Con la Sentenza di seguito riportata, la S. C. chiarisce che, ove manchi l’anteriore trascrizione dell’accettazione dell’eredità, la vendita di un bene ereditario da parte dell’erede apparente non è opponibile all’erede vero che abbia trascritto l’accettazione posteriormente alla vendita. La mancata trascrizione dell’accettazione dell’eredità è stata ritenuta circostanza decisiva sia con riferimento all‘art. 534 c.c., comma 3 che all’art. 2652 c.c., n. 7.
[…]
Con il primo motivo i ricorrenti, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 534 c.c., comma 3, art. 2652 c.c., n. 7, art. 2648 c.c., comma 3, artt. 467 e 477 c.c., censurano la sentenza impugnata per aver ritenuto necessaria la trascrizione dell’acquisto “mortis causa” dell’erede apparente (che a suo avviso deve in ogni caso precedere la trascrizione della domanda giudiziale di “petitio hereditatis” ai sensi dell’art. 534 c.c., comma 3 o deve precedere di almeno cinque anni la domanda stessa ai sensi dell’art. 2652 c.c., n. 7); in tal modo il giudice di appello ha dissentito da autorevoli pronunce di questa Corte (Cass. 15-3-1980 n. 1741 e Cass. 21-3-1989 n. 1402) e dal convincimento di parte della dottrina, che avevano ravvisato nell’art. 2652 c.c., n. 7, una ipotesi di pubblicità sanante sia a favore del terzo acquirente dagli eredi apparenti sia a favore dell’avente causa dal predetto terzo acquirente, qualora siano trascorsi almeno cinque anni tra la trascrizione dell’acquisto del terzo dagli eredi apparenti e quella della domanda giudiziale degli eredi veri.
I ricorrenti, premesso che nella specie […] e […] avevano acquistato da […] i beni ereditari con atto del 21-2-1983 trascritto il 18-3-1983, rilevano che la domanda giudiziale introduttiva del giudizio di primo grado era stata trascritta il 19-9-1990, ben oltre i cinque anni dalla trascrizione del predetto atto di acquisto; gli esponenti avevano poi acquistato con atto del 1-10-1987 da […] e […] in assoluta buona fede, essendo stato provato che alla morte di […] era stato pubblicato con atto del 21-1-1982 il suo testamento con il quale la stessa aveva lasciato tutti i suoi beni a […] che inoltre costoro avevano sempre avuto il possesso dei beni immobili relitti dalla defunta, e che gli stessi avevano effettuato numerose vendite di detti beni; essi aggiungono che […] e […] avevano trascritto il proprio titolo di acquisto contro tutti gli eredi apparenti, e che nell’interesse di costoro era stata trascritta ai sensi dell’art. 2648 c.c., comma 3 l’accettazione dell’eredità foro devoluta da […]; per contro la domanda giudiziale degli attori nel primo grado di giudizio era stata trascritta soltanto contro uno degli eredi, ovvero […], e non anche nei confronti di […], cosicché l’atto di acquisto degli esponenti in ogni caso avrebbe potuto essere pregiudicato dalla suddetta domanda giudiziale limitatamente alla quota ceduta da […] ai suoi aventi causa. I ricorrenti sostengono poi che, tramite la vendita dei beni per cui è causa a […] avevano posto in essere un atto di accettazione tacita dell’eredità. Infine i ricorrenti affermano che il requisito della trascrizione dell’acquisto degli eredi apparenti […], ossia dell’accettazione tacita dell’eredità, risultava soddisfatto attraverso la trascrizione della compravendita in questione avente natura di atto pubblico. La censura è infondata.
Come già sopra esposto, la Corte territoriale ha richiamato le argomentazioni del giudice di primo grado in ordine al fatto della mancata trascrizione dell’accettazione dell’eredità di […] da parte di […], circostanza invero ritenuta decisiva sia che si volesse ricondurre la fattispecie nell’ambito dell’art. 534 c.c., comma 3 sia che si volesse ritenere l’operatività dell’art. 2652 c.c., n. 7; il rilievo è fondamentale, in quanto è evidente che in entrambi i casi disciplinati da dette norme è necessaria la trascrizione dell’acquisto a titolo di erede perché l’acquisto dall’erede apparente possa essere opponibile all’azione di petizione ereditaria proposta dall’erede vero; in tal senso, se è inequivocabile la disposizione dell’art. 534 c.c., comma 3 (che fa espresso riferimento alla trascrizione dell’acquisto a titolo di erede, che deve precedere la trascrizione dell’acquisto da parte dell’erede o del legatario vero, o la trascrizione della domanda giudiziale contro l’erede apparente), alle stesse conclusioni si giunge ai sensi dell’art. 2652 c.c., n. 7: infatti tale norma prevede che, se la trascrizione della domanda con la quale si contesta il fondamento di un acquisto a causa di morte è eseguita dopo cinque anni dalla data della trascrizione dell’acquisto, la sentenza che accoglie la domanda non pregiudica i terzi di buona fede che, in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda, hanno a qualunque titolo acquistato diritti da chi appare erede o legatario; orbene, come è stato autorevolmente osservato in dottrina, seppure tale disposizione fa riferimento ad un termine che decorre dalla trascrizione dell’acquisto senza ulteriori specificazioni, tuttavia è risolutivo il richiamo del comma 1 di tale articolo ad una domanda con cui si contesta il fondamento di un acquisto a causa di morte, ovvero dell’acquisto compiuto dall’erede apparente; solo tale trascrizione invero consente al vero erede di accertare con un minimo di diligenza l’esistenza di un effettivo ostacolo alla realizzazione dei suoi diritti sui beni ereditari e quindi di agire in giudizio entro il termine quinquennale decorrente dalla data di detta trascrizione.
Per tali ragioni deve pienamente aderirsi all’orientamento già espresso da questa Corte secondo il quale la vendita di un bene ereditario da parte dell’erede apparente non è opponibile, ove manchi l’anteriore trascrizione dell’accettazione dell’eredità, all’erede vero che abbia trascritto l’accettazione posteriormente alla vendita anzidetta, ne’ la mera trascrizione dell’atto traslativo del bene ereditario comprova di per sè una accettazione dell’eredità opponibile ai terzi o all’erede vero, potendo il bene oggetto del trasferimento essere pervenuto all’alienante anche in virtù di titolo diverso (Cass. 11-9-1980 n. 5225).
Nè evidentemente può giungersi a conclusioni diverse in ordine alla necessità della trascrizione dell’acquisto “mortis causa” per il fatto che nella specie ricorre una accettazione tacita dell’eredità:
in tal senso depone l’art. 2648 c.c., comma 3, che prevede che se il chiamato ha compiuto uno degli atti che importano accettazione tacita dell’eredità, si può richiedere fa trascrizione sulla base di quell’atto, qualora esso risulti da sentenza, da atto pubblico o da scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accettata giudizialmente; al riguardo è agevole osservare che il termine “può” deve essere interpretato nel senso della necessità di tale trascrizione ai fini dell’opponibilità ai terzi di tale atto di accettazione dell’eredità, come si evince dal principio generale della continuità delle trascrizioni e dall’art. 2660 c.c., che prevede la specifica documentazione che deve presentare, oltre l’atto indicato dall’art. 2648 c.c. (che contempla anche, come si è visto, la trascrizione dell’accettazione tacita dell’eredità), colui che domanda la trascrizione di un atto a causa di morte.
Del resto la sentenza impugnata ha opportunamente rilevato che gli appellanti avevano prodotto nel giudizio di secondo grado la trascrizione, peraltro tardiva, dell’accettazione tacita dell’eredità di […] in data 17-7-2002, evidentemente ben consapevoli della necessità di detto adempimento. È infine appena il caso di rilevare l’infondatezza del profilo di censura con il quale si è rilevato che la domanda giudiziale delle controparti era stata trascritta nei confronti di una soltanto delle eredi apparenti, ovvero […], avendo il giudice di appello rilevato in proposito che detta trascrizione era stata effettuata nei confronti degli aventi causa degli altri eredi apparenti […], essendo questi ultimi ormai defunti all’atto della instaurazione del giudizio.
Con il secondo motivo i ricorrenti, deducendo vizio di motivazione, affermano che la Corte territoriale non si è espressa, o quantomeno lo ha fatto in modo insufficiente e contraddittorio, sul motivo di cui al punto C dell’atto di appello con il quale gli esponenti avevano censurato la sentenza di primo grado che aveva determinato la quota dell’eredità di […] spettante agli attori nella misura di 1/4, non avendo considerato che la falsità del testamento olografo del 19-6-1963 non aveva privato […] del diritto di succedere ad altro titolo, ovvero per successione legittima, alla sorella […]i; invero, all’esito della ricostruzione dell’albero genealogico espletata dal CTU nel giudizio di primo grado, l’eredità di quest’ultima in base alla successione legittima era da devolvere in otto parti, cioè agli otto fratelli e sorelle della stessa, in via diretta o per rappresentazione; pertanto la quota spettante alle controparti avrebbe dovuto essere limitata ai soli 5/8 della quota di 1/4 ascrivibile a […] e ceduta dai suoi eredi apparenti con l’atto del 21-2-1983 a […] ed alla […].
La censura è in parte inammissibile ed in parte infondata. La Corte territoriale ha anzitutto rilevato l’inammissibilità del relativo motivo di appello per non essere stata censurata la statuizione del giudice di primo grado secondo cui soltanto nei rapporti interni tra coeredi l’azione di petizione ereditaria avrebbe potuto essere fatta valere nei limiti della effettiva quota spettante agli attori; orbene questa statuizione non è stata censurata, cosicché ne discende l’inammissibilità di tale profilo di censura. Inoltre il giudice di appello ha correttamente aggiunto che, non essendo stata richiesta la divisione tra gli eredi legittimi, non assumeva rilievo la determinazione della quota spettante agli attori nei confronti degli altri eredi, in quanto tale determinazione dipende non dalla situazione esistente all’atto dell’apertura della successione, ma dall’effettivo concorso degli eredi legittimi in sede divisionale; invero è evidente che solo al momento della effettiva divisione del compendio ereditario si pone il problema della determinazione delle quote, cosicché al riguardo non possono essere ritenute irrilevanti eventuali vicende anche di natura negoziale verificatesi “medio tempore” dopo l’apertura della successione (quali ad esempio la rinuncia all’eredità da parte di qualche coerede o l’alienazione di una quota ereditaria da un coerede all’altro). Il ricorso deve pertanto essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
[…]