Corte di Cassazione, Sez. L. , Sent. n. 8068/2016, dep. il 21/04/2016

[…]

Motivi della decisione
Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto con particolare riferimento all’art. 1 della legge 23 ottobre 1960, n. 1369, non avendo il giudice di appello (come già quello di primo grado) correttamente valutato i requisiti di liceità del distacco (e cioè l’interesse del distaccante e la temporaneità del comando), in tal modo facendo erronea applicazione della deroga dallo stesso costituita al divieto di interposizione.
In particolare, non solo nella specie non vi era alcun indizio di distacco, ma emergeva la diretta ed originaria adibizione della ricorrente a mansioni esclusivamente in favore di altro soggetto, senza che, da parte della società formalmente datrice di lavoro, fosse stato manifestato un interesse a tale comportamento.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia vizio di motivazione, non avendo la Corte adeguatamente spiegato il proprio assunto, secondo il quale il comando doveva ritenersi legittimo, e, in particolare, non avendo fatto alcun cenno sostanziale circa la presunta esistenza dell’interesse al distacco, che deve essere presente nel soggetto distaccante, nonché della sua temporaneità.

Il ricorso è infondato.

La Corte territoriale ha accertato in primo luogo che le società […] e […] appartengono allo stesso gruppo di imprese e che “l’ufficio cui era stata addetta” la […] “si occupava della gestione amministrativa di tutte le società” che ne fanno parte. Su tali premesse la Corte ha riconosciuto sussistente il requisito dell’interesse al distacco (del personale della […]) – requisito introdotto normativamente con il decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (art. 30) ma già presente nella elaborazione dottrinale e giurisprudenziale formatasi sugli elementi idonei a garantire la liceità dell’istituto con portata derogatoria del divieto di interposizione di manodopera di cui all’art. 1 I. 23 ottobre 1960, n. 1369 – “nell’accentramento presso un unico ufficio dell’amministrazione del personale delle società del gruppo”.
La Corte ha, quindi, sottoposto ad esame, nell’esercizio delle prerogative che competono al giudice del merito e con esiti valutativi esenti da critiche, le ragioni organizzative e produttive alla base di tale interesse, identificandole nel “collegamento funzionale tra le imprese” e nella comune adozione di un sistema “di gestione integrata dei servizi” e così pervenendo conclusivamente, con l’accertamento dell’effettività dell’interesse del datore di lavoro a partecipare, attraverso il proprio personale, all’attività dell’ufficio facente capo alla società […] ma destinato all’attività di amministrazione per tutte le società del gruppo, ad escludere la riconducibilità della concreta fattispecie nell’area della interposizione illecita di manodopera.
Ciò posto, si osserva che il percorso logico-giuridico seguito nella sentenza impugnata si sottrae alle censure della ricorrente, in relazione ad entrambi i vizi dedotti, dovendosi qui rilevare e precisare come il paragrafo 3 del ricorso (pagine 15-16) non dia ingresso ad un terzo e distinto motivo, posto che non esprime un’autonoma critica alla pronuncia della Corte territoriale, ex art. 360 c.p.c., ma si limita a prendere in considerazione le conseguenze sul rapporto di lavoro di una fattispecie di illiceità il cui riscontro rimane dipendente dall’eventuale accoglimento del primo e/o del secondo motivo di gravame.

In particolare, e con riferimento al primo motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 1 I. n. 1369 cit.), è da ritenere che, pur nel contesto di una distinta soggettività giuridica, ciascuna componente del gruppo di imprese sia titolare dell’interesse a concorrere, anche mediante il distacco di propri dipendenti, alla realizzazione di comuni strutture produttive e organizzative, che si pongano in un rapporto di coerenza con gli obiettivi di efficienza e di funzionalità del gruppo stesso e con il dato unificante di una convergenza di interessi economici, anche intesa come progetto di riduzione attuale o potenziale dei costi di gestione. E’, infatti, chiaro che l’interesse del soggetto distaccante non può essere separato da quello del raggruppamento di cui il soggetto stesso è parte economicamente integrata e risulta anzi direttamente connesso e funzionale all’attuazione di quest’ultimo. Le considerazioni che precedono trovano oggettiva conferma nell’evoluzione normativa dell’istituto del distacco e, in particolare, nell’introduzione – ad opera del d.l. 28 giugno 2013, n. 76, convertito con modificazioni dalla l. 9 agosto 2013, n. 99 – del co. 4 ter dell’art. 30 cit., il quale dispone nella sua prima parte (la seconda riguardando il diverso istituto giuridico della “codatorialità”, ossia dell’assunzione congiunta di un medesimo dipendente) che “qualora il distacco di personale avvenga tra aziende che abbiano sottoscritto un contratto di rete di impresa che abbia validità ai sensi del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, l’interesse della parte distaccante sorge automaticamente in forza dell’operare della rete, fatte salve le norme in materia di mobilità dei lavoratori previste dall’art. 2103 del codice civile”. Ora, premesso che il riferimento atecnico ad un’automaticità del sorgere dell’interesse del soggetto distaccante deve essere più esattamente ricondotto entro lo schema della presunzione assoluta, è significativo che la disposizione in esame connetta il venire ad esistenza dell’interesse al fatto di base dell’operare della rete e cioè ad un fatto, che è ad un tempo giuridico ed economico, della funzionalità del contratto di rete di impresa, con il quale più imprenditori, perseguendo scopi comuni in termini di innovazione e di competitività, stabiliscono rapporti di collaborazione nell’esercizio delle loro imprese. E’ tuttavia evidente che tale contratto presenta, per un verso, scopi economici unificanti che risultano certamente avvicinabili a quelli che muovono la logica imprenditoriale di un gruppo di imprese e, per altro verso, non istituisce legami più condizionanti di quelli che definiscono, ai sensi dell’art. 2359 c.c., il controllo o il collegamento di società.

Nella prospettiva così delineata, e che appare la sola conforme alle peculiarità di forme produttive articolate e complesse, risulta senza dubbio corretta la sentenza impugnata, la quale, muovendo dall’incontestato presupposto dell’inserimento tanto del soggetto distaccante come del soggetto distaccatario in un medesimo gruppo, ha posto In esatta evidenza il carattere sinergico dell’intervento organizzativo volto a costituire un unico polo per l’amministrazione del personale dipendente dalle società facenti capo ad esso e la corrispondenza del distacco dell’odierna ricorrente “ad una comune esigenza di razionalità ed economicità del servizio”.
Né può condividersi la critica della ricorrente, secondo la quale anche l’elemento della temporaneità, essenziale per la liceità del distacco, sarebbe stato dato per presupposto dalla sentenza impugnata (come già dai giudice di primo grado), senza che, in realtà, esso fosse stato puntualmente provato dalla controparte. Premesso, infatti, che la ricorrente mostra di aderire al consolidato orientamento, che fa coincidere il concetto di “temporaneità” con quello di “non definitività”, si richiama sul punto Cass. 25 novembre 2010, n. 23933, la quale ha, in particolare, osservato che la temporaneità del distacco non richiede che la destinazione del lavoratore a prestare la propria opera in favore di un soggetto diverso “abbia una durata predeterminata fin dall’inizio, né che essa sia più o meno lunga o sia contestuale all’assunzione del lavoratore, ovvero persista per tutta la durata del rapporto, ma solo che la durata del distacco coincida con quella dell’interesse del datore di lavoro a che il proprio dipendente presti la sua opera in favore di un terzo”.

Le considerazioni che precedono portano a ritenere infondato anche il secondo motivo di ricorso, con il quale viene fatto valere il vizio di motivazione. Ed invero la Corte territoriale ha adeguatamente e correttamente motivato in ordine al punto decisivo costituito dalla legittimità del distacco, quale fatto idoneo a derogare al divieto di interposizione di manodopera, ponendo in luce, alla stregua delle deposizioni dei testi assunti e della situazione pacificamente data (e cioè l’emergere nella specie di un gruppo di imprese), l’effettività dell’interesse del datore di lavoro a disporre il distacco della […] presso la società […]; né la Corte ha trascurato di valutare il fatto che l’appellante fosse stata addetta ad adempimenti relativi al personale di quest’ultima società, riconducendolo a “modalità interne di distribuzione del lavoro” e ritenendolo coerentemente irrilevante “in una organizzazione unificata dell’attività”.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

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