Corte di Cassazione, Sez. 5, Sentenza n. 27189 del 2014, dep. il 22/12/2014

[…]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Agenzia delle Entrate ricorre per cassazione avverso la sentenza 32/18/09 del 24.2.09 con la quale la CTR Toscana, rigettandone l’appello, ha confermato la sentenza di primo grado che su ricorso di […] aveva dichiarato la illegittimità degli avvisi di mora notificati al medesimo nella sua qualità di socio della s.n.c. […] relativi ad un debito tributario oggetto di distinti avvisi di accertamento notificati alla società per gli anni 91, 92, 93 e 94. La CTR ha motivato il rigetto del gravame sulla base della considerazione che, essendo stati i pregressi avvisi di accertamento notificati alla società quando questa a seguito della mancata ricostituzione della pluralità dei soci, “non esisteva più”, essi “non dovevano essere notificati alla società non più esistente, bensì ai singoli ex soci della società di persone, unici legittimati passivi” e che, essendo nella specie il […] da tempo receduto dalla società, egli non poteva essere a conoscenza né delle notifiche né del contenuto degli atti notificati alla società”, in tal modo versando nella condizione di non potere essere “più in grado di impugnare nel merito i predetti atti e, quindi, di esercitare il proprio diritto di difesa”. Il mezzo oggi proposto è affidato a due motivi di ricorso. Si sono costituiti tardivamente la parte e l’agente della riscossione. L’Agenzia impugnante ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE

2.1. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia lamenta ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. la violazione degli arti. 2272, 2290, 2291 e 2293, nonché dell’art. 19 Dig. 546/92 in ragione del fatto che, contrariamente a quanto affermato dal giudice territoriale, “l’atto formale di cancellazione di una società dal registro delle imprese [. ..], così come il suo scioglimento con conseguente instaurazione della fase di liquidazione, non determinano l’estinzione della società stessa ove non siano esauriti tutti i rapporti giuridici facenti capo alla medesima”, di talchè correttamente gli atti impositivi sono stati notificati alla società.
2.2. Il motivo è fondato.
L’assunto fatto proprio dalla CTR secondo cui a seguito della mancata ricostituzione della pluralità dei soci, la società “non esisteva più”, è invero viziato in punto di diritto sotto più profili. Esso cozza intanto contro il diritto scritto laddove pretende di inferire che la mancata ricostituzione della pluralità dei soci determini l’estinzione della società o, come la CTR, preferisce dire con linguaggio estraneo alle fonti, che la società “non esiste più”; mostra poi di prescindere dall’elaborazione operata dal diritto vivente in tema di scioglimento e di estinzione della società, quando dal primo pretende di far discendere il secondo o di dire, come si è visto, che la società “non esiste più”; ed è infine trascura di occuparsi delle ricadute interpretativa che la novella societaria del 2003, pur non interessando il campo delle società di persone, ha comunque prodotto al suo interno riguardo alla materia da essa affrontata.
2.3. Il primo errore si materializza in concomitanza con il disposto dell’art. 2272 – c.c. reso applicabile nella specie dall’art. 2308 c.c. – a mente del n. 4 del quale “la società si scioglie … 4) quando viene a mancare la pluralità dei soci, se nel termine di sei mesi questa non è ricostituita”. La mancata ricostituzione della pluralità dei soci nel termine di sei mesi, pur concernendo un elemento necessario del contratto di società ed un tempo, prima che nel nostro ordinamento facesse il suo debutto la figura della società che si costituisce per atto unilaterale con l’art. 3 D. lg. 88/93, emanato in attuazione della direttiva 89/667, pure della nozione stessa di società, dunque, in base al testuale dettato di questa norma non produce alcun effetto sulla permanenza in vita della società, non ne determina in particolare l’estinzione, ma ne comporta unicamente lo scioglimento ovvero che essa, attraverso il procedimento di liquidazione, che fa seguito all’avverarsi di una delle cause di scioglimento previste dall’art. 2272 c.c., come avverte l’art. 2274 c.c. (“Avvenuto lo scioglimento della società, i soci amministratori conservano il potere di amministrare, limitatamente agli affari urgenti, fino a che siano presi i provvedimenti necessari per la liquidazione”), liquidi il proprio patrimonio, adempia i debiti sociali (art. 2280 c.c.) e ripartisca l’eventuale residuo attivo tra i soci (art. 2282 c.c.). Solo una volta che i liquidatori abbiano proceduto al compimento di queste operazioni e, nel caso specifico, abbiano predisposto il bilancio finale di liquidazione (art. 2311, comma primo, c.c.), lo abbiano depositato presso il registro delle imprese e questo sia divenuto definitivo per difetto di opposizione da parte dei soci (art. 2311, comma secondo, c.c.) potrà essere chiesta la cancellazione della società dal registro delle imprese (art. 2312, primo comma, c.c.) e solo allora sarà lecito interrogarsi — ancora oggi – sulla sua sorte e chiedersi in particolare se essa continui ad esistere o non esista più. Erra, dunque, la CTR nell’affermare che in presenza di un evento che determini la scioglimento della società, qual’è nella specie la mancata ricostituzione della compagine sociale nella sua composizione a più teste, la società semplicemente venga meno e la massa dei rapporti attivi e passivi che ad essa facevano capo prima dello scioglimento venga a perdere il proprio originario centro di imputazione.
2.4. Questo primo rilievo è motivo per constatare anche il secondo errore di diritto che inficia in parte qua il pronunciamento dei giudici di appello, poiché, se il verificarsi di una causa di scioglimento non comporta l’estinzione dell’ente societario, ma solo il suo avviamento verso la liquidazione e solo allora come detto potrà affrontarsi il tema della sua estinzione, nondimeno va detto che, secondo un consolidato insegnamento di dottrina e giurisprudenza divenuto ius receptum, lo scioglimento, qualunque ne sia la causa, non altera l’individualità dell’ente societario come autonomo soggetto di diritto, non ne determina, in una parola, l’estinzione. Osservava già la sentenza 11.6.1968, n. 1849 di questa Corte, peraltro riprendendo un opinione che aveva propaggini giurisprudenzali più risalenti, che “sia per il vigente codice civile, sia per l’abrogato codice di commercio del 1882 (art. 190), la società di capitali, come quelle di persone, con lo scioglimento entrano nella fase della liquidazione, durante la quale continua ad esistere con la stessa individualità, struttura ed organizzazione, ma con una ristretta capacità attesa la modificazione dello scopo che non è più quello dell’esercizio dell’impresa, ma quello della liquidazione”. Lo scioglimento — lo si è ribadito ancora di recente a riprova che l’opinione ricorre nel tempo senza soluzione di continuità – di una società in nome collettivo “non comporta né l’estinzione della società, la quale continua ad esistere sia pure sostituendo lo scopo liquidatorio a quello lucrativo” (18964/13). Anche qui è dunque riconoscibile l’errore in cui è incorsa la CTR con la sentenza impugnata, vero che, contrariamente a quanto da essa affermato, lo scioglimento non immuta la natura del soggetto societario sino a credere che, allorché questo si verifichi in quanto non venga ricostituita nel termine del semestre la pluralità dei soci, la società cessi puramente e semplicemente di vivere e non esista più; perché, ben diversamente da ciò, la società pur se sciolta e pur se in fase di liquidazione continua ad esistere e ad operare, quantunque non già per il perseguimento del proprio scopo iniziale ovvero per la realizzazione del proprio oggetto sociale, ma solo ai fini di liquidare le proprie attività e le proprie passività.
2.5. Un terzo errore di diritto la sentenza in disamina consuma pronunciandosi nei riferiti termini benché il quadro di riferimento normativo risulti profondamente influenzato dalle novità che la riforma, oramai non più recente, del diritto societario maggiore ha prodotto nella nostra materia stabilendo il principio in forza del quale la cancellazione della società dal registro delle imprese comporta hic et inde l’estinzione pure dell’ente societario come autonomo soggetto di diritto, intendendo tal modo attribuire alla formalità della cancellazione la stessa efficacia costitutiva che è propria della formalità dell’iscrizione in esso. Sebbene non sia questa la sede per ripercorrere la vicenda assai tormentata della cancellazione della società dal registro dalle imprese, la conclusione a cui sono pervenuti i giudici di appello, affermando che la società sciolta non esiste più, denuncia oltre ad una certa confusione concettuale, anche una negligente considerazione dello stato dell’arte al tempo della decisione, perché, se forse sarebbe stato pretendere troppo che i giudici di appello si ponessero la questione che poi ha richiesto l’intervento delle SS.UU. 22.2.2010, n.4060, certo non avrebbe dovuto loro sfuggire non solo che lo scioglimento non aveva — e non ha – alcun effetto estintivo in danno della società, ma che, all’epoca, ciò che da parte loro si pretendeva di argomentare con riferimento allo scioglimento non era neppure sostenibile alla luce della corrente interpretazione giurisprudenziale della cancellazione, essendo univoco indirizzo in proposito che “la cancellazione della società dal registro delle imprese non determina la sua estinzione, qualora siano ancora pendenti rapporti giuridici o contestazioni giudiziali” (25472/08), poiché la sua estinzione, è determinata, “soltanto dalla effettiva liquidazione dei rapporti giuridici pendenti che alla stessa facevano capo, e dalla definizione di tutte le controversie giudiziarie in corso con i terzi per ragioni di dare ed avere” (7792/00; 12553/04; 646/07).
3.1. Violazione di legge ex art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. in relazione agli artt. 2290, 2291, 2293 , nonché dell’art. 19 Dig. 546/92 si deduce con il secondo motivo risultando errato il convincimento espresso dalla CTR in ordine al diritto di difesa del socio receduto, che risulterebbe leso nel caso in cui gli atti impositivi riguardanti la società non fossero notificati pure a lui, dovendo invece ribadirsi “che con la notifica dell’avviso di mora non viene per ciò solo pretermesso alcun diritto difensivo del contribuente dal momento che l’avviso di accertamento ben avrebbe potuto impugnare unitamente all’avviso di mora”.
3.2. 11 motivo è fondato
Fermo invero che per il dettato dell’art. 2290 “nei casi in cui il rapporto sociale si scioglie limitatamente a un socio, questi o i suoi eredi sono responsabili verso i terzi per le obbligazioni sociali fino al giorno in cui si verifica lo scioglimento”, questa Corte, proprio in relazione ad una vicenda analoga a quella esaminata dai giudice del merito, ha già chiarito con sentenza 2.2.2007, n. 2283 che “nessuna norna speciale tributaria deroga alla disciplina generale del codice civile in tema di responsabilità per le attività sociali per cui l’Amministrazione finanziaria, in base alle norme comuni, può rivolgersi a tutti i soci, i quali, quindi, anche nei confronti del Fisco hanno responsabilità solidale e illimitata, sia pure sussidiaria” e che “la responsabilità del socio illimitatamente responsabile, il quale sia receduto dal contratto societario, a norna dell’art. 2290 cod. civ. riguarda tutte le obbligazioni sociali insorte prima del recesso, ivi comprese, oltre a quelle di origine negoziale, le obbligazioni (quali quelle tributarie) aventi la propria fonte direttamente nella legge”. Nulla perciò si oppone sulla base dei richiamati principi di diritto a che il socio, pur se receduto, sia attinto in executivis direttamente con la notifica dell’avviso di mora, dovendo egli rispondere in ragione della responsabilità illimitata che assume con il suo ingresso in società delle obbligazioni sociali che fanno capo a quest’ultima anche in forza di un titolo che ha fonte nella legge. In particolare non è ravvisabile il vulnus invece riscontrato dalla CTR, dell’avviso che a tutela del diritto di difesa del socio, receduto e quindi estraneo alla società, la notificazione dell’avviso di mora avrebbe dovuto essere accompagnata dalla notifica dell’avviso di accertamento indirizzato alla società, atteso che in un simile contesto, come ha ancora chiarito il citato precedente, “la legge attribuisce all’avviso di mora una duplice funzione: l’una (primaria e necessaria) di atto equivalente al precetto nel processo di esecuzione forzata e l’altra (eventuale e secondaria) di atto equivalente a quelli di imposizione tributaria. Siffatta funzione viene assunta dall’avviso di mora in tutte le ipotesi in cui esso sia – tra gli atti della serie procedimentale amministrativa che si snoda a partire dall’avviso di accertamento e di liquidazione e che, passando a volte per un autonomo avviso di liquidazione e, poi, per la cartella di pagamento, potrebbe concludersi con l’avviso di mora – il primo atto di gestione del rapporto tributario sostanziale ad essere reso conoscibile al contribuente”. In questa veste l’avviso di mora diviene perciò succedaneo di tutti gli atti presupposti eventualmente non notificati, con la conseguenza che, così come questi possono divenire inoppugnabili allorché non siano fatti oggetto di opposizione e rendere definitiva nei suoi termini costitutivi la pretesa tributaria che sia portata a conoscenza del socio solo con la notifica dell’avviso di mora, per le medesime ragioni, ma all’inverso, l’impugnazione dell’avviso di mora può divenire anche lo strumento per contestare la pretesa originaria, essendo in facoltà dell’opponente far valere ai sensi dell’art. 19, comma 3, D,1g. 546/92 il proprio diritto di difesa impugnando insieme all’atto notificatogli anche quelli pregressi la cui notificazione sia stata omessa o risulta altrimenti irregolare. 4. Il ricorso va dunque accolto […]