Corte di Cassazione, Sez. 4, Sentenza n. 43443 del 2009, dep. il 13/11/2009

 

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FATTO E DIRITTO
[…] ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, confermando quella di primo grado, lo ha riconosciuto colpevole, nella qualità di datore di lavoro, del reato di omicidio colposo aggravato in relazione al decesso di […], lavoratore dipendente della srl […], di cui era amministratore unico.
L’infortunio si era verificato mentre lo […] era intento a manovrare una pressa idraulica con pompa a mano, a seguito della fuoriuscita dell’ammortizzatore.
L’addebito di colpa generica e specifica veniva ravvisata a carico del prevenuto per avere consentito l’utilizzo improprio della pressa, che le stesse istruzioni della ditta costruttrice escludevano potesse essere adibita alle lavorazioni su ammortizzatori e ciò, quale che fosse stata l’eziologia dell’incidente, in relazione alla quale gli accertamenti dei tecnici della ASL avevano fornito una triplice opzione di ipotesi (manovra manuale dell’addetto, fuoriuscita di pressione, parziale cedimento di un’astina): tutte queste opzioni trovavano la loro ragion d’essere nell’impropria messa a disposizione dello strumento.
Del resto, osservava il giudice di appello, a conferma delle argomentazioni già sviluppate dal giudice di primo grado, lo stesso imputato aveva dichiarato di non essersi mai occupato della pressa che pure aveva messo a disposizioni del lavoratore, con ciò contravvenendo all’obbligo impostogli ex lege, quale datore di lavoro, di fornire ai dipendenti uno strumentario lavorativo adeguato e sicuro.
Si articolano due ampi motivi di ricorso, che possono essere così sintetizzati.
Con il primo, si censura la sentenza nella parte in cui avrebbe sottovalutato il profilo dell’impraticabilità di un effettivo controllo del datore di lavoro sul lavoratore, riproponendo gli argomenti già prospettati con l’appello: il lavoratore, che aveva le chiavi dell’azienda, si era ivi trattenuto in ora notturna, senza avere avuto un esplicito incarico dall’azienda.
Con il secondo, si censura la sentenza nella parte in cui a fronte delle plurime cause alternative dell’incidente, come ricostruite dalla ASL, è stata comunque ravvisata la colpa del datore in lavoro sul presupposto della ritenuta inidoneità della pressa per le lavorazioni cui era stata adibita: circostanza che viene contestata. Il ricorso non merita accoglimento, a fronte di una sentenza che appare corretta nella ricostruzione dell’incidente e dei profili di colpa addebitati al datore di lavoro, al quale ne è stata ricondotta la responsabilità.
Le censure pur ampiamente sviluppate sono evidentemente di mero fatto e implicano una rilettura del compendio probatorio (di cui si offre una lettura alternativa) che non può trovare ingresso in sede di legittimità, non competendo alla Corte di cassazione rivalutare l’apprezzamento del quadro probatorio quando questo – come nel caso de qua – è assistito da esaustiva motivazione.
Va ricordato in proposito che tra i compiti di prevenzione che fanno capo al datore di lavoro vi è anche quello di dotare il lavoratore di strumenti e macchinali del tutto sicuri (cfr., ora, D.L. 9 aprile 2008, n. 81, artt. 69 e segg.), dovendo egli in proposito ispirare la sua condotta alle acquisizioni della migliore scienza ed esperienza per fare in modo che il lavoratore sia posto nelle condizioni di operare con assoluta sicurezza.
Pertanto, volendo trarre le conseguenze da questo principio, non sarebbe sufficiente, per mandare esente da responsabilità il datore di lavoro, che non abbia assolto appieno il suddetto obbligo cautelare, neppure che una macchina sia munita degli accorgimenti previsti dalla legge in un certo momento storico, se il processo tecnologico sia cresciuto in modo tale da suggerire ulteriori e più sofisticati presidi per rendere la stessa sempre più sicura. Nella stessa prospettiva, sarebbe parimenti configurabile la responsabilità del datore di lavoro il quale introduca nell’azienda e metta a disposizione del lavoratore una macchina – che per vizi di costruzione possa essere fonte di danno per le persone – senza avere appositamente accertato che il costruttore, e l’eventuale diverso venditore, abbia sottoposto la stessa macchina a tutti i controlli rilevanti per accertarne la resistenza e l’idoneità all’uso, non valendo ad escludere la propria responsabilità la mera dichiarazione di avere fatto affidamento sull’osservanza da parte del costruttore delle regole della migliore tecnica (cfr. di recente, Sezione 4^, 11 dicembre 2007, Mantelli ed altro). A fortiori, la responsabilità dovrebbe affermarsi in una vicenda, quale quella di interesse, dove si è accertata l’inidoneità tout court della attrezzatura all’incombente cui era adibita. In proposito, tale ricostruzione in fatto non può essere rimessa qui in discussione.
E non può essere rimessa in discussione neppure evocando il profilo dell’impraticabilità del controllo del datore sul lavoratore, che si sostiene avrebbe lavorato in orario non consentitogli. Sul punto, vi è divergenza tra quanto sostenuto in sentenza e gli argomenti prospettati dal ricorso.
Ma tale divergenza non sposta i termini della questione, ove si consideri che, per assunto pacifico, il datore di lavoro è comunque tenuto a controllare il lavoratore e a preservarlo dai rischi anche a fronte di eventuali negligenze o inosservanze comportamentali. Con l’unica eccezione dell’abnormità del comportamento del lavoratore. In altri termini, al principio, assolutamente pacifico, secondo cui, in tema di infortuni sul lavoro, l’addebito di responsabilità formulabile a carico del datore di lavoro non è in effetti escluso dai comportamenti negligenti, trascurati, imperiti del lavoratore, che abbiano contribuito alla verificazione dell’infortunio (giacché al datore di lavoro, che è “garante” anche della correttezza dell’agire del lavoratore, è imposto (anche) di esigere da quest’ultimo il rispetto delle regole di cautela: cfr. D.L. 9 aprile 2008, n. 81, art. 18, comma 1, lett. f)), si fa (rectius, si potrebbe
fare) eccezione, in coerente applicazione dei principi in tema di interruzione del nesso causale (art. 41 c.p., comma 2), solo in presenza di un comportamento assolutamente eccezionale ed imprevedibile del lavoratore: in tal caso, anche la condotta colposa del datore di lavoro che possa essere ritenuta antecedente remoto dell’evento dannoso, essendo intervenuto un comportamento assolutamente eccezionale ed imprevedibile (e come tale inevitabile) del lavoratore, finirebbe con l’essere neutralizzata e privata di qualsivoglia rilevanza efficiente rispetto alla verificazione di un evento dannoso (l’infortunio), che, per l’effetto, sarebbe addebitabile materialmente e giuridicamente al lavoratore (tra le tante, Sezione 4^, 13 marzo 2008, Reduzzi ed altro; nonché, Sezione 4^, 29 febbraio 2008, Radrizzani). Ciò però può verificarsi in presenza (solo) di comportamenti “abnormi” del lavoratore, come tali non suscettibili di controllo da parte delle persone preposte all’applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro.
In questa prospettiva, in linea con quanto osservato nella sentenza qui riportata, si esclude tradizionalmente che presenti le caratteristiche dell’abnormità il comportamento, pur imprudente, del lavoratore che non esorbiti completamente dalle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli e mentre vengono utilizzati gli strumenti di lavoro ai quali è addetto, essendo l’osservanza delle misure di prevenzione finalizzata anche a prevenire errori e violazioni da parte del lavoratore (cfr. Sezione 4^, 5 giugno 2008, Stefanacci ed altri).
È quanto può ritenersi nel caso di specie, laddove nessun comportamento abnorme può individuarsi nell’agire del lavoratore, la cui disponibilità delle chiavi dell’azienda all’evidenza, secondo quanto ricostruito in sede di merito, consentiva (e di questo il datore di lavoro non poteva essere edotto e, comunque, di questo avrebbe dovuto tenerne conto) l’accesso all’impianto per svolgere la propria attività.
Che poi tale accesso non sia stato eccezionale ed imprevedibile è del resto attestato dalle modalità del ritrovamento dell’infortunato, da parte di altri lavoratori, in ora ampiamente notturna, che si trovavano in azienda evidentemente per ragioni lavorative (ciò è incontroverso e contraddice, in fatto, gli argomenti prospettati in ricorso, circa un orario lavorativo confinato per tutti entro il massimo le 18,30).
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