Corte di Cassazione, Sez. L., Sentenza n. 1168 del 2015, dep. il 22.01.2015

[…]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza 11.5.2005 il Tribunale di Torino condannava la società […] al pagamento in favore del dipendente (già dirigente) […] della somma di € 14.814,81, quale differenza al lordo di trattamento di fine rapporto (determinata dall’incidenza di voci retributive non conteggiate, in particolare indennità di residenza, premio mobilità, bonus e superbonus, premio annuo, indennità di sede), respingendo ogni altra sua domanda e compensando tra le parti le spese di lite.
Il […] aveva sostenuto di aver lavorato per varie consociate del gruppo […]o (da ultimo per […]), ma che il rapporto di lavoro era rimasto in capo a […] (cui il contratto era stato ceduto dal datore di lavoro iniziale […] s.p.a.), che lo aveva collocato in aspettativa non retribuita, distaccandolo presso la consociata […] e mantenendo l’obbligo del pagamento del trattamento di fine rapporto e dei versamenti contributivi. Poiché […] aveva provveduto al pagamento del trattamento di fine rapporto sulla base della retribuzione nominale, senza considerare tutte le indennità che nel frattempo aveva percepito con continuità, il […] aveva domandato la condanna della società al pagamento di ulteriori € 72.606,12, tenendo conto, oltre che delle voci riconosciute dal giudice, anche dell’indennità affitto, del contributo scuola, dei biglietti di viaggi aereo, del controvalore dell’auto, tutte voci di natura retributiva perché compensavano il maggior disagio derivante dallo svolgimento della prestazione lavorativa all’estero.
Aveva chiesto altresì la condanna della società al pagamento di € 76.709,15 quale indennità di mancato preavviso, avendo la società rinunciato, a fronte delle sue dimissioni, alla sua offerta di lavorare il periodo di preavviso. Per questa domanda il primo giudice riteneva non legittimata passivamente la […], essendosi il […] dimesso dalla consociata estera ([…]) che ne utilizzava le prestazioni.
Il […] aveva altresì domandato la condanna della società al pagamento di € 135.503,27 quale corrispettivo del patto di non concorrenza a suo tempo stipulato.
Il primo giudice nulla gli aveva riconosciuto a tale titolo, avendo ritenuto provata un’attività per una società concorrente da parte dell’ex dirigente subito dopo le dimissioni.
2. Avverso tale pronuncia ha proposto appello principale il […], osservando come i calcoli del primo giudice per giungere all’importo riconosciuto fossero stati effettuati tra valori non omogenei e deducendo che nel calcolo del trattamento di fine rapporto dovevano essere considerate anche le voci in natura e le indennità che coprivano il maggior disagio della prestazione.
Censurava inoltre la prima decisione là dove non aveva ritenuto sussistente un vero e proprio distacco, desumibile dal fatto che sin dall’inizio del rapporto il lavoratore aveva operato all’estero, che vi era stato un collegamento funzionale tra le varie società, che era prevista la possibilità del suo rientro in Italia, che la società […] non aveva avuto parte attiva nelle decisioni sull’attività svolta dal dirigente, che lo stesso non veniva pagato in moneta […], ma in moneta lussemburghese, che presso […] si era mantenuta la sua posizione assicurativa.
Ribadiva il proprio diritto a vedersi corrispondere l’indennità di preavviso per il periodo non lavorato su disposizione del datore di lavoro e al pagamento del corrispettivo del patto di non concorrenza, atteso che la sua attività concorrenziale non era stata provata in giudizio.
Si costitutiva la società appellata resistendo ed, a sua volta, proponendo appello incidentale per la restituzione di quanto versato al dirigente in esecuzione della prima pronuncia. Il primo giudice aveva errato laddove aveva dichiarato illegittimo l’accordo sul trattamento di fine rapporto (che prevedeva il calcolo limitato alla mera retribuzione), essendo tale conclusione corretta solo ove fosse stata riconosciuta un’ipotesi di distacco. Distacco invece non vi era stato, non essendo stata dimostrata né la fittizietà dell’accordo, né il perdurare della preminenza e del controllo da parte della società distaccante, né l’inerzia della società distaccataria. A suo dire ogni differenza di trattamento di fine rapporto doveva al più essere richiesta alla capogruppo […], atteso che comunque quelle indennità, la cui incidenza sul calcolo del trattamento di fine rapporto veniva chiesta, non erano state corrisposte da […]. Ribadiva la correttezza della prima pronuncia in punto indennità di preavviso e corrispettivo per patto di non e concorrenza, essendo, a suo dire, dimostrata l’attività concorrenziale dell’ex dirigente.
3. La Corte d’appello di Torino con sentenza non definitiva dell’11.5.2007- 16.5.2007 in parziale accoglimento dell’appello principale, condannava la società appellata a pagare all’appellante l’integrazione del trattamento di fine rapporto computando, oltre le voci già considerate dal tribunale, anche le ulteriori voci:
indennità affitto; contributo scuola; viaggi aerei (nella misura determinata a partire dal 1997 anche per gli anni precedenti); polizza assicurazione integrativa, quest’ultima nell’importo che sarebbe stato determinato in prosieguo di giudizio (ed esclusa invece la voce auto aziendale). Inoltre condannava l’appellata al pagamento dell’indennità di preavviso. Confermava nel resto l’appellata sentenza; respingeva l’appello incidentale; disponeva con separata ordinanza per la prosecuzione del
giudizio per la determinazione degli importi suddetti.
Con successiva sentenza definitiva del 23-28 novembre 2007 la Corte d’appello di Torino ha determinato i crediti di […] nei confronti di […] di cui alla sentenza non definitiva 11.5.2007 in euro 76.707,01 netti quale integrazione del trattamento di fine rapporto ed in euro 75.115,15 netti quale indennità di preavviso, oltre rivalutazione ed interessi dalla cessazione del rapporto; ha condannato l’appellata […] a rimborsare a […] 2/3 delle spese di entrambi i gradi liquidate, per l’intero, per il primo in euro 6.075,00 e per il grado d’appello in euro 7.650,00 di cui 5.950,00 per onorari e 850,00 per diritti, oltre iva e cpa, compensato il residuo terzo.
4. Avverso queste pronunce ricorre per cassazione la società […] con tre motivi nei confronti della sentenza non definitiva e con un solo motivo nei confronti della sentenza definitiva.
Resiste con controricorso la parte intimata che ha altresì proposto autonomo ricorso nei confronti di entrambe le pronunce suddette, articolato in tre motivi.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso della società nei confronti della sentenza non definitiva è articolato in tre motivi.
Con il primo motivo la società denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1322, 1362, 1363, 2094, 2103, 2359 e 2697 c.c. oltre che degli artt. 115 e 116 c.p.c.. Inoltre contestualmente, con altro motivo, la società lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso decisivo per la causa.
Sostiene la società che erroneamente la corte d’appello non ha considerato che la fattispecie concreta non era riconducibile a quella del distacco, ma vi erano stati due distinti rapporti di lavoro separati talché legittima era la pattuizione con la prima società datrice di lavoro di calcolare il trattamento di fine rapporto solo sulla retribuzione base.
La ricorrente poi censura, in particolare con il secondo motivo, la sentenza impugnata per aver ritenuto sussistenti elementi concreti, indicativi della fattispecie del distacco, che in realtà non erano mai stati provati.
Sostiene che erano del tutto carenti i presupposti fattuali e giuridici per poter ritenere sussistente un’ipotesi di distacco. In particolare era mancata qualsiasi dimostrazione dell’interesse della società distaccante.
Con il terzo motivo la società ricorrente lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per la causa. In particolare si duole del fatto che la corte d’appello non abbia considerato la natura almeno parzialmente risarcitoria delle indennità attribuite al dipendente.
La società poi censura anche la sentenza definitiva con un unico motivo con cui denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2120, 2121 e 2697 c.c. nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c.. Lamenta il malgoverno del principio dell’onere probatorio in particolare con riferimento all’attribuzione riferita all’affitto dell’appartamento che dalle parti era stato quantificato in 40.000 dollari come tetto massimo.
2. Il ricorso del dipendente avverso la sentenza non definitiva è anch’esso articolato in tre motivi.
Con i primi due motivi il ricorrente denuncia l’insufficienza della motivazione su un fatto controverso decisivo per il giudizio. In particolare ritiene che non sia risultata provata l’attività svolta dal dipendente per altra società in concorrenza con la datrice di lavoro.
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.. Non era risultato provato in causa che la società in favore della quale il dipendente aveva svolto attività di consulenza avesse più di 100 dipendenti;
presupposto questo per ritenere la violazione del patto di non concorrenza.
3. I ricorsi proposti dalle parti hanno ad oggetto le stesse sentenze impugnate talché si impone la riunione dei giudizi.
4. Il ricorso della società i cui motivi possono essere esaminati congiuntamente – è infondato.
5. Preliminarmente va ritenuto l’ammissibilità (ex art. 366 c.p.c. ancora applicabile al ricorso ratione temporis) dei quesiti multipli ove il motivo presenti plurimi profili.
Va ribadito quanto già affermato da questa Corte (cfr. recentemente Cass., sez. V, 28 giugno 2013, n. 16345) secondo cui in caso di proposizione di motivi di ricorso per cassazione formalmente unici, ma in effetti articolati in profili autonomi e differenziati di violazioni di legge diverse, sostanziandosi tale prospettazione nella proposizione cumulativa di più motivi, affinché non risulti elusa la ratio dell’art. 366-bis cod. proc. civ., deve ritenersi che tali motivi cumulativi debbano concludersi con la formulazione di tanti quesiti per quanti sono i profili fra loro autonomi e differenziati in realtà avanzati.
6. Nel merito va premesso che le censure mosse dalla società ricorrente alla sentenza non definitiva e a quella definitiva della corte d’appello riguardano solo la esatta quantificazione del trattamento di fine rapporto; non è invece censurata la sentenza non definitiva quanto al riconoscimento integrale dell’indennità sostitutiva del preavviso, che pur ha costituito un tema controverso in causa, non facendosi più questione della spettanza di quest’ultima indennità al dirigente (che in vero era dimissionario e quindi il preavviso era in favore non già del dirigente, ma della società, la quale ben poteva rinunciare – così come ha fatto – alla prestazione lavorativa del dipendente).
Con questa limitazione del thema decidendum deve considerarsi che la società ricorrente muove alla sentenza non definitiva della corte d’appello censure essenzialmente in fatto: la fattispecie del distacco è stata ritenuta sussistente dalla Corte d’appello, con motivazione sufficiente e non contraddittoria, sulla base di puntuali elementi sintomatici.
Come è noto, è l’art. 30 d.lgs. 10 settembre 2003 n. 276, come integrato dall’art. 7 d.lgs. 6 ottobre 2004 n. 251, che ha previsto espressamente la fattispecie del “distacco” in termini generali, anche se ad esso in precedenza il legislatore aveva talvolta fatto riferimento (cfr. art. 8, comma 3, d.l. 20 maggio 1993 n. 148, conv. in l. 19 luglio 1993 n. 236).
Ma anche prima dell’entrata in vigore dell’art. 30 d.lgs. n. 276/2003 si riteneva in giurisprudenza che fosse configurabile la figura del “distacco” (o “comando”) del lavoratore come legittima espressione del potere direttivo datoriale: il dipendente di un datore di lavoro era dislocato presso un altro datore di lavoro con contestuale assoggettamento al potere direttivo ed al controllo di quest’ultimo, continuando, tuttavia, il datore di lavoro-distaccante ad essere titolare del rapporto di lavoro.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. ex plurimis Cass., sez. lav. 21 febbraio 2007 n. 4003; 26 aprile 2006 n. 9557) si aveva comando o distacco allorché il datore di lavoro, nell’esercizio del suo potere direttivo, assegnava il proprio dipendente ad altro soggetto perché in favore di quest’ultimo espletasse la sua prestazione lavorativa.
In particolare Cass., sez. 1 av., 21 febbraio 2007 n. 4003 ha affermato che prima dell’entrata in vigore dell’art. 30 del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, il ricorso al distacco o comando del lavoratore, benché non ancora disciplinati) dalla legge, era ammesso e comportava un mutamento nell’esercizio del potere direttivo perché il dipendente di un datore di lavoro era dislocato presso un altro soggetto, con contestuale assoggettamento al comando ed al controllo di quest’ultimo, continuando, tuttavia, il datore di lavoro-distaccante ad essere titolare del rapporto di lavoro.
La dissociazione fra il soggetto che ha proceduto all’assunzione del lavoratore e l’effettivo beneficiario della prestazione (distacco o comando) è però consentita soltanto a condizione che continui ad operare, sul piano funzionale, la causa del contratto di lavoro in corso con il distaccante, nel senso che il distacco realizzi uno specifico interesse imprenditoriale che consenta di qualificare il distacco medesimo quale atto organizzativo dell’impresa che lo dispone, così determinando una mera modifica delle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa ed il conseguente carattere non definitivo del distacco stesso. Cfr. Cass., sez. lav., 22 marzo 2007 n. 7049 che ha precisato che il distacco del lavoratore non comporta una novazione soggettiva e l’insorgenza di un nuovo rapporto con il beneficiario della prestazione lavorativa, ma solo una modificazione nell’esecuzione dello stesso rapporto, nel senso che l’obbligazione del lavoratore di prestare la propria opera viene (temporaneamente) adempiuta non in favore del datore di lavoro ma in favore del soggetto – cui sono attribuiti i connessi poteri direttivi e disciplinari – presso il quale il datore medesimo ha disposto il distacco del dipendente. Più recentemente Cass., sez. lav., 15 maggio 2012 n. 7517 ha ribadito che la dissociazione fra il soggetto che ha proceduto all’assunzione del lavoratore e l’effettivo beneficiario della prestazione (c.d. distacco o comando) è possibile soltanto a condizione che essa realizzi, per tutta la sua durata, uno specifico interesse imprenditoriale tale da consentirne la qualificazione come atto organizzativo dell’impresa che la dispone, così determinando una mera modifica delle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa e la conseguente temporaneità del distacco, coincidente con la durata dell’interesse del datore di lavoro allo svolgimento della prestazione del proprio dipendente a favore di un terzo.
Un’ipotesi particolare di distacco può poi aversi – come nel caso di specie – all’interno di un gruppo societario (Cass., sez. lav., 5 settembre 2006 n. 19036). Cfr. anche Cass., sez. lav., 25 settembre 2012 n. 16244 ha precisato che la società distaccataria è tenuta ai correlativi obblighi contributivi previdenziali e assistenziali ove risulti accertata la sua posizione di effettiva datrice di lavoro, ricevendone le prestazioni con carattere di stabilità e di esclusività.
Può aggiungersi – con riferimento alla particolare ipotesi del gruppo di imprese – che recentemente l’art. 7, comma 2, d.l. 28 giugno 2013, n. 76, conv. in 1. 9 agosto 2013, n. 99, ha inserito un comma (4-ter) nel cit. art. 30 d.lgs. n. 276 del 2003 prevedendo che, qualora il distacco di personale avvenga tra aziende che abbiano sottoscritto un contratto di rete di impresa (ex art. 3, comma 4-ter d.l. 10 febbraio 2009, n. 5, conv. in 1. 9 aprile 2009, n. 33) l’interesse della parte distaccante sorge automaticamente in forza dell’operare della rete, che è un contratto con cui più imprenditori, perseguendo scopi comuni in termini di innovazione e di competitività, stabiliscono rapporti di collaborazione nell’esercizio dell’impresa. In tale evenienza l’interesse della parte distaccante è presunto iuris et de iure, fermo restando per il lavoratore la garanzia del rispetto dell’art. 2103 c.c. quanto alla necessaria corrispondenza tra mansioni e qualifica. La stessa disposizione prevede poi anche la possibilità, per le imprese legate da contratto di rete, della «codatorialità» dei dipendenti ingaggiati con regole stabilite dal contratto di rete, ossia dell’assunzione congiunta di un medesimo dipendente. In tale evenienza i datori di lavoro rispondono in solido delle obbligazioni contrattuali, previdenziali e di legge che scaturiscono dal rapporto di lavoro instaurato con tale modalità di «codatorialità» (arg. ex art. 9, comma 1, del medesimo decreto legge quanto alle imprese agricole legate con contratto di rete).
7. Nella specie l’impugnata sentenza non definitiva non solo è stata rispettosa dei principi di diritto elaborati in materia dalla giurisprudenza di legittimità, ma ha verificato in concreto che ricorresse una fattispecie di distacco pur senza giungere a quella più radicale della codatorialità del rapporto di lavoro nell’ambito di un gruppo societario, configurabile – al pari della fattispecie del distacco – anche prima della recente modifica del cit. art. 30 d.lgs. n. 276 del 2003 (ipotesi quest’ultima che però, rispetto alla fattispecie del distacco, non avrebbe modificato per la società ricorrente il contenuto dell’obbligo di corrispondere integralmente il trattamento di fine rapporto secondo il parametro legale dell’art. 2120 c.c.).
In punto di fatto poi ha osservato la Corte d’appello che in data …. 1993, la […] si impegnava ad assumere il […] a partire dal […] 2003, prima presso la […] e poi presso […]. Lo stesso sarebbe stato considerato in aspettativa non retribuita presso la società italiana ed il trattamento di fine rapporto, gravante su quest’ultima, sarebbe rimasto ancorato alla sola retribuzione base. L’assunzione è poi stata formalizzata da […] in data 30 aprile 1993 con decorrenza dal 1° maggio 1993 con l’espressa pattuizione che prevedeva la disponibilità del […] ad operare presso tutte le consociate del gruppo in Europa.
Il rapporto di lavoro è stato successivamente trasferito per cessione con consenso del dirigente da […] a […]. con 1a previsione del patto di non concorrenza.
Nel dicembre 1999 la […] ha comunicato al […] che, a fronte del disagio legato al paese (da ultimo la […]) in cui stava operando la sua missione, per tutta la durata della missione stessa avrebbe beneficiato di una “indennità paese”.
Il rapporto si è risolto per le dimissioni comunicate dal […]; ed è significativo che il […] abbia comunicato tali dimissioni non solo a […], dove stava lavorando in missione, ma anche a […], ossia alla società distaccante.
Orbene, valutando gli elementi di fatto emersi in causa, la Corte d’appello è pervenuta al motivato convincimento che si versasse in una fattispecie di distacco. Il reale rapporto si era sempre svolto con […], inizialmente, e successivamente con la sua cessionaria […], attuale ricorrente ed unica società a gestire realmente il rapporto.
La Corte d’appello ha valorizzato una serie di elementi sintomatici: la previsione iniziale dell’immediata disponibilità del dirigente ad operare presso tutte le consociate estere del gruppo; il mantenimento della posizione previdenziale in Italia presso la […] prima e poi presso la […]; il mantenimento dell’obbligo del pagamento del trattamento di fine rapporto in capo alla […] prima ed alla […]. poi; al momento della risoluzione del rapporto per dimissioni del dirigente è la […] a porsi quale interlocutrice del dirigente per definire gli aspetti economici di tale risoluzione.
Una volta individuata nella società […]. il datore di lavoro e nella società […] il soggetto destinatario del distacco del dirigente, la prima non poteva sottrarsi ad includere nel trattamento di fine rapporto quanto dal […] percepito con continuità anche durante i rapporti con le altre consociate.
Infatti l’art. 2120 c.c. include in detto trattamento tutte le somme, comprese l’equivalente delle prestazioni in natura, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale e con esclusione solo di quanto corrisposto a titolo di rimborso spese. Il carattere non occasionale delle indennità è emerso dal fatto che esse erano state corrisposte con periodicità mensile per numerosi anni.
Correttamente pertanto i giudici di merito – sia la Corte d’appello che il primo giudice – hanno ritenuto illegittimo in parte qua, in quanto in violazione di una norma imperativa ed inderogabile a livello di contratto individuale, quale è l’art. 2120 c.c., il patto contrario di calcolare il trattamento di fine rapporto solo sulla retribuzione base.
La Corte d’appello ha poi potuto verificare la natura retributiva anche dell’indennità per affitto, del contributo scuola, del rimborso dei biglietti per viaggi aerei, del premio polizza assicurazione integrativa.
In conclusione il ricorso della società è infondato e va rigettato.
8. Anche il ricorso del dipendente è infondato trattandosi di censure di merito all’impugnata sentenza non definitiva che con adeguata motivazione, sufficiente e non contraddittoria, ha ritenuto la violazione del patto di non concorrenza, esteso anche a società che fornivano consulenza o servizi nello stesso settore […] della ricorrente.
La Corte – che ha valutato complessivamente le risultanze della prova testimoniale – ha osservato in particolare che era stato lo stesso […] in sede di interrogatorio libero ad ammettere di aver svolto attività di consulenza per la società […] che, pur occupandosi di consulenza finanziaria, fiscale e di marketing, operava in favore e nell’orbita della società […], a sua volta operante nel settore […] e quindi diretta concorrente della società ricorrente.
9. Entrambi i ricorsi vanno quindi rigettati […]