Corte di Cassazione, Sez. 4, Sentenza n. 44206 del 2001, dep. il 10 dicembre 2001

 

[…]

La Corte osserva.
1. Dalla sentenza impugnato risulta che verso le ore 7.30 del giorno 8 luglio 1995 tale […] cadde nel vano ascensore di uno stabile in costruzione producendosi lesioni personali di rilevante gravità.
Egli si era introdotto nel cantiere edile attraverso un varco prodotto nella rete di recinzione e, dopo avere spostato uno sbarramento di accesso al vano sul quale si affacciava il varco destinato al montaggio della porto dell’ascensore, avendo urtato un pannello posto su detto varco, precipitò nel vuoto, con le sopra evidenziate conseguenze.
2. Per questo accadimento furono rinviati a giudizio innanzi al Tribunale monocratico di Bergamo gli odierni ricorrenti, nella rispettiva qualità di capo cantiere e di responsabile della sicurezza nel cantiere, nonché […] nella qualità di amministratore della s.r.l. […], tutti furono ritenuti colpevoli e condannati a tre mesi di reclusione e al risarcimento dei danni in favore della parte civile, cui fu assegnata una provvisionale di 400.000.000.
Sull’appello dei tre imputati, in assenza della parte civile tacitato, la Corte territoriale assolse, per non avere commesso il fatto, […]; rigettò l’appello degli altri due prevenuti, ai quali ridusse la pena a un mese di reclusione.
3. […] e […], con separati omologhi atti, ricorrono per cassazione deducendo due mezzi di annullamento della sentenza di appello.
(a) Con il primo motivo denunziano “Manifesta illogicità della motivazione e violazione di legge (artt. 42 e 43 c.p.)”. Secondo i deducenti la Corte del merito non avrebbe adeguatamente valutato le circostanze di fatto in presenza delle quali si verificò l’infortunio, sia quanto alla condotto dei prevenuti, la cui correttezza sarebbe risultata dagli atti, sia quanto all’arbitrario ed illegittimo comportamento dell’infortunato il quale si era introdotto nel cantiere ancora chiuso utilizzando un varco nella rete di recinzione e poi spostando arbitrariamente lo sbarramento (croce di santandrea) posto all’ingresso del vano di accesso, la cui funzione di impedimento al transito era nota allo stesso infortunato che aveva collaborato alla posa in opera di mattoni nel vano, operazione protrattosi sino a sera.
Dagli atti, proseguono i deducenti, sarebbe emerso che, il mattino successivo alla posa in opera della mattonata, olio ripresa del lavoro, consolidatasi il materiale di supporto dei mattoni, si sarebbe proceduto alla risistemazione del pannello di sbarramento sul riquadro del vano ascensore.
Svalutando le circostanze dedotte dalla difesa e fornendo una interpretazione rigoristica dell’art. 2087 c.c. in relazione agli avvenimenti del caso di specie, il Giudice del merito avrebbe finito con l’affermare una responsabilità di tipo oggettivo addebitando ai prevenuti l’infortunio in quanto accaduto, con violazione delle norme di cui agli artt. 42 e 43 c.p..
(b) Con il secondo mezzo di annullamento si denunzia violazione dell’art. 53 e segg. L. 24 novembre 1981 n. 689, nella parte in cui la Corte territoriale, pur in assenza di specifico motivo di impugnazione, non avrebbe esercitato il potere discrezionale di sostituire la pena detentiva con quella pecuniaria.
4. Osserva la Corte che il primo mezzo di annullamento appare fondato e deve essere accolto.
4.1. Come è stato altre volte ritenuto dalla Corte (tra le ultime, Sez. 4^, 11 gennaio 1999 n. 19, Traballi), una volta stabiliti gli accadimenti fattuali, il giudice del merito deve passare all’indagine sul rapporto di condizionamento tra condotta ed evento poiché questo appartiene all’elemento oggettivo della fattispecie di reato, la cui prova consente di riferire a quel dato soggetto (l’accusato) l’accadimento posto in giudizio. Questa ricerca deve precedere quella sull’elemento soggettivo (la colpa,) poiché il rimprovero ha senso anche giuridico, oltre che morale, solo in presenza di accadimento imputabile, “causato”, da quel soggetto.
Tale modo di procedere è imposto dalla lettura dell’art. 27 commi 1 e 3 Cost.. Invero, secondo l’insegnamento estraibile della sentenza n. 364 del 1988 della Corte costituzionale, il rispetto del principio di colpevolezza, inteso sotto l’aspetto obiettivo, postula che una persona non possa essere chiamata a rispondere penalmente (e, quindi, non possa formularsi un giudizio di rimprovero), se non per gli effetti di condotte da lui controllabili e “mai per comportamenti che solo fortuitamente producano conseguenze penalmente vietate”. A nulla varrebbe, infatti, osservò allora la Corte, “(…) garantire la riserva di legge statale, la tassatività delle leggi, ecc., quando il soggetto fosse chiamato a rispondere di fatti che non può, comunque, impedire”, perché fortuiti o riferibili all’azione di altro soggetto, la quale, rispetto all’accusato, si pone come fatto fortuito.
4.2. Passando all’esame dei criteri che debbono presiedere all’analisi del condizionamento eziologico, deve evidenziarsi che il giudizio sul rapporto di causalità tra condotto ed evento va formulato secondo regole giuridiche e non naturalistiche, nel senso che quel giudizio deve fondarsi sulla individuazione di una regola di consequenzialità necessaria, o anche solo ricorrente in grado elevato, che sia conoscibile (anche se non necessariamente conosciuta) dal soggetto agente: giudizio, quindi, da formulare secondo la regola, quanto meno, dell’id quod plerumque accidit, nella quale è compresa la prevedibilità implicante prevenibilità. Con la conseguenza che il giudice, nel formulare il giudizio di condizionamento, deve rispondere alla domando sul se, ai momento della condotto, si poteva ritenere conseguenza necessaria o altamente probabile l’effetto che poi dalla condotta ne è scaturito. E ciò sotto l’aspetto oggettivo: non nel senso sul se il soggetto abbia previsto, o avesse potuto prevedere, che è giudizio che pertiene all’aspetto subiettivo del reato, ma sui se obbiettivamente, secondo regole di generalizzata esperienza (si parla di leggi scientifiche o statistiche di “copertura”), l’effetto era collegabile (e poi risulta collegato) all’evento.
4.3. Questa regola, che presiede alla lettura dell’art. 40 comma 1 c.p., abbisogna di un approfondimento, quanto ai reati omissivi,
connessi a una posizione di garanzia, della quale, pacificamente, è titolare il datore di lavoro, e coloro che collaborano all’attività produttiva (art. 2087 c.c., richiamato dal Giudice del merito), poiché in questa categoria di reati la condotta umana, come fattore eziologico, si inserisce non per produrre un evento naturalistico vietato, che, cioè, altrimenti non si sarebbe verificato (e per questo l’agente è chiamato a risponderne), ma per impedire che si verifichi un evento naturalistico che, altrimenti, cioè senza l’intromissione ostativa della condotta comandata, si verifica, e ciò accade proprio perché quella condotta – il fattore causale – non ha svolto il suo ruolo per l’inerzia (o lo scorretto agire) del soggetto.
In questa categoria di reati, dunque, non basta tenere una condotta che si inserisca nella normale catena causale, sfruttando le condizioni preesistenti, coeve o successive, per deviare il corso degli accadimenti e produrre un evento diverso da quello che altrimenti si sarebbe verificato; occorre che la condotta comandata, inserendosi nel corso di quella catena causale già attiva – la quale, non modificata, porterebbe all’evento che il legislatore vuole sia scongiurato ed impedito -, sia capace, nel concreto, nel caso di specie, di conseguire quel risultato, l’impedimento dell’evento non voluto. Perché, se l’azione comandata dovesse invece risultare, sulla base di quel giudizio di prognosi postumo di cui si è detto sopra (con il ricorso alle “leggi di copertura”, preesistenti al giudizio ed utilizzate dal giudice perché facenti parte del patrimonio della società in cui opera), incapace di modificare il corso degli eventi, allora il rapporto di causalità (che è una componente del fatto di fattispecie e non dell’elemento subiettivo) non è verificato e ogni altra indagine risulta superfluo ai fini del giudizio penale.
4.4. Giova evidenziare, ai fini dell’indagine che qui deve essere svolta, come anche nella categoria di reati di cui ci si occupa il giudizio sul meccanismo causale (come dato efficiente rispetto all’evento) è impedito dall’intrusione, nello svolgersi degli accadimenti, di un “fattore” sopravvenuto (art. 41 comma 2 c.p.), di per sè capace ed idoneo a produrre l’evento lamentato in causa. Rilievo in sè di scarsa significanza (tenuto conto del dato normativo), se si accetta io regola, sopra enunciata, secondo la quale l’indagine sul condizionamento causale deve essere svolta in sede di verifica degli elementi oggettivi della fattispecie di reato in addebito e, quindi, prima di passare all’analisi della componente soggettiva.
4.5. Passando all’esame del caso di specie, va rilevato che dalla ricostruzione fornita dai Giudice del merito risulta chiaro come il dipendente, contravvenendo alle disposizioni del titolare del cantiere, si introdusse nel fabbricato in costruzione abusivamente utilizzando un varco della rete di recinzione mentre l’attività lavorativa era sospesa per chiusura notturna: inoltre, ancora più abusivamente, spostò, rendendolo inefficace, uno sbarramento che era stato opposto la sera precedente proprio per impedire l’accesso ai vano nel quale si affacciava il pozzo dell’ascensore, rimasto privo di protezione a causa della sistemazione della mattonata. Infatti, come bene si evidenzia nei ricorsi, nell’organizzazione del lavoro gli cantiere, era previsto che alla ripresa del lavoro, si sarebbe proceduto alla migliore sistemazione dei presidi di salvaguardia. Tali evidenti e macroscopiche violazioni ruppero il nesso di causalità tra la condotta dei ricorrenti, anche se, eventualmente, non conforme alla legge, e l’evento lamentato in causa (art. 41 comma 2 c.p.), posto che la violazione delle disposizioni imposte dai direttore del cantiere fu consapevole e volontaria ancorché non mirata alla produzione dell’evento. È verificata, per accertamento del giudice del merito, l’intromissione nel meccanismo causale, di un fattore di per sè idoneo ed efficiente alla produzione dell’evento, secondo il criterio sopra illustrato.
Deve, allora, affermarsi il principio, già altre volte proclamato dalla Corte, secondo il quale la condotta volontariamente violatrice delle disposizioni impartire dal datore di lavoro a fini di sicurezza eziologicamente collegata all’evento, elide il condizionamento causale tra l’eventuale inosservanza di disposizioni da parte del soggetto chiamato in causa e l’evento stesso, proprio perché questo è da riferirsi alla prima e immediata condotta.
4.6. Nel caso di specie, come ha bene posto in rilievo il Procuratore generale di udienza, la violazione della sopra enunciata regola è aggravata dalla considerazione che, in linea di massima e salvo specificità, la chiusura di un cantiere edile comporta l’inibizione a chiunque, che non sia espressamente autorizzato (ad es.: guardiano notturno), di penetrarvi. Invero, il cantiere-edile è da ritenersi luogo di elevato pericolo, posto che comprende manufatti in via di costruzione con esigenza di costante, sempre in fieri, adeguamento dei presidi antinfortunistici: è ben possibile che l’opera di adeguamento presidiario sia interrotta dallo scadere del tempo di lavoro e debbo essere ripresa il giorno lavorativo successivo, con la evidente conseguenza che, nell’intervallo, manchino le pur programmate protezioni. Ma, in tale situazione, è chiaro che il responsabile del cantiere e chiunque altro non possa essere chiamato a rispondere di un evento accaduto a chi volontariamente si sia introdotto nell’area del cantiere e abbia violato le disposizioni impartite, seppure implicitamente ma intuitivamente, da chi abbia il potere di disciplinare l’attività lavorativa.
Concorre, quindi, alla decisione di annullamento senza rinvio della sentenza impugnato, la regola secondo la quale il datore di lavoro e i suoi collaboratori non possono essere chiamati a rispondere di eventi lesivi occorsi a chi, violando le disposizioni impartite da chi abbia il potere-dovere di organizzare e disciplinare un cantiere edile, si introduca nell’area di cantiere, violando consapevolmente quelle disposizioni.
5. Il secondo mezzo di annullamento rimane assorbito nella decisione di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto addebitato ai soggetti chiamati a rispondere dell’evento lesivo lamentato in causa non sussiste per difetto del nesso di causalità tra condotta ed evento. […]