2000, n. 7, […] “in tema di sequestro preventivo la verifica delle condizioni di legittimità della misura cautelare, da parte del tribunale del riesame (e di questa Corte), non può tradursi in anticipata decisione della questione di merito concernente la responsabilità del soggetto indagato in ordine al reato oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo di compatibilità tra la fattispecie concreta e quella legale ipotizzata; mediante una valutazione prioritaria della antigiuridicità penale del fatto (cfr.: S.U. 7 novembre 1992, Midolini). Le condizioni generali per l’applicabilità delle misure cautelaci personali, indicate nell’art. 273 cod. proc. pen., non sono estensibili, per la loro peculiarità, alle misure cautelari reali, e da ciò deriva che, ai fini della verifica in ordine alla legittimità del provvedimento mediante il quale sia stato ordinato il sequestro preventivo di un bene pertinente ad uno o più reati, è preclusa ogni valutazione riguardo alla sussistenza degli indizi di colpevolezza, alla gravità di essi e alla colpevolezza dell’indagato (cfr. S.U. 23 aprile 1993, Gifuni). Diversamente, si finirebbe con lo utilizzare surrettiziamente la procedura incidentale di riesame per una preventiva verifica del fondamento dell’accusa, con evidente usurpazione di poteri che sono per legge riservati al giudice del procedimento principale (cfr.: Cass VI, 4 febbraio 1993, Francesconi; Cass. III, 14 ottobre 1994;
Petriccione; Cass. III, 26 aprile 1996, Beltrami, ex plurimis) “Ciò posto, il primo motivo è infondato perché il tribunale nella specie ha correttamente assolto al compito di controllo ad esso devoluto, senza incorrere in alcuna violazione dei richiamati principi, posto che ha valutato su di un piano di astrattezza l’antigiuridicità dei fatti sostanzianti l’accusa, limitandosi alla verifica di compatibilità tra la enunciata ipotesi accusatoria e le emergenze esistenti nonché alla attribuibilità del prospettato illecito all’indagato, mentre il ricorrente, di contro, inammissibilmente propone, al riguardo, questioni che in concreto involgono il merito del giudizio in quanto estendono il tema del decidere alla fondatezza della pretesa punitiva, di per sè esulante dai limiti del procedimento incidentale di cui trattasi. In ogni modo, può rilevarsi che il primo motivo si fonda su due presupposti erronei in punto di diritto e cioè, da un lato, che il giudice del merito avrebbe dovuto prendere in considerazione esclusivamente le opere di copertura, e non anche l’intero manufatto, e, da un altro lato, che il manufatto, essendo stato asseritamente costruito nel 1982, non avrebbe avuto bisogno della concessione edilizia.
Quanto al primo assunto, deve invero ribadirsi il principio costantemente affermato da questa Suprema Corte, secondo cui nel valutare la realizzazione di una costruzione edilizia l’opera deve essere considerata unitariamente nel suo complesso, senza che sia consentito scindere e considerare separatamente i suoi singoli componenti, e ciò specialmente quando si tratti di una costruzione abusiva. La giurisprudenza ha infatti escluso che una costruzione abusiva possa artificiosamente essere frazionata nelle sue diverse parti, affermando, tra l’altro, che “in virtù del concetto unitario di costruzione, la stessa può dirsi completata solo ove siano stati terminati i lavori relativi a tutte le parti dell’edificio posto che, in tema di reato di costruzione abusiva, la permanenza cessa – tra l’altro – con la realizzazione totale dell’opera in ogni sua parte (nella specie la S. C. ha osservato che la eccezione di prescrizione riguardava la costruzione – senza concessione – di un fabbricato composto di tre piani, sicché inammissibile e priva di ogni rilevanza appare la pretesa del ricorrente diretta a scomporre l’intera costruzione e ad applicare la causa estintiva del reato solo relativamente alle parti già completate)” (Sez. III, 24 agosto 1993, Cordone, m. 196.982), o che “non è ammissibile, ai fini dell’applicazione del cosiddetto condono edilizio, in caso di costruzione unitaria, la frazionabilità della stessa nelle sue componenti strutturali con conseguente possibilità di sanatoria parziale dell’opera” (Sez. III, 22 giugno 1988, Atzeni, m. 179.149). Del tutto esattamente, pertanto, il tribunale del riesame ha sottolineato che è irrilevante la circostanza che soltanto le opere di copertura fossero di recente realizzazione e ciò perché trattandosi di un immobile realizzato senza concessione edilizia non ne era consentito il completamento o il rifacimento o la modifica fino a quando non ne fosse stata sanata la illiceità. Infatti; almeno in questa fase cautelare ed ai fini della valutazione della sussistenza del solo fumus del reato ipotizzato, è corretto che il giudice del merito abbia qualificato le opere di copertura come opere di ultimazione o di completamento dell’esistente manufatto abusivo e conseguentemente abbia ritenuto che occorreva la concessione edilizia dovendosi considerare la intera opera nel suo complesso e non solo gli ultimi lavori in ordine di tempo. Quanto al secondo assunto è appena il caso di rilevare che, quand’anche il manufatto preesistente fosse stato costruito nel 1982 – ma risulta che la stessa indagata dichiarò che fu realizzato nel 1987 -, ciò non significa che esso non possa considerarsi abusivo, dal momento che anche la normativa anteriore all’entrata in vigore della legge 28 febbraio 1985, n. 47, richiedeva che fosse rilasciata la concessione edilizia ed anche ai sensi di tale normativa precedente la realizzazione di un manufatto abusivo poteva integrare gli estremi di reato. D’altra parte è anche irrilevante il tempo trascorso perché – almeno secondo la prospettazione accusatoria sulla base della quale è stato emesso il provvedimento cautelare – il reato non poteva ancora ritenersi consumato essendo ancora in corso le opere di copertura.
Il secondo motivo è anch’esso infondato perché l’ordinanza impugnata ha fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari, osservando che, in considerazione della incompletezza delle opere abusive realizzate (risultante anche dalla documentazione fotografica), dovevano ritenersi sussistenti le finalità preventive in relazione alla possibile ripresa dei lavori abusivi.
Il terzo motivo, infine, è inammissibile sia perché, almeno in parte, si risolve in censure nuove non proposte con l’atto di appello (con il quale non era stata dedotta la nullità del provvedimento di sequestro del giudice per le indagini preliminari ma solo quella della informazione di garanzia) sia perché è comunque manifestamente infondato. Infatti, l’ordinanza del giudice per le indagini preliminari che dispose il sequestro preventivo, mediante l’esplicito richiamo alla richiesta del pubblico ministero ed al verbale di sequestro operato in via d’urgenza dalla polizia giudiziaria il 27 marzo 2002, non solo conteneva la completa indicazione del fatto, ma consentiva anche la esatta ed inequivocabile individuazione sia del manufatto e delle opere sia della loro precisa ubicazione. Del resto, non essendo stata, come già rilevata, dedotta sul punto specifica censura, la corte d’appello non era tenuta a motivare al riguardo. E nemmeno era tenuta motivare sul motivo di appello relativo alla pretesa nullità della informazione di garanzia perché tale motivo era da un lato manifestamente infondato (perché, come si è appena rilevato, il provvedimento di sequestro preventivo consentiva, sia pure indirettamente, di individuare con precisione il luogo ed il tempo del fatto) e, dall’altro, palesemente irrilevante perché la dedotta nullità della informazione di garanzia non avrebbe comunque comportato la nullità del provvedimento di sequestro preventivo. Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali […]