Corte di Cassazione, Sez. II, 25-02-1987, n. 2003, dep. il 25.02.1987

[…]

Svolgimento del processo

Con ricorso del 5.6.1979 al Presidente del Tribunale di Torino, […] chiedeva la separazione della moglie […], con la quale era sposato dal 28.8.1966 e dalla quale aveva avuto un figlio […] esponendo che la moglie stessa, dopo aver intrecciato una relazione con un altro uomo, aveva abbandonato la residenza familiare portando seco il figlio. Esperito vanamente il tentativo di conciliazione, ed autorizzati i coniugi a vivere separati, il [….], in prosieguo di causa, chiedeva la separazione giudiziale con addebito alla moglie, e chiedeva altresì la revoca per ingratitudine di talune attribuzioni patrimoniali effettuate in favore della moglie, nelle quali dovevano ravvisarsi delle donazioni. La […], costituitasi, chiedeva a sua volta l’esclusivo addebito della separazione al marito, l’affidamento del figlio, l’attribuzione di un assegno di mantenimento, e la reiezione della domanda di revoca delle donazioni, con condanna del marito alla restituzione dei mobili che fossero risultati di sua pertinenza. In particolare, la […] sosteneva che la convivenza era divenuta intollerabile per la violenza e la volgarità del marito e per i continui tentativi dello stesso di intrattenere rapporti amorosi con altre donne, tra cui la sua stessa suocera.

Con sentenza del 27.4.1981, il Tribunale addebitava il fallimento del matrimonio ad entrambi i coniugi, considerando provati sia la relazione adulterina intrattenuta dalla […] con tale […], sia il fatto che il […] avesse allungato le mani (sic) su altre donne a lui vicine, tra cui la stessa suocera ed un’amica di famiglia. Il figlio veniva affidato alla madre, ed era disposto a carico del […] un contributo per il mantenimento dello stesso. La domanda di revoca delle donazioni veniva respinta, essendosi ritenuto che qualsiasi apporto di denaro o di mobile del […] verso la […] doveva intendersi quale doveroso riconoscimento del notevole contributo fornito dalla moglie – casalinga alla famiglia. Venivano quindi dichiarati di proprietà comune gli arredi dell’alloggio coniugale ed i depositi bancari intestati ad entrambi.

Su appello del […], a cui la […] ha resistito, la Corte d’Appello di Torino, con la sentenza in data 18.2.1983, qui denunziata, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha dichiarato che la separazione è addebitabile esclusivamente alla […], diversamente regolando il regime delle visite del padre al figlio, sempre affidato alla madre; ha revocato per ingratitudine la donazione fatta dal marito alla moglie di metà della proprietà di determinati immobili siti in […]; ha condannato la […] a restituire al […] le somme prelevate sul conto corrente Bancario comune, in più della metà; ha attribuito al […] l’esclusiva proprietà dei mobili arredanti l’alloggio coniugale, ed ha posto tutte le spese di causa a carico della […] confermando nel resto la sentenza impugnata.

I giudici Torinesi hanno così motivato la loro decisione, per quanto in questa sede ancora interessa:

-Devesi rilevare che la […] non ha proposto appello contro la sentenza del Tribunale. Questa è quindi passata in giudicato per quanto concerne l’addebito alla stessa […] del fallimento del matrimonio a causa delle gravi violazioni ai doveri matrimoniali contestatale dal marito.

-Per quanto attiene al comportamento del […], allo stesso la moglie addebita un’irrefrenabile e quasi psicopatica attrazione sessuale verso le altre donne, che si sarebbe concretizzata in una serie di atti di libidine compiuti o tentati nei confronti di numerose donne, tra cui una vicina ad amica di casa ed addirittura la suocera. Ma queste accuse sono fondate su due sole testimonianze quelle, appunto, della vicina e della suocera non appaiono credibili, per tutta una serie di illogicità e di contraddittorietà che le caratterizzano.

La […] ha anche accusato il marito di violenze nei suoi confronti, ma anche queste doglianze sono rimaste del tutto sprovviste di prove.

In questa situazione, devesi concludere che la separazione è addebitabile esclusivamente al comportamento colpevole della moglie.

-Per quanto attiene ai rapporti patrimoniali tra i coniugi, il Tribunale ha ritenuto per un verso che non vi sarebbe stata, tra gli stessi, alcuna donazione, ne diretta, né indiretta, e per altro verso che non sarebbe configurabile una ingratitudine della moglie verso il marito, dal momento che la causa del fallimento del matrimonio era addebitata ad entrambi. Ora, quest’ultima affermazione non regge più, una volta che si è stabilito che la separazione va addebitata esclusivamente alla moglie. Ma, a parte ciò, l’ingratitudine e l’addebitabilità non sono fatti connessi tra di loro. L’ingratitudine presuppone, a parte i fatti di indole penale o quelli dolosi di grave pregiudizio all’altro coniuge, la sussistenza di un’ingiuria grave del donatario verso il donante; e devesi escludere che ogni fatto implicante l’addebitabilità della separazione contenga in sé una ingiuria grave verso l’altro coniuge.

-Venendo al caso di specie, peraltro, può certamente affermarsi che la […] ha compiuto ai danni del marito una ingiuria grave, intrecciando una relazione extraconiugale, sfociata in una fuga da casa divenuta di pubblico dominio, e seguita da strascichi di natura penale per essere costretto il […] a difendersi in Pretura da attacchi diffamatori rivoltigli dall’amante della moglie Una simile condotta è certamente stata gravemente lesiva dell’onorabilità e del decoro del coniuge.

-Per quanto concerne la sussistenza della donazione, occorre rilevare che può escludersi che la […] abbia sborsato alcunché per l’acquisto degli immobili in […] che le furono cointestati con i rogiti […]; ciò è stato espressamente affermato anche dal Tribunale. Né può dirsi che non possa esistere donazione ove questa sia un “doveroso riconoscimento” dei meriti del beneficiario (nella specie, dell’attività di casalinga della […]) perché ciò porterebbe a confondere la causa della donazione con i suoi motivi; d’altra parte, non ricorrerebbero gli estremi di una donazione remunerativa ex art.770 c.c.,perché in quest’ultima il movente che spinge a compiere l’atto di liberalità deve rivestirsi di particolare importanza che ciò non è assolutamente emerso nel caso di specie. Quanto poi al fatto che l’attività di casalinga della […] sia traducibile in termini economico-finanziari tali da costituire un personale apporto in aggiunta ai redditi del marito, sufficiente ad escludere ogni ipotesi di cointestazione gratuita degli immobili, deve rilevarsi che non sono emersi dagli atti gli estremi di una situazione siffatta. Invero, a tale fine dovrebbe dovrebbe dimostrarsi una notevole proporzione tra i sacrifici compiuti dalla casalinga ed il denaro che si reputa raggranellato con questa forma di risparmio indiretto, ed occorrerebbe anche dimostrare che non vi è stato da parte della casalinga solo la prestazione di una attività normale, ma quella di una attività eccezionale. Ora, di tutto ciò non v’é traccia alcuna in atti.

-La riprova di ciò si deduce dal fatto che i due acquisti furono effettuati nell’arco di un anno, ed implicarono la spesa totale di 16 milioni (al prezzo ufficialmente dichiarato, certamente inferiore al reale) laddove una simile cifra (nel 1975) non poteva certo rappresentare il frutto dei risparmi dovuti al mancato peso di una domestica o di un aiuto casalingo od a consimili risparmi realizzabili da una casalinga; ciò mentre per contro, risulta che il marito aveva in quel periodo dei buoni redditi di lavoro, costituenti l’unica fonte accertata di sostentamento della famiglia. Dal canto suo, La […] risulta di aver contribuito direttamente al bilancio familiare, dell’inizio del matrimonio, con una liquidazione irrisoria per fine rapporto di lavoro (L.76.000), e con contributi paterni pari nel complesso a “circa un Milione”; una piccola eredità ricevuta dalla donna fu immediatamente spesa dalla stessa per acquistarsi una automobile (oltre al resto, in parte pagata dal marito).

– Per altro verso, è del tutto manifesto lo spirito di libertà che spinse il […] ad intestare alla moglie la comproprietà degli immobili come sopra acquistati, e pagati solo con denaro di lui. Né rileva, ai fini della revoca di tale donazione per ingratitudine ,il fatto che si sia trattato di donazione indiretta.

-Dovendosi quindi pronunziare la revoca delle dette donazioni per ingratitudine, ex art.801 c.c., occorre precisare che nelle domande dell’appellante si chiede che la pronunzia stessa sia riferita alla metà “degli immobili siti in […]” di cui al rog. […]. Quest’ultima specificazione pare limitare la domanda ad una sola partita di immobili (giacché i rogiti furono,come si è visto, due […]). Ma dal complesso degli atti risulta in modo inequivocabile che l’attore ha voluto sempre riferirsi a tutti gli immobili siti in […], ed intestati in comune ai due coniugi; di conseguenza la limitazione contenuta nelle conclusioni deve ritenersi dovuta a mera materiale omissione. La portata della revoca della donazione va quindi estesa agli immobili oggetto dei due rogiti in precedenza ricordati.

-Le conclusioni che si sono raggiunte in relazione agli immobili non possono invece essere estese alle somme versate sul conto corrente bancario intestato ad entrambi i coniugi. Invero, la cointestazione di un conto corrente rende manifesta la intenzione delle parti contitolari del conto di costituire sulle somme versate o versande un egual diritto alla loro disponibilità, e quindi a farle proprie in funzione di una gestione del denaro nell’interesse della famiglia. Se dunque alla detta presunzione si aggiungono gli effetti propri del regime della comunione legale, si deve concludere che la cointestazione del conto corrispondeva ad una autentica contitolarità dei diritti sulle somme ivi versate. Da ciò deriva che in costanza di matrimonio le somme prelevate possono presumersi usate per il menage familiare, e che nessuno nessuno dei coniugi sarà tenuto a renderne conto all’altro. Ciò non si verifica, invece,laddove sia accertato che una determinata somma- di notevole importo- sia stata ,in tempo anteriore e prossimo alla separazione, prelevata dal conto comune, e dirottata su di un conto personale, ciò che la […] ha fatto, versando su di un conto proprio la somma di L.10 milioni, prelevata dal conto comune. Ne deriva che la metà di tale somma spetta al […] poiché, alla data del prelevamento in questione, il conto presentava un saldo attivo di circa 14 milioni, alla […] ne competeva solo la metà, per cui essa dev’essere condannata a versare al […] la differenza, con gli interessi bancari correnti all’epoca dei fatti.

-E’ stato dimostrato in atti che i mobili che arredano l’alloggio coniugale sono stati pagati esclusivamente dal […] con denaro proprio. Non vi è quindi ragione di parlare, a questo riguardo di comproprietà per parti uguali, tanto più se si considera che gli acquisti furono operati quando ancora vigeva il vecchio diritto di famiglia, e quindi il regime della separazione dei matrimoni.

-Anche se la sentenza impugnata è stata riformata solo parzialmente, la […] risulta sostanzialmente soccombente. Da ciò deriva la sua condanna alle spese.

Avverso la detta sentenza, la […] ha proposto un ricorso per Cassazione, articolato in quattro mezzi di annullamento, illustrati da memoria. Il […] resiste con controricorso.

Motivi della decisione

Col primo mezzo, la ricorrente denunzia applicazione e falsa applicazione dell’art.151 c.c.,nonché motivazione insufficiente e contraddittoria (art.360,nn.3 e 5 c.p.c.) Sostiene la […] che la Corte d’appello, dovendo risolvere il problema dell’addebitabilità della separazione. ha rivolto la propria indagine non già ad accertare se i fatti riferiti dai testi configurassero un comportamento volontario del marito contrario ai doveri nascenti dal matrimonio, ma a verificare se essi fossero di per sé rivelatori ed indicativi di un’alterazione, a sfondo quasi psicopatico, implicante un’irrefrenabile ed abnorme attrazione sessuale verso tutte le donne e l’attitudine ad infastidirle ed aggredirle. Questa erronea impostazione del problema avrebbe indotto la Corte a valutare erroneamente le deposizioni testimoniali, ed a dichiararne l’inattendibilità.

La censura non è fondata. Invero, i giudici d’appello sono proprio (ed esattamente) partiti dal presupposto che era necessario accertare se il […] avesse o meno compiuto atti contrari ai doveri nascenti del matrimonio. Preso atto delle accuse rivolte dalla […] al […], e qualificate tali accuse come relative a fatti che avrebbero dimostrato non soltanto il compimento degli atti contrari ai doveri sorgenti dal matrimonio, ma anche una situazione più grave, e cioé l’esistenza della sopra menzionata alterazione a fondo psicopatico (cioé che, a maggior ragione,avrebbe reso la convivenza dei coniugi impossibile, per motivi addebitabili al marito), i giudici torinesi hanno analizzato le prove raccolte per controllare se potesse realmente considerare provato che il […] avesse compiuto gli atti di cui sopra. Ed hanno concluso per la soluzione negativa, sulla base di un esame attento ed approfondito delle illogicità e contraddittorietà ravvisabile nelle deposizioni delle due tesi, esame sorretto da una motivazione precisa, minuziosa, e del tutto appagante (e, per tutto ciò, assolutamente incensurabile in questa sede). Il fatto che il comportamento addebitato al […] fosse da qualificare in un modo piuttosto che in un altro non ha minimamente influito sullo accertamento di fatto, che sta a monte di tale valutazione, e che concerne il punto di sapere se veramente il […] aveva tenuto il comportamento in questione.

Col secondo mezzo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt.769 e 809c.c., nonché motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria (art.360, nn.3 e 5 cpc). La […] sostiene che ha torto i giudici di appello avrebbero parlato, a proposito della cointestazione alla moglie degli immobili siti in […], di donazione indiretta. Invero, in primo luogo, non sarebbero stati indicati agli elementi do prova da cui risultava che solo il […] aveva recato concreti apporti al conto corrente comune, da cui erano state prelevate le somme usate per i detti acquisti, e la Corte, immotivatamente e senza alcuna base, avrebbe qualificato di “notevoli” gli apporti del […]. Ugualmente immotivata sarebbe l’esclusione di ogni concreto apporto al suddetto conto corrente da parte della moglie, pur essendosi riconosciuto che la stessa aveva comunque procurato per parte sua alcune somme. In particolare,sarebbe contraddittoria la motivazione addotta per negar rilevanza all’eredità di Lire 2.500.000 conseguita dalla […]: si citano infatti due testi, uno dei quali dice che la somma fu utilizzata dalla donna per comperarsi un’auto, mentre l’altro teste sostiene che la detta auto fu invece pagata interamente dal marito. Sempre a torto sarebbe stata negata ogni rilevanza economica del lavoro casalingo compiuto dalla moglie,che per un verso sarebbe stato considerato di scarsa importanza, e per l’altro verso qualificato come doverosa ottemperanza agli imprescindibili doveri per lei nascenti dal matrimonio verso la casa e la famiglia (ciò ignorando del tutto la riforma operata dal nuovo diritto di famiglia, e l’evoluzione legislativa e giurisprudenziale che sempre più riconosce rilevanza e valutabilità economica di lavoro casalingo).

La ricorrente osserva poi, in subordine, che anche ad ammettere che fosse fondata la tesi della Corte d’Appello sugli apporti di somme al Conto Corrente, non per questo potrebbe parlarsi di donazione – sia pure indiretta. Mancherebbe,infatti, l’elemento dell’arricchimento del donatario. Invero, la […] – secondo la tesi sostenuta nella stessa sentenza – era autenticamente contitolare di diritti sulle somme portate dal conto corrente; ma,allora, essa aveva la piena disponibilità delle somme stesse, ed anche il diritto di farle proprie fino a concorrenza del 50%. Se quindi le somme in questione sono state utilizzate per l’acquisto di immobili, nessun arricchimento è derivato alla […] a seguito della cointestazione, al 50% degli immobili acquistati, senza che nulla, nella sua situazione economica, sia mutato.

Anche questa complessa censura non appare fondata. Per quanto attiene agli apporti dei due coniugi al conto corrente bancario dal quale furono prelevate le somme utilizzate per l’acquisto degli immobili, devesi rilevare innanzi tutto che si tratta di una valutazione di fatto, spettante al giudice del merito, ed adeguatamente motivata. invero, i giudici torinesi, anche se hanno positivamente indicato quali e quanti siano stati o contributi del […], hanno rilevato che solo il marito possedeva un reddito stabile e di più che discreta entità-circostanza questa che non è stata mai contestata, e che. anzi, è stata posta alla base della richiesta avanzata dalla […] di corresponsione di un grosso assegno di mantenimento a carico del marito. Per il resto, esattamente si è rilevato che l’importo della liquidazione per fine lavoro conseguito dalla […] fu del tutto insignificante, e che anche le piccole sovvenzioni che la stessa ottenne, nello arco di più di 10 anni, dal padre, appaiono di entità trascurabile a fronte delle somme occorse per pagare gli acquisti immobiliari (trattasi infatti di circa un milione, pari ad una media di L.100.000 all’anno, a fronte di un prezzo, dichiarato, di 16 milioni -essendo notorio di quanto le dichiarazioni di valore, per ragioni fiscali,si distanzino normalmente dalla realtà).Quanto all’eredità, ed alla sua utilizzazione per lo acquisto di un’auto, la Corte non si è affatto contraddetta;essa ha mostrato di dar credito, soprattutto, alla prima delle testimonianze secondo cui la […] utilizzò la somma per pagare buona parte del prezzo della automobile. Ma se anche si dovesse, invece, dar credito alla seconda che afferma che in realtà fu il […] a pagare interamente il prezzo della vettura la situazione non muterebbe: invero, il marito, per fare un regalo alla moglie, avrebbe speso buona parte del denaro che avrebbe potuto invece dedicare all’acquisto degli immobili, e l’ipotetico apporto della moglie non avrebbe avuto altro effetto che quello di ripristinare in parte la situazione che sarebbe esistita se il […] non le avesse regalato l’auto. Tutto ciò a prescindere dal fatto che l’eredità pervenne alla […] circa 2 anni dopo l’acquisto degli immobili in questione. Quanto poi al lavoro casalingo, la Corte non ne ha affatto negato la rilevanza economica. Al contrario, essa ha operato una esatta distinzione tra un lavoro casalingo normale, implicante una normale collaborazione alla gestione economica della famiglia, ed un lavoro casalingo eccezionale, implicante la possibilità di effettuare particolari risparmi, e quindi di accrescere il patrimonio della famiglia. (così come è uguale lecito distinguere tra l’attività lavorativa del marito che comporti un reddito semplicemente sufficiente al mantenimento della famiglia ed una attività eccezionale, implicante la possibilità di migliorare la situazione economica della famiglia stessa, e di incrementare il patrimonio). Su questa base, la Corte – con ineccepibile accertamento di fatto – ha contestato come non vi sia in atti la minima prova del compimento da parte della […], di un lavoro casalingo di carattere e valore speciale od eccezionale, e come debbasi quindi concludere che i soli apporti “eccezionali”, a cui può ricollegarsi l’acquisto degli immobili, siano quelli posti in essere dal marito.

Per quanto attiene ,poi,alla tesi subordinata concernente la mancanza di un arricchimento della pretesa donataria, devesi rilevare che la Corte d’Appello ha operato una implicita ma chiara destinazione tra le somme occorrenti per il normale andamento domestico che,anche se prelevate da uno solo dei coniugi, devono presumersi spese per il menage familiare, tanto che di esse non è necessario fornire un preciso rendiconto -ed i depositi di carattere eccezionale destinati a far fronte a spese del tutto estranee al normale menage. Se la contitolarità delle prime somme, pur in presenza di apporti finanziari di uno solo dei coniugi, si potrebbe giustificare in omaggio alla rilevanza economica del lavoro domestico,che la stessa ricorrente invoca, una simile giustificazione non può valere allorché si fuoriesca del tutto dal quadro del normale andamento delle spese domestiche, e ci si trovi di fronte a somme di importo assai ingente,in rapporto ai normali ordini di grandezza del bilancio familiare (e tale era appunto la considerazione che doveva farsi a proposito di una somma superiore ai 20 milioni, nel 1974 e nel 1975, in rapporto alla normale entità dei redditi delle spese di una famiglia di operai). In relazione a somme di entità tanto ingenti ed estranee al quadro del normale andamento economico familiare, non aveva più giustificazione parlare di contitolarità effettiva. In questo senso, la sentenza non è contraddittoria come sostenuto dalla ricorrente; e se la motivazione sul punto non è molto chiara ed abbondante, essa ben può essere integrata in questa sede, a norma dell’art.384 c.p.c. D’altra parte, la cointestazione di un conto corrente non significa necessariamente comproprietà delle somme ivi depositate, ma semplicemente pari facoltà dei due coniugi di usarle per le necessità familiari. A parte ciò, non esiste in atti alcuna seria prova del fatto che le somme usate per l’acquisto degli immobili siano state prelevate proprio da quel conto corrente, e che esso fosse già,all’epoca, congiuntamente intestato ai due coniugi. Né va dimenticato che l’acquisto fu effettuato ancora sotto la vigente del vecchio diritto di famiglia, in regime di separazione dei patrimoni; talché anche una ipotetica diversa considerazione, da parte dei giudici del merito, del regime delle somme depositate in banca ben potrebbe giustificarsi, in relazione al quadro tutt’affatto diverso in cui il conto corrente si situava nel 1975 e nel 1979.

Col 3° mezzo, la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art.801 c-c nonché insufficienza e contraddittorietà della motivazione (art.360,nn. 3 e 5 c.p.c.), censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto applicabile, anche nel campo dei rapporti tra coniugi, la disciplina della revoca delle donazioni per ingratitudine. La ricorrente osserva che lo art.801 c.c. è stato formulato in un’epoca in cui vigeva ancora il divieto delle donazioni tra coniugi, e che il suo dettato letterale non è stato aggiornato rispetto alla riforma del diritto di famiglia ed alla declaratoria di incostituzionalità della norma che prevede il detto divieto.

Ora la giurisprudenza dovrebbe riempire questo vuoto, tenendo conto della particolarità del vincolo che, in questi casi, lega il donante ed il donatario. Invero, in regime di parità tra i coniugi, la donazione dell’uno di essi all’altro non potrebbe implicare per la parte donataria dei particolari obblighi di gratitudine, tali da menomare la sua libertà e da porta in una posizione di subordinazione;in particolare, l’esistenza di una donazione pregressa non potrebbe certo impedire ad un coniuge di porre fine ad una convivenza divenuta intollerabile. E, una volta venuta meno la indissolubilità del matrimonio, ed abrogata la normativa che puniva l’adulterio come reato, non può non ritenersi che il tentativo posto in essere dall’uno dei coniugi di rifarsi una vita col la ricerca di un nuovo legame non potrebbe certo costituire un’espressione di ingratitudine nei confronti del donante. Mancherebbe quindi del tutto, nella specie,la ingiuria grave a tal fine occorrerebbe qualcosa di più, rispetto al semplice fatto di porre fine alla convivenza e di intrecciare un nuovo legame; e questo qualcosa di più non potrebbe certo consistere in comportamenti di terzi od in particolari condizioni ambientali.

Anche questa censura non è fondata.

Invero,nessuno pretende che il fatto di aver ricevuto in donazione, ed il conseguente dovere di “gratitudine”, metta il coniuge donatario in una posizione di subordinazione nei confronti del donante, al punto da menomare la sua libertà di comportamento, e, in particolare, il suo diritto a porre fine ad una convivenza divenuta intollerabile. La ricorrente,nella sua doglianza, non afferra esattamente la natura e la portata del problema da risolvere. La libertà di comportamento dei coniugi – che non è qui in discussione – implica senza dubbio il diritto e seguire le regolari vie previste dalla legge per porre fine alle convivenze intollerabili; ma non implica anche il diritto di infliggere all’altro coniuge gravi ingiurie. Si può ben porre fine ad una convivenza in modo civile. Ove il comportamento del coniuge donatario sia tale da compromettere gravemente l’onorabilità, la reputazione, il decoro, del coniuge donante, l’ingratitudine che ne segue non è legata al fatto di aver posto fine alla convivenza, ma al fatto di avere arrecato col proprio comportamento un’ingiuria grave, che non era di per sé necessaria per porre fine alla detta convivenza. E’ sulla base di questa stessa logica che la legge sul nuovo diritto di famiglia, pur avendo abolito la nozione di separazione “per colpa”,ha tuttavia mantenuto quella di separazione “addebitabile” all’uno od all’altro dei coniugi, e da questa addebitabilità fa discendere delle conseguenze giuridiche.

La Corte di Torino ha fatto esatta applicazione di questi principi: essa non ha ricollegato la dichiarata ingratitudine della […] al puro e semplice fatto di aver posto fine alla convivenza e di aver intrecciato un nuovo legame, ma al modo ingiurioso con cui tali fatti si sono verificati. Per il resto, è evidente che la valutazione sulla sussistenza , nel caso di specie,dell’ingiuria grave, appartiene alla competenza del giudice del merito, e non può esser sindacata in sede di legittimità se non per gravi vizi della motivazione. Ma vizi del genere, nel caso di specie, non sussistono. La ricorrente lamenta che la Corte abbia preso in considerazione alla stregua di colpe della […] l’esistenza di particolari condizioni ambientali e dei comportamenti di terzi, e denunzia l’illogicità di un simile procedimento logico; ma la censura non è fondata. Invero, è a tutti noto che, in un ambiente ristretto e provinciale,determinati fatti, che potrebbero passare inosservati per la generalità dei consociati in un ambiente più vasto e meno pettegolo, assumono una rilevanza del tutto particolare.

Ora, una persona che viva in un siffatto ambiente ristretto, non può non tener conto della sua esistenza, e delle conseguenze che ne discendono, e deve modulare di conseguenza i suoi comportamenti. In termini concreti, la […] non poteva ignorare il fatto che, in un ambiente chiuso e pettegolo quale quello in cui essa viveva, l’abbandono clamoroso del marito e dei figli e la fuga con un amante avrebbe avuti una grande risonanza, giungendo anche a compromettere la reputazione del marito. Quanto poi ai comportamenti dei terzi nella specie, quelli del nuovo convivente della […], che ha diffamato pubblicamente il […], costringendolo a reagire con un pubblico processo è ben vero che essi, di norma, non sono di per sé rilevanti; ma nella specie lo sono divenuti in quanto posti in essere da persona alla quale la […] ha dimostrato e dimostra totale solidarietà, anche e proprio in riferimento ai comportamenti in questione. Anche in questo caso,quindi, la valutazione della Corte si riferisce in realtà a comportamenti della […], e non di terzi.

Col quarto ed ultimo motivo, la […] denunzia violazione e falsa applicazione dell’art.112 c.p.c. Invero, la sentenza ha pronunziato la revoca della donazione degli immobili cointestati alla ricorrente con due rogiti […], mentre l’appellante aveva chiesto tale revoca solo al riferimento al primo dei citati rogiti. La Corte, rilevando che nelle conclusioni del […] si faceva riferimento ad uno solo degli atti di acquisto, mentre l’insieme delle argomentazioni si riferiva invece a tutti e due, ha ritenuto che sia stato commesso da parte dell’appellante un errore materiale .

Ma nel caso di specie – secondo la […] – di ciò non potrebbe parlarsi; non ci si trova di fronte, infatti, ad una domanda formulata nell’atto introduttivo del giudizio, ed erroneamente non risposta nelle conclusioni definitive, ma di una domanda che, nel corso di tutto il giudizio di appello, non è mai stata proposta.

D’altra parte, non potrebbe sostenersi che la domanda di revoca dell’una donazione implicasse logicamente anche quella dell’altra, trattandosi di domande del tutto autonome, implicanti distinti accertamenti (la donazione indiretta potrebbe esservi stata in un caso, e non nell’altro). I giudici torinesi sarebbero quindi incorsi nella violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato, e quindi del vizio di extrapetizione.

Anche quest’ultima censura non merita accoglimento. Invero, la giurisprudenza di questa Corte regolatrice è del tutto concorde nell’affermare che il giudice non deve, nell’interpretare le domande giudiziali, fermarsi alla sola prospettazione letterale di esse, e deve invece guardare al loro contenuto sostanziale (cfr.Cass.n.349 del 1980; Cass. n.2805 del 1981), che ben può essere implicitamente ed indirettamente desunto dalle deduzioni e dalle richieste delle parti (Cfr. Cass.n.3640 del 1981; Cass. n. 6848 del 1982; Cass. n.5074 del 1983; Cass.n.6942 del 1983; Cass. n.1922 del 1984) . La giurisprudenza ha poi ribadito che l’interpretazione della domanda giudiziale rientra nella competenza esclusiva del giudice del merito ( Cfr. Cass. n.5074 del 1983).

Nella specie, la Corte di Torino ha chiaramente posto in risalto come la difesa del […] avesse manifestato, nel caso di tutta la causa, la volontà evidente di domandare la revoca di entrambe le donazioni; ciò emerge – secondo i giudici del merito – da tutto il tenore delle difese, e dalla stessa costante mediazione, negli scritti difensivi, di tutti e due i rogiti – cosa che sarebbe stata del tutto inutile, se solo per uno di essi si fosse voluta chiedere la revoca della donazione. In concreto, nella sentenza sono citati i vari passi delle difese del […] da cui si può desumere quale fosse la sua reale intenzione; la Corte d’Appello ha quindi condotto in modo corretto l’interpretazione della domanda, sostenendo la conclusione raggiunta con una motivazione più che adeguata.

Per altro verso, non può parlarsi di decadenza dalle domande ed eccezioni non riproposte in appello, ex art.346 c.p.c., per il fatto che – come sostiene la […] – la domanda relativa al secondo rogito non sarebbe mai stata riproposta nel giudizio d’appello. Come la domanda iniziale introduttiva del giudizio,così la domanda giudiziale che introduce l’appello deve essere interpretata con riferimento non alle espressioni letterali usate, ma alla reale volontà manifestata nel complesso delle difese, quale ha potuto anche percepirla l’avversario. La Corte di Torino ha proprio effettuato, in modo puntuale e preciso, questa interpretazione giungendo alla conclusione, ben motivata, che in realtà il […] aveva inteso,proponendo l’appello sul punto, riferitosi a tutti e due i rogiti.

Disatteso anche l’ultimo motivo, il ricorso deve essere rigettato nel suo complesso.

[…]