Corte di Cassazione, Sez. L., Sent. n. 17775 del 2016, dep. il 08/09/2016

[…]

Svolgimento del processo

1.- Il Tribunale di Cagliari, all’esito del procedimento regolato dalla l. n. 92 del 2012, rigettò l’opposizione avverso l’ordinanza con cui era stato annullato il licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo ad […] ed ordinato alle società […], […], […], […], […] di reintegrare il dipendente nel posto di lavoro, condannando le medesime società al pagamento, a titolo di risarcimento del danno, di una somma pari alle retribuzioni globali di fatto spettanti allo […] dal recesso all’effettiva reintegrazione, oltre accessori e contributi.
Con sentenza del 19 febbraio 2015 la Corte di Appello di Cagliari ha respinto il reclamo proposto dalle società soccombenti in data 4 luglio 2014.
La Corte territoriale ha preliminarmente ritenuto condivisibile la decisione del Tribunale di considerare applicabile lo speciale rito di cui all’art. 1, commi 47 e ss. della l. n. 92 del 2012 anche alle impugnazioni di licenziamento in cui si controverta dell’esatta identificazione del datore di lavoro.
Nel merito, scrutinato il materiale istruttorio, ha confermato la decisione dei giudici di primo grado che avevano ravvisato nella specie un fenomeno di cd. “codatorialità” e cioè dell’imputazione del rapporto di lavoro non ad un unico soggetto ma a più soggetti distinti; ha richiamato a sostegno la giurisprudenza di questa Corte secondo cui più imprese devono essere considerate datrici di lavoro
in quanto esercitano il potere direttivo e disciplinare su uno stesso lavoratore, ai sensi dell’art. 2094 c.c., rendendo così solidale la loro obbligazione nei confronti di questi. Pertanto la Corte ha ritenuto correttamente non provato il giustificato motivo oggettivo di licenziamento intimato dalla datrice di lavoro formale, in relazione all’asserto venir meno della necessità delle mansioni dello […] esclusivamente rispetto a detta società.
2.- Per la cassazione di tale sentenza tutte le società soccombenti hanno proposto unico ricorso affidato a cinque motivi. Lo […] ha resistito con controricorso. Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

3.- Con il primo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 1, co. 47 e ss., della I. n. 92 del 2012, per “inammissibilità della domanda di accertamento del collegamento societario/codatorialità” nell’ambito di detto procedimento speciale.
Si censura quella parte della sentenza impugnata che ha ritenuto che nell’ambito di operatività del rito previsto dalla I. n. 92 del 2012 possano rientrare tutte le questioni proposte in via incidentale riguardanti la qualificazione del rapporto di lavoro, tra cui anche la questione dell’individuazione del datore o dei datori di lavoro.
Si sostiene che l’accertamento della titolarità del rapporto in capo ad un soggetto diverso dal formale datore di lavoro non costituisce una questione relativa alla qualificazione del rapporto come individuata dal comma 47 dell’art. 1 della 1. n. 92 del 2012.
Pertanto si opina che l’accertamento del collegamento societario richiesto dal lavoratore avrebbe dovuto essere dichiarato ab origine inammissibile, con conseguente carenza del requisito dimensionale necessario per l’applicazione dell’art. 18 della I. n, 300 del 1970.
Il motivo non può trovare accoglimento.
3.1.- Questa Corte ha di recente (Cass. n. 12094 del 2016) avuto modo di chiarire che, in quanto il comma 47 dell’art. 1 della I. n. 92/2012 individua l’ambito di applicazione del rito specifico con il richiamo “alle controversie aventi ad oggetto l’impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dall’articolo 18 della legge 20 maggio 1970 n. 300, e successive modificazioni, anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro”, è necessario che, dedotta l’esistenza di un rapporto di lavoro qualificabile come subordinato a tempo indeterminato e di un licenziamento che lo risolva in modo illegittimo, si invochi la tutela prevista dall’art. 18 dello Statuto.
Applicando il criterio della prospettazione, l’individuazione della fattispecie, ai fini delle questioni di mero rito, deve essere compiuta in base alla domanda come formulata e, in particolare, con riferimento al petitum ed alla causa petendi con essa esposti, indipendentemente dalla relativa fondatezza.
Invero secondo l’insegnamento di legittimità, “qualora l’attore chieda il riconoscimento di un diritto che assume essere stato violato, previa allegazione di specifici fatti relativi ad un determinato rapporto giuridico, competente a decidere la controversia – sulla base di tale “petitum” sostanziale – è il giudice indicato dalla legge in relazione a tale rapporto, anche se il convenuto, in base alla contestazione dell’esistenza di quel determinato fatto, eccepisca che al rapporto intercorso tra le parti debba essere assegnata una natura diversa, salvo che la prospettazione dell’attore non risulti in modo evidente pretestuosa ed artificiosamente allegata proprio al fine di operare una non consentita scelta del rito e del giudice” (così Cass. n. 4662 del 1997; ma v. anche Cass. n. 11415 dei 2007; Cass. n. 8189 del 2012; Cass. n. 7182 del 2014).
Dunque – salvo il limite di prospettazioni artificiose, teso a scongiurare condotte processuali obliquamente finalizzate al solo scopo di percorrere la corsia accelerata del rito speciale – vale ribadire che la contestazione sulla veridicità dei fatti che radicano l’invocata tutela non è dirimente, ai fini del rito. Infatti la questione di rito deve essere delibata in base alla domanda dell’attore a nulla contando né le contestazioni del convenuto sugli elementi posti a fondamento della domanda, né l’indagine di merito che il giudice deve compiere per la decisione, poiché tale attività non assume rilievo in ordine alla risoluzione delle questioni di rito.
Ovviamente l’ammissibilità del rito scrutinata secondo il canone della prospettazione lascia impregiudicato il merito. Vuole dirsi che se l’azione secondo le cadenze procedimentali del nuovo rito può essere ammessa sulla base delle mere allegazioni e richieste contenute nel ricorso, ciò non toglie che resta naturalmente ferma la successiva verifica dell’applicabilità della tutela sostanziale
richiesta ai fini del merito.
Da tali assunti già affermati da questa Corte, e qui ribaditi, deriva, quale coerente sviluppo, che una volta azionata dal lavoratore una impugnativa di licenziamento postulando l’applicabilità delle tutele previste dall’art. 18 dello Statuto, salvo il limite delle prospettazioni artificiose, deve trovare ingresso il procedimento speciale previsto dalla I. n. 92 del 2012, a prescindere ovviamente dalla fondatezza di allegazioni e pretese e senza che la veste formale assunta dalle relazioni giuridiche tra le parti possa precludere tale accesso.
Di talché la natura giuridica del rapporto di lavoro così come l’individuazione del soggetto che si assume essere datore di lavoro e destinatario dei provvedimenti di tutela ex art. 18 I. n. 300/70 risultano tra le questioni che il giudice dovrà affrontare e risolvere nel percorso per giungere alla decisione di merito sulla domanda su cui può statuire, che è appunto la domanda concernente la legittimità o meno del licenziamento.
In tal senso è la lettera del comma 47 dell’art. 1 della l. n. 92/2012 che condiziona l’applicabilità del rito al solo presupposto che si tratti di “controversie aventi ad oggetto l’impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dall’articolo 18 della legge 20 maggio 1970 n. 300, e successive modificazioni”, senza negare l’accesso al procedimento speciale laddove si individui il datore di lavoro in un soggetto diverso da quello che ne abbia la veste solo formale, con una preclusione che sarebbe priva di ragionevolezza.
Vuole dirsi – avuto riguardo al caso di specie – che se lo […] aveva diritto alla tutela prevista dall’art. 18 della l. n. 300 del 1970 in quanto il rapporto di lavoro era in fatto realmente imputabile ad una pluralità di soggetti, non si vede perché il riconoscimento di detta tutela avrebbe dovuto avvenire nelle forme procedimentali diverse da quelle previste espressamente dalla legge per tali controversie solo perché egli era formalmente inquadrato da uno solo di tali soggetti.
Anche il riferimento all’operatività del rito speciale “quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro” esplica la volontà del legislatore di non precluderne l’utilizzo per barriere imposte dall’apparenza della forma: così come pacificamente un lavoratore che alleghi la qualificazione solo formale di un rapporto come autonomo, deducendo la subordinazione, può impugnare il recesso invocando la tutela dell’art. 18 con il ricorso ex lege n. 92 del 2012, altrettanto può fare il lavoratore che invochi la stessa tutela in un rapporto di lavoro non formalizzato ovvero nei confronti di un soggetto diverso da quello che risulti essere il formale datore di lavoro.
3.2.- Ciò acquisito, il primo motivo di ricorso non può essere accolto anche per altro verso, in quanto – in questa sede di impugnazione a critica vincolata in cui Veri-or in procedendo (come è correttamente qualificabile il vizio denunciato attinente ad un errore di attività del giudice) rileva nei limiti in cui determini la “nullità della sentenza o del procedimento” a mente dell’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c. – occorre sottolineare che, secondo giurisprudenza costante di questa Corte, l’inesattezza del rito non determina di per sé la nullità della sentenza.
La violazione della disciplina sul rito assume rilevanza invalidante soltanto nell’ipotesi in cui, in sede di impugnazione, la parte indichi lo specifico pregiudizio processuale concretamente derivatole dalla mancata adozione del rito diverso, quali una precisa e apprezzabile lesione del diritto di difesa, del contraddittorio e, in generale, delle prerogative processuali protette della parte (Cass. n. 19942 del 2008, Cass. SS.UU. n. 3758 del 2009; Cass. n. 22325 del 2014; Cass. n. 1448 del 2015).
Perché essa assuma rilevanza invalidante occorre infatti che la parte che se ne dolga in sede di impugnazione indichi il suo fondato interesse alla rimozione di uno specifico pregiudizio processuale da essa concretamente subito per effetto della mancata adozione dei rito diverso. Ciò perché l’individuazione del rito non deve essere considerata fine a se stessa, ma soltanto nella sua idoneità ad incidere apprezzabilmente sul diritto di difesa, sul contraddittorio e, in generale, sulle prerogative processuali della parte.
Le società ricorrenti, invece, si limitano ad invocare la violazione della legge processuale, da cui deriverebbe una sanzione di inammissibilità non scritta, con una concezione del processo volta a ricollegare il danno processuale alla mera irregolarità, concezione avulsa dai parametri, oggi recepiti anche in ambito costituzionale e sovranazionale, di effettività, funzionalità e celerità dei modelli procedurali (da ultimo v. Cass. n. 4506 del 2016).
4.- Con il secondo motivo di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e 132 c.p.c., co. 2, per vizio di motivazione alla base della condanna di […], in quanto la Corte di Appello avrebbe affermato “da un lato … che a nulla rileva l’esistenza del Gruppo […] in relazione al rapporto intercorso tra […] ed il Sig. […] per poi, dall’altro, includere […] spa nel novero delle asserite società co-datrici di lavoro del Sig. […] per il suo ruolo di capogruppo”.
Con il terzo motivo si denuncia “violazione o falsa applicazione, ex art. 360, n. 3 e 5 c.p.c., dell’art. 2094 c.c., art. 2697 c.c., art. 18 I. n. 300/70, artt. 115 e 116 c.p.c. – carenza di prova in ordine all’esistenza della cd. codatorialità, errata valutazione della prova, insussistenza dei requisiti per l’applicazione dell’art. 18 l. n. 300/70”. Si lamenta che la Corte sarda “abbia erroneamente valutato gli esiti della prova offerta dal Sig. […] e, comunque, che gli elementi di fatto posti alla base della decisione non siano sufficienti a supportare la tesi della cd. <codatorialità> così come prospettata dai giudici di seconde cure i quali … si sono basati su meri indici indiziari e non su prove acquisite nel giudizio”.
Con il quarto motivo si denuncia ancora “violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., degli artt. 115, 116, c.p.c. e 2602 c.c. e 2615 – ter, omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti”. Si eccepisce che la sentenza impugnata sarebbe “contraria alle risultanze documentali, contraddittoria e non motivata”, che non avrebbe dato peso a talune dichiarazioni testimoniali, che la prova della cd. <codatorialità> “non è stata fornita né raggiunta in nessun grado di giudizio da parte del Sig. […]”.
Le censure non meritano accoglimento.
Esse possono essere trattate congiuntamente in quanto, anche sotto la veste formale della denuncia di violazioni di legge sostanziale o processuale, nella sostanza si dolgono della ricostruzione della vicenda storica come operata dai giudici del merito.
Infatti, “ben potendo esistere un rapporto di lavoro che vede nella posizione del lavoratore un’unica persona e nella posizione di datore di lavoro più persone rendendo così solidale l’obbligazione del datore di lavoro” (così, ab imo, Cass. n. 4274 del 2004, conf. Cass. n. 8809 del 2009; Cass. n. 25270 del 2011), non si contesta l’ammissibilità di una tale eventualità secondo il diritto ma, piuttosto, si
critica l’accertamento di fatto della ricorrenza nella fattispecie concreta di una siffatta situazione.
Orbene la ricostruzione dei fatti e la loro valutazione, per le sentenze pubblicate, come nella specie, dal trentesimo giorno successivo alla entrata in vigore della legge 7 agosto 2012 n. 134 (pubblicata sulla G.U. n. 187 dell’11.8.2012), di conversione del d.l. 22 giugno 2012 n. 83, è censurabile in sede di legittimità esclusivamente nella ipotesi di “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti”, ai sensi dell’art. 360. cc. 1, n. 5, c.p.c.. Ma detto vizio non può essere denunciato per i giudizi di appello instaurati successivamente alla data sopra indicata (art. 54, comma 2, del richiamato d.l. n. 83/2012) – come nel caso di specie di reclamo del 4 luglio 2014 – con ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello che conferma – come nella specie – la decisione di primo grado, qualora il fatto sia stato ricostruito nei medesimi termini dai giudici di primo e di secondo grado (art. 348 ter ultimo comma c.p.c.). Ossia il vizio di cui all’art. 360, cc. 1, n. 5, c.p.c., non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. doppia conforme (v. Cass. n. 23021 del 2014).
La disposizione è applicabile anche al reclamo disciplinato dall’art. 1, commi da 58 a 60, della legge n. 92/2012, che ha natura sostanziale di appello, dalla quale consegue la applicabilità della disciplina generale dettata per le impugnazioni dal codice di rito, se non espressamente derogata (in tal senso Cass. n. 23021 del 2014; conforme: Cass. n. 4223 del 2016).
Ne deriva che anche secondo, terzo e quarto motivo di ricorso vanno respinti.
5.- Con il quinto mezzo di gravarne si denuncia, ex art. 360, co. 1, nn. 3 e 5 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1227 c.c., 18 I. n. 300 del 1970, 115 e 116 c.p.c., 2729 c.c., per il mancato accertamento in ordine alle somme percepite dallo […] dalla data del licenziamento all’esercizio dell’opzione (aliunde perceptum) ed alla riduzione del danno per fatto colposo del creditore.
Il motivo è privo di pregio.
La Corte territoriale ha ritenuto che la parte datrice di lavoro, gravata del relativo onere, non abbia fornito la prova dell’esistenza di redditi in capo allo […] per il periodo successivo al licenziamento, limitandosi a dedurre “elementi privi in realtà di valore presuntivo (quale il fatto che abbia optato per l’indennità sostitutiva della reintegrazione e che abbia dichiarato in udienza di essere mantenuto dalla moglie)”.
Si tratta di un accertamento di fatto congruamente motivato non sindacabile in sede di legittimità in quanto si travalicherebbero i limiti imposti dal novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., come interpretato da Cass. SS.UU. n. 8054 del 2014.
6.- Il ricorso conclusivamente deve essere respinto […]