Corte di Cassazione, Sez. 3, Sentenza n. 57118 del 2017, dep. il 21/12/2017

[…]

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 25.01.2017, depositata in data 26.01.2017, il tribunale di Pesaro assolveva l’imputato dalle tre contravvenzioni edilizie ascrittegli (artt. 44, lett. b), 93 e 95, 94 e 95, d.P.R. n. 380 del 2001) perché non punibile per particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis cod. pen.
2. Ha proposto ricorso per cassazione “per saltum” il Procuratore della Repubblica presso il tribunale di PESARO, deducendo due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b), c.p.p., sotto il profilo della violazione di legge, sub specie dell’art. 131 bis cod. pen. In sintesi, sostiene il P.M. ricorrente che ove il giudice ritenga particolarmente lieve il fatto che si traduce in diverse norme di legge che attengono ad aspetti normativi diversi e che si sostanzia nel sottrarre alla valutazione tecnica dell’autorità amministrativa la sicurezza di un corpo di fabbrica dentro il quale entrano liberamente persone per effettuare consumazioni ignare del fatto che la struttura potrebbe non sopportare il carico, deve motivare in sentenza le ragioni di tale convincimento, pena un’interpretazione assolutamente soggettiva e non aderente ai fatti dei criteri ermeneutici di valutazione della condotta contenuti all’art. 131 bis c.p.; a ciò, poi, aggiunge che il giudice avrebbe dovuto, prima di decidere, sentire la p.o.; il giudice, pur avendo correttamente affermato che la pronuncia della sentenza di proscioglimento non richiede il consenso della p.o., ha tuttavia erroneamente ritenuto che dalla mancata necessità del consenso discenda la non obbligatorietà di sentire la p.o., nel caso di specie identificantesi nell’ufficio tecnico del comune di Pesaro e nell’ufficio sismico dell’ex Provincia di Pesaro — Urbino.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b), c.p.p., sotto il profilo della violazione di legge, sub specie dell’art. 31, co. 9, d.P.R. n. 380 del 2001. In sintesi, sostiene il P.M. ricorrente che il giudice avrebbe violato la predetta disposizione non applicando con la sentenza assolutoria ex art. 131 bis c.p. la sanzione amministrativa accessoria dell’ordine di demolizione, non facendo dunque applicazione corretta della giurisprudenza di questa Corte, né risultando che l’opera sia stata sanata da un punto di vista edilizio né comunque pronunciandosi sul punto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è fondato.
4. Quanto al primo motivo, infatti, il tribunale, dopo aver richiamato la giurisprudenza di questa Corte formatasi a proposito del rapporto tra reati abituali e continuazione con riferimento all’applicabilità della speciale causa di non punibilità del fatto di particolare tenuità, afferma che la contestazione di più violazioni non esclude la possibilità di effettuare la valutazione di comportamenti plurimi che possono in concreto essere indicativi di un’inclinazione al crimine dell’agente e quindi della sua qualificata pericolosità sociale nella quale si sostanzia l’abitualità della condotta, concludendo che non rappresenta una condizione soggettiva ostativa alla valutazione dell’abitualità perché di per sé non dimostrativa della stessa; nella specie, secondo il giudice, la condotta del reo non avrebbe arrecato alcun effettivo danno sotto il profilo urbanistico non avendo ampliato la zona concessagli per lo svolgimento della sua attività né modificato la struttura in termini volumetrici o di consistenza materiale più onerosa per il territorio.
5. Trattasi di motivazione che, pur condivisibile in termini generali, mal si attaglia al caso di specie. Deve, a tal proposito, rilevarsi che le contestazioni sono relative alla realizzazione in assenza di p.d.c., di preventivo avviso all’ufficio del genio civile e di autorizzazione da parte del medesimo ufficio, di una struttura delle dimensioni complessive di mq. 33, realizzata dall’imputato quale amministratore unico della società “[…]”, struttura evidentemente destinata ad essere utilizzata nell’esercizio della sua attività. In base a tale premessa, dunque, correttamente il P.M. evidenzia come il giudice abbia ritenuto il fatto di particolare tenuità senza tener conto della fattispecie concreta, limitandosi a richiamare la giurisprudenza di questa Corte che, del tutto condivisibilmente, ritiene che la continuazione ex se non significhi abitualità e, dunque, non precluda l’applicabilità dell’art. 131 bis c.p. Sul punto, infatti, si è affermato da questa Corte, con orientamento cui questo Collegio di dover dare continuità, che la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis cod. pen. può essere dichiarata anche in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, giacché quest’ultima non si identifica automaticamente con l’abitualità nel reato, ostativa al riconoscimento del beneficio, non individuando comportamenti di per se stessi espressivi del carattere seriale dell’attività criminosa e dell’abitudine del soggetto a violare la legge (Sez. 2, n. 19932 del 29/03/2017 – dep. 26/04/2017, Di Bello, Rv. 270320).
Tuttavia, si è specificato che il giudice, in presenza di un reato continuato, per decidere sulla meritevolezza o meno del beneficio da parte dell’imputato, è chiamato a soppesare – in relazione alla modalità della condotta ed all’esiguità del danno o del pericolo – l’incidenza della continuazione in tutti i suoi aspetti, tra cui la gravità del reato, la capacità a delinquere, i precedenti penali e giudiziari, la durata temporale della violazione, il numero delle disposizioni di legge violate, gli effetti della condotta antecedente, contemporanea e susseguente al reato, gli interessi lesi ovvero perseguiti dal reo e le motivazioni a delinquere. E questo è ciò che è mancato nel caso di specie. Coglie infatti nel segno l’eccezione del P.M. ricorrente laddove osserva che, ove il giudice ritenga particolarmente lieve il fatto che si traduce in diverse norme di legge che attengono ad aspetti normativi diversi e che si sostanzia nel sottrarre alla valutazione tecnica dell’autorità amministrativa la sicurezza di un corpo di fabbrica dentro il quale entrano liberamente persone per effettuare consumazioni ignare del fatto che la struttura potrebbe non sopportare il carico, deve motivare in sentenza le ragioni di tale convincimento, pena un’interpretazione assolutamente soggettiva e non aderente ai fatti dei criteri ermeneutici di valutazione della condotta contenuti all’art. 131 bis c.p. Motivazione, nel caso di specie, mancata nel caso in esame, con conseguente integrazione della violazione di legge dedotta.
6. L’accoglimento del primo motivo renderebbe superfluo l’esame del secondo, che presupporrebbe la legittimità dell’adozione della formula assolutoria ex art. 131 bis c.p. Osserva, peraltro, il Collegio che anche tale motivo è fondato. È stato infatti affermato da questa Corte, anche se in relazione alla violazione costituita dal reato di guida in stato di ebbrezza, che alla esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, consegue l’applicazione, demandata al Prefetto, delle sanzioni amministrative accessorie stabilite dalla legge (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016 – dep. 06/04/2016, Tushaj, Rv. 266592).
7. Trattasi di principio che appare applicabile anche ai casi, come quello in esame. Ed invero, osserva il Collegio, la fattispecie di cui ci si occupa è collocata in un organico corpus normativo che agli artt. 27 e 31, d.p.r. n. 380 del 2001 disciplina l’applicazione della sanzione amministrativa accessoria della demolizione. Quando la sentenza di condanna, di applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen. o il decreto penale sono irrevocabili, è il PM a dare esecuzione alla predetta sanzione amministrativa accessoria (v., per tutte: Sez. U, n. 15 del 24/07/1996, P.M. in proc. Monterisi, Rv. 205336) disposta dal giudice. Allo stesso modo, la giurisprudenza si è occupata pure dell’estinzione del reato per causa diversa dalla morte dell’imputato: l’Amministrazione, verificata l’esistenza delle condizioni di legge, deve procedere all’applicazione delle sanzioni amministrative. È pacifico infatti che l’estinzione per prescrizione del reato di costruzione abusiva travolge l’ordine di demolizione del manufatto abusivo, di cui all’art. 31, co. 9, d.P.R. n. 380 del 2001, fermo restando il potere-dovere dell’autorità amministrativa (v., tra le tante: Sez. 4, n. 2078 del 17/12/1997 – dep. 19/02/1998, Cimino, Rv. 210352). In breve, quando manca una pronunzia di condanna o di patteggiamento, la sanzione amministrativa della demolizione riprende la sua autonomia ed entra nella sfera di competenza dell’Amministrazione Pubblica. Tale regola è espressa testualmente con riferimento all’istituto della prescrizione, ma ha impronta per coi dire residuale: è cioè dedicata alle situazioni in cui condanna o proscioglimento nel merito manchino. Essa, dunque, trova razionale applicazione anche nel contesto in esame in cui, appunto, il fatto non è punibile per la sua tenuità e non si fa quindi luogo ad una pronunzia di condanna. Tale soluzione interpretativa, fondata sulla ritrovata autonomia della sanzione accessoria, trova conferma in quella giurisprudenza, ormai consolidata, secondo cui in materia di reati concernenti le violazioni edilizie, l’ordine di demolizione del manufatto abusivo, avendo natura di sanzione amministrativa di carattere ripristinatorio, non è soggetto alla prescrizione stabilita dall’art. 173 cod. pen. per le sanzioni penali, né alla prescrizione stabilita dall’art. 28 legge n. 689 del 1981 che riguarda unicamente le sanzioni pecuniarie con finalità punitiva (v., tra le tante: Sez. 3, n. 36387 del 07/07/2015 – dep. 09/09/2015, Formisano, Rv. 264736). Tale principio rende viepiù chiara la virtuale autonomia della sanzione amministrativa accessoria della demolizione, che si manifesta anche a seguito dell’estinzione della sanzione penale. E non vi è chi non veda che coerenza del sistema impone di ritenere che tale autonomia si manifesti anche nel caso in cui la punibilità sia esclusa a mente della nuova normativa di cui all’art. 131-bis cod. pen.
Si può dunque concludere – come del resto evidenziano le Sezioni Unite nel richiamato arresto Tushaj (v. pag. 15, § 13) – che il nuovo istituto si limita, razionalmente, a richiedere un giudizio sull’utilità o l’inutilità della pena e non ha riflessi sulla sanzione amministrativa accessoria della demolizione (nel nostro caso, prevista dal d.P.R. n. 380 del 2001 quanto alla materia edilizia, ma analogo ragionamento può essere condotto in relazione all’omologa sanzione amministrativa accessoria pervista dall’art. 181, d. Igs. n. 42 del 2004 in tema di reato paesaggistico), che sono governate da istanze e regole distinte.
Da tutto quanto precede si trae la definitiva conclusione che nessuna preclusione osta all’applicazione della nuova normativa al reato in discussione. Ne discende, pertanto, che attesa la natura di sanzione amministrativa accessoria dell’ordine di demolizione del manufatto abusivo previsto dall’art. 31, co. 9, d.p.r. n. 380 del 2001 (Sez. 3, n. 8324 del 22/06/1994 – dep. 23/07/1994, Panicocolo, Rv. 198696), quest’ultima, in ipotesi di assoluzione dal reato edilizio per applicazione dell’art. 131 bis c.p., conseguirebbe comunque, trattandosi di statuizione obbligatoria, priva di contenuto discrezionale, consequenziale alla sentenza di condanna o ad altra alla stessa equiparata, e pertanto sottratta alla disponibilità delle parti (v., ex multis: Sez. 3, n. 6128 del 20/01/2016 – dep. 15/02/2016, P.G. in proc. Apicella, Rv. 266285).
8. Deve, pertanto, essere affermato il seguente principio di diritto: «In tema di reati edilizi, alla esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, consegue l’applicazione, demandata all’Autorità amministrativa competente, della sanzione amministrativa accessoria dell’ordine di demolizione».
9. L’impugnata sentenza dev’essere, conclusivamente, annullata con rinvio per il giudizio alla Corte d’appello di Ancona, versandosi nell’ipotesi di cui all’art. 569, ultimo comma, cod. proc. pen., secondo cui “Fuori dei casi in cui nel giudizio di appello si sarebbe dovuta annullare la sentenza di primo grado, la corte di cassazione, quando pronuncia l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata a norma del comma 1, dispone che gli atti siano trasmessi al giudice competente per l’appello” […]