Corte di Cassazione, Sez. L, Sentenza n. 15691 del 2003, dep. il 20/10/2003

[…]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato in data 16 novembre 1988, […] adiva il Pretore di Treviso e, premesso di avere prestato la propria attività di agente di commercio, in favore della s.r.l. […] dal 12 ottobre 1981 al 2 aprile 1988, chiedeva che, ritenuta la risoluzione del contratto di agenzia per colpa della preponente, questa venisse condannata al pagamento delle indennità sostitutive del preavviso, di clientela e di fine rapporto, nonché delle provvigioni indirette, degli interessi e rivalutazione monetaria su provvigioni versategli in ritardo ed, infine, anche delle provvigioni non versategli per ordini da lui procurati. A sostegno delle sue richieste il ricorrente riferiva che, alla risoluzione del contratto, la proponente l’aveva esonerato dalla prestazione del preavviso; che la stessa aveva violato la zona a lui assegnatagli vendendo – direttamente o tramite la ditta […] – materiale installato presso l’istituto […] ed aveva effettuato vendite in tutta la zona di Como, senza corrispondergli le provvigioni. Lamentava, ancora, il ritardo nel pagamento delle provvigioni relative al terzo e quarto quadrimestre del 1987, versategli il 21 marzo 1988; il mancato accantonamento dell’indennità di fine rapporto presso l’Enasarco ed, infine, il mancato versamento delle provvigioni relative ad ordini da lui procurati dai clienti “[…]”.
Dopo la costituzione del contraddittorio e dopo che la società aveva dedotto l’infondatezza delle avverse pretese eccependo, tra l’altro, che sino al marzo 1987 sua agente per le province di Sondrio e Como era stata la società in nome collettivo […], di cui il […] socio (solo dal 1 aprile 1987 il mandato era stato conferito al […] stesso con esclusione degli affari con le ditte “[…]”), il Pretore di Treviso rigettava le domande del […], compensando tra le parti le spese del giudizio.
A seguito di gravame principale da parte del […] ed incidentale da parte della società (in relazione alla compensazione delle spese disposta dal Pretore), il Tribunale di Treviso, con sentenza non definitiva del 26 aprile 2000, in parziale accoglimento dell’appello principale ed in parziale riforma della sentenza del Pretore di Treviso, riconosceva dovuta al […] l’indennità di fine rapporto con riferimento al periodo dal 12 ottobre 1981 al 20 aprile 1983 ed al periodo dall’1 aprile 1987 al 30 marzo 1988, oltre agli interessi legali. Con separata ordinanza in pari data, il Tribunale rimetteva la causa in istruttoria per la continuazione del giudizio disponendo che con consulenza venisse determinato l’ammontare dell’indennità riconosciuta all’agente. Con la sua decisione il giudice d’appello rilevava che, come si deduceva dagli atti di causa, in data 12 ottobre 1981 era stato concluso tra la […] ed il […] un contratto di agenzia per le province di Como e Sondrio e per alcuni comuni della provincia di Bergamo; che successivamente il mandato era stato conferito alla società […] con scrittura del 20 aprile 1983 e che, infine, come aveva affermato lo stesso […], a questi era stato conferito un nuovo mandato, con limitazione della zona assegnatagli come da planimetria in atti e con esclusione della ditta […]. Il […], quindi, non poteva rivendicare alcun diritto in relazione al periodo in cui agente era stata la s.n.c. […], avendo agito in giudizio personalmente e non come legale rappresentante della società, la cui cancellazione dal registro delle imprese non ne aveva determinato l’estinzione. Conseguiva da tutto ciò che la pretesa violazione del diritto di esclusiva dell’agente costituita dalla fornitura di materiali prodotti dalla […], dovendosi fare risalire al 1984, giusta quanto emergeva documentalmente, non poteva dare origine – proprio perché anteriore al conferimento del secondo mandato al […] – ad alcuna pretesa azionabile ne’ poteva costituire giusta causa di recesso da parte dell’agente. Quanto alle altre violazioni lamentate dal […] e riferite ancora alle imprese “[…]”, i testi escussi non avevano fornito alcuna prova al riguardo e lo stesso […] aveva nel suo interrogatorio dichiarato che la ditta […] era esclusa dal suo diritto alle provvigioni. Aggiungeva ancora il Tribunale che, per non risultare ammissibile la richiesta di esibizione delle scritture contabili avanzata dall’agente, il recesso da questi esercitato con propria lettera non poteva considerarsi determinato da giusta causa, il che induceva ad escludere il diritto all’indennità di clientela e sostitutiva di preavviso. In relazione alle provvigioni relative “agli ordini […] eseguiti durante il periodo di preavviso” precisava il Tribunale che il […], pur lamentando il ritardato versamento – avvenuto, a suo dire, solo nel marzo 1988 – non poteva rivendicare alcuna pretesa mancando qualsiasi prova sia dell’invio alla […] della proposta di commissione sia della positiva conclusione dell’affare.
Quanto al ritardato pagamento di provvigioni relative al terzo e quarto quadrimestre del 1987, era stato, poi, il […] stesso ad affermare di avere contratto con la società un debito non estinto sicché la relativa somma era stata compensata con le provvigioni che gli erano dovute. Ne conseguiva – nella coesistenza dei reciproci debiti e crediti – che andavano esclusi gli interessi sulla somma residua versata al […] nel marzo 1988.
Per concludere, il giudice d’appello riconosceva fondata la richiesta relativa all’Enasarco, che aveva comunicato che nessun versamento era stato effettuato per il lavoro svolto dal […], sicché la relativa indennità era dovuta per gli anni in cui quest’ultimo era stato agente della società. Non era stato nemmeno provato l’avvenuto pagamento da parte della proponente della somma riconosciuta a titolo di indennità di risoluzione nella raccomandata del 22 dicembre 1988, somma questa che successivamente era stata quantificata, a seguito di consulenza contabile, con sentenza definitiva dello stesso Tribunale di Treviso del 20 ottobre 2000 in complessive L. 1.726.518 […]. Contro la sentenza parziale e quella definitiva […] ha proposto ricorso per cassazione, investendo la prima decisione con sei motivi e la seconda con un unico motivo.
Resiste con controricorso la s.p.a. […].
Il […] ha depositato memoria difensiva ex art. 378 c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Con il primo motivo di ricorso il […] censura la sentenza non definitiva per violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto; per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione; per nullità della sentenza; ed infine per il mancato riconoscimento della sua legittimazione attiva e della spendita da parte di esso ricorrente del nome della s.n.c. […]. In particolare sostiene il ricorrente che non poteva essere disconosciuta la sua legittimazione per il periodo corrente dall’aprile 1983 al marzo 1987 perché, come era risultato dalla documentazione acquisita e come si evinceva dal comportamento tenuto sempre dalla […] (che tra l’altro aveva sempre versato i contributi sul conto individuale del […] e mai in favore della società […]), e come del resto aveva precisato nel ricorso introduttivo della lite ed anche nelle note depositate all’udienza del 17 novembre 1989, egli aveva agito in nome e per conto della estinta società. La […], così, era stata subito messa in condizione di conoscere che il […] era socio della […] e che parte delle obbligazioni dedotte in giudizio si riferivano proprio a questa società. Lamentava, ancora, il ricorrente che il Tribunale, senza fornire una adeguata motivazione, aveva escluso anche che vi fosse stata nel caso di specie una cessione dei contratti (o una cessione dei crediti) una prima volta in data 20 aprile 1983 da esso […] alla società […], ed una seconda volta da quest’ultima al primo. In adesione ad un indirizzo dottrinario, confortato da decisioni della Corte Costituzionale (sentenze 12 marzo 1996 n. 66 e 21 luglio 2000 n. 319) affermava, infine, che la società T[…], in ragione di sopravvenienze attive doveva considerarsi, contrariamente a quanto ritenuto dalla impugnata sentenza, estinta il 23 dicembre 1987 (data della cancellazione nel registro dell’impresa), con la conseguenza che esso ricorrente in qualità di socio, comunista come tale di una quota ideale ed ipotetica di ogni credito della società, doveva reputarsi legittimato attivo nel giudizio intrapreso. Una diversa interpretazione dell’art. 2312 c.c., secondo comma, volta a considerare estinta la società collettiva solo con la cessazione della fase liquidatoria finiva per violare – alla luce della argomentazioni sviluppate dal giudice delle legge con la sent. n. 319 del 2000 – il disposto dell’art. 3 Cost., per introdurre una irragionevole diversità tra impresa individuale e quella collettiva in relazione alla determinazione del “dies a quo” per la declaratoria di fallimento. In ogni caso esso […] doveva ritenersi legittimato a richiedere alla […] il Firr non accantonato dalla proponente nell’apposito Fondo istituito presso l’Enasarco a norma dell’Accordo Collettivo 24 giugno 1981 anche per il periodo in cui agente della […] era, almeno formalmente, la società in nome collettivo […].
1.2. Il motivo è infondato e, pertanto, va rigettato. Anche a volere ritenere che nella specie possa configurarsi una “contemplatio domini”, con quelle ricadute sul piano processuale e sostanziale indicate in ricorso, è sufficiente – al fine di reputare privo di fondamento l’assunto del […] – ricordare che, pur potendo l’esternazione del potere rappresentativo avvenire anche senza espressa dichiarazione di spendita di nome del rappresentato purché vi sia un comportamento del mandatario che, per univocità e concludenza, sia idoneo a portare a conoscenza dell’altro contraente la circostanza che egli agisce per un soggetto diverso – nella cui sfera giuridica gli effetti del contratto sono destinati a prodursi direttamente – l’accertamento circa la sussistenza o meno della spendita del nome del rappresentato è compito devoluto al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità ove sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e da errori di diritto (cfr. in tali sensi: Cass. 14 novembre 1996 n. 9980).
1.3. Nel caso di specie il Tribunale di Treviso, con una motivazione congrua e corretta sul piano logico-giuridico, ha evidenziato come il […] abbia sempre agito in proprio e non anche come legale rappresentante della società, escludendo che vi fosse stata una “comtemplatio domini”, così come invece affermato dal […] stesso.
1.4. Nè può sostenersi, come fa il ricorrente, che la cancellazione della società dal registro delle imprese determina l’estinzione della società e che ciò legittima Il socio ad agire in giudizio per rivendicare in proprio i diritti della società stessa. Ed invero, per consolidata giurisprudenza l’atto formale di cancellazione della società ha solo funzione di pubblicità e non determina l’estinzione, ove non siano ancora esauriti tutti i rapporti giuridici facenti capo alla società stessa. Ne consegue che fino a tale momento permane la legittimazione processuale in capo alla società e deve escludersi, anche con riferimento alla successiva fase di impugnazione che, intervenuta la cancellazione, il processo già iniziato debba proseguire nei confronti o su iniziativa delle persone fisiche che la rappresentavano in giudizio o dei soci (cfr. tra le altre: Cass. 1 luglio 2000 n. 8842 cui “adde” Cass. 12 giugno 2000 n. 7972, che ribadisce che la legittimazione processuale e sostanziale, pur dopo la sopravvenuta cancellazione della società permane, per i rapporti rimasti in sospeso e non definiti, permane nei medesimi organi che la rappresentavano prima della formale cancellazione).
1.5. Corollario di tali principi e della permanenza della autonomia patrimoniale della società di persone pur dopo la cancellazione, è che i singoli soci non possono agire in proprio per far valere presunti crediti vantati dalla società, potendo detti soci agire, quali organi della società tuttora in vita, solo qualora ne abbiano la rappresentanza. Nè per andare in contrario avviso vale addurre che nel caso di specie vi sia stata una successione nei diritti della società che legittimerebbe ad agire in giudizio il […], in quanto non sono stati addotti (nè tanto meno provati) gli elementi costitutivi di una cessione di contratti o di una cessione di azienda (dalla società al suddetto […]), che avrebbero potuto determinare il subingresso nei crediti azionati dal […].
2. Con il secondo motivo il ricorrente rileva violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione; debenza per provvigioni per vendite effettuate direttamente dalla proponente nella zona attribuita in esclusiva ad esso ricorrente ed alla società […]; responsabilità della società per l’inadempimento; sussistenza della prova. Denunzia in particolare il […] la violazione dell’art. 116 c.p.c. per non avere la sentenza impugnata esposto le ragioni per le quali non erano state prese in considerazione le risultanze probatorie, indicate dalla sua difesa, ed in particolare le confessioni e le ammissioni contenute nell’interrogatorio del legale rappresentante della […]. Per quanto riguarda le mancate provvigioni relative ai […], il giudice appello aveva errato perché era documentalmente provato che detta impresa aveva sede nel Comune di […], incluso nella zona ad esso assegnata, come era incluso nella stessa zona il Comune di […], sede della ditta […], alle cui relative provvigioni aveva rinunziato però solo a partire dall’aprile 1987 in poi. Il ricorrente imputa ancora alla sentenza impugnata di avere elevato a mezzo di prova le sue dichiarazioni, rese in sede di libero interrogatorio; di avere dato rilievo alla planimetria allegata in giudizio dalla società […]; di non avere esattamente valutato le deposizioni dei testi escussi ([…]); di avere trascurato di considerare che la […] aveva confessato di non avergli corrisposto le provvigioni, in costanza dell’intero rapporto, per le vendite effettuate alla società […] ed […] e di avere, altresì, ammesso che la […] (agente per la zona di […] e cliente di […]) aveva eseguito, durante il mandato conferito ad esso ricorrente, forniture all’amministrazione provinciale di […], quindi nella zona riservatagli.
Con il terzo motivo il […] denunzia violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, violazione della legge processuale; mancata ammissione di prove e mancata assunzione delle prove ammesse. Lamenta che il Tribunale ha dato ingresso alla prova testimoniale, preferendo escutere i testi […] e non, invece, il teste […], che meglio conosceva i fatti di causa. Ugualmente privo di adeguata motivazione doveva ritenersi il rigetto dell’istanza di esibizione delle scritture contabili della società […], perché solo attraverso detta esibizione ed una correlata consulenza contabile poteva pervenirsi alla quantificazione dei crediti per le provvigioni spettanti e perché, inoltre, sulla società preponente facevano carico, in ragione di disposizioni legali (art. 2 del D.Lgs. 10 settembre 1991 n. 303) e contrattuali (art. 6 A.E.C. del 24 giugno 1981), una serie di obblighi di documentazione e di informazione nei confronti dell’agente.
Con il quarto motivo il ricorrente denunzia violazione di norme di legge; omessa ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia; inesistenza del recesso dell’agente; imputabilità della risoluzione alla colpa del preponente; debenza dell’indennità sostituiva del preavviso e dell’indennità sostitutiva di clientela. In particolare precisa il ricorrente che la sentenza impugnata nulla aveva detto in relazione al ritardo sistematico nel pagamento delle provvigioni; che il Tribunale aveva errato nell’effettuare – in relazione al ritardato pagamento di provvigioni relative al terzo e quarto quadrimestre del 1987 – la compensazione atteso che mentre il suo credito era liquido ed esigibile per l’importo di L. 2.287.003 sin dal 30 ottobre 1987, il credito della società per l’importo di L. 2.296.131 aveva la scadenza pattizia del 18 dicembre 1987; che lo stesso Tribunale aveva ancora errato nel ritenere il recesso dell’agente avvenuto sulla base della lettera dell’8 febbraio 1988; che in ogni caso il giudice d’appello non aveva tenuto conto che, dopo la suddetta lettera, la società gli aveva riconosciuto le provvigioni sugli ordini […] e l’aveva esonerato dal preavviso solo con lettera del 30 marzo 1988.
Con il quinto motivo il ricorrente denunzia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione alle provvigioni per gli ordini […]. In particolare deduce che il Tribunale ha dato una non corretta interpretazione di quanto riportato nell’atto di appello in relazione ai primi due ordini, e lamenta anche, quanto al terzo ordine, che lo stesso giudice non ha considerato provato l’invio della proposta di commissione dell’impresa […] e la relativa conclusione dell’affare, non dando alcun rilievo alla annotazione “spedito 7 marzo 1988” apposta dall’agente in calce alla proposta.
2.1. Il secondo, il terzo, il quarto ed il quinto motivo, da esaminarsi congiuntamente per comportare la soluzione di problematiche tra loro strettamente interdipendenti, vanno rigettati perché privi di fondamento.
2.2. Va premesso che tutte le critiche rivolte nei confronti della ammissione e della valutazione del materiale probatorio, operate dal giudice d’appello, non possono trovare ingresso in questa sede atteso che quando il vizio di motivazione fatto valere con il ricorso per cassazione riguarda la mancata considerazione di elementi di fatto potenzialmente rilevanti non in se stessi, ma quali fonti di prova di fatti costitutivi, estintivi o modificativi, la valutazione circa la sussistenza del requisito della adeguata incidenza causale della presunta lacuna della motivazione, deve tenere conto del principio secondo cui il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento dalle risultanze probatorie che ritiene più attendibili ed idonee, essendo sufficiente, ai fini della congruità della relativa motivazione, che risulti che l’accertamento dei fatti si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi probatori acquisiti al giudizio, considerati nel loro complesso, la quale non richiede la discussione di ogni singolo elemento o la confutazione di tutte le deduzioni difensive (cfr. in tali sensi Cass. 9 aprile 2001 n. 5235). Il giudice di merito, infatti, non ha l’obbligo di esaminare tutti gli argomenti logici e giuridici prospettati dalle parti per sostenere le loro domande ed eccezioni, essendo sufficiente che nella motivazione sia chiaramente illustrato il percorso logico seguito per giungere alla decisione quando sia comunque desumibile la ragione per la quale ogni contraria prospettazione sia stata disattesa (così Cass. 10 giugno 1997 n. 5169). Orbene, il Tribunale, dopo avere attentamente accertato lo svolgimento dei singoli fatti di causa, su cui il […] fa scaturire le proprie pretese economiche, e dopo avere esaminato il materiale probatorio ritualmente acquisito, ha rigettato le domande dell’agente o perché infondate o perché sfornite di prova, ed a tale conclusione è pervenuto attraverso un “iter” motivazionale che, per essere congruo, privo di salti logici e del tutto rispettoso delle norme di diritto, si sottrae ad ogni censura in questa sede di legittimità. Nè sotto altro versante può sottacersi che il ricorrente ha ripetutamente addebitato a Tribunale di Treviso di avere affermato la sussistenza di fatti in contrasto con la prova acquisita, finendo in tal modo per introdurre nel presente giudizio motivi non di ricorso per cassazione ma di revocazione, che comportano un accertamento di merito non consentito al giudice di legittimità (cfr. tra le tante: Cass. 1 agosto 2001 n. 10475; Cass. 27 marzo 1999 n. 2932; Cass. 2 maggio 1996 n. 4018).
3. Con il sesto motivo il ricorrente deduce che la sentenza impugnata ha violato il disposto dell’art. 429 c.p.c. ritenendo detta norma inapplicabile al suo credito per indennità di fine rapporto, che, pertanto, non è stato dal giudice d’appello liquidata con l’incremento derivante dalla rivalutazione monetaria, da cumularsi con gli interessi.
3.1. Anche questo motivo va rigettato.
Questa Corte ha più volte ribadito che la rivalutazione automatica è prevista dall’art. 409 c.p.c., n. 3 anche per i crediti derivanti dai rapporti di collaborazione che, pur dando luogo a fattispecie di lavoro autonomo, si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata che presenti analogie con il rapporto di lavoro subordinato (cfr. “ex plurimis”: Cass. 10 aprile 1966 n. 3298; Cass. 20 febbraio 1993 n. 2052; Cass. 22 luglio 1992 n. 8838 e, proprio con riferimento al rapporto di agenzia, da ultimo, Cass. 6 aprile 2002 n. 4957); ed ha anche precisato che una siffatta prestazione d’opera continuativa e coordinata deve escludersi – per difetto del carattere prevalentemente personale della prestazione – allorquando l’agente sia una società (di persone o di capitali, regolare o irregolare) o allorquando lo stesso agente (persona fisica) abbia organizzato la sua attività con criteri imprenditoriali tali, per indici rilevatori inequivoci (personale, strutture e capitali impiegati), da far concludere che egli gestisce una propria autonoma impresa (cfr. al riguardo: Cass. 24 gennaio 1998 n. 709; Cass. 17 giugno 1997 n. 5434; Cass. 4 novembre 1992 n. 11945).
3.2. Orbene, nella fattispecie in esame il Tribunale di Treviso nella sentenza non definitiva ha rigettato la richiesta di rivalutazione monetaria per trattarsi “di un rapporto di agenzia, non di lavoro subordinato”, e per non avere l’appellante dedotto un maggior danno rispetto a quello coperto dagli interessi moratori”. Con questa statuizione il Tribunale ha mostrato così di ritenere che il credito del […] dovesse essere rivalutato dal giudice solo ai sensi dell’art. 1224, secondo comma, c.c. 3.3. A fronte di tale statuizione il […] per rivendicare l’applicazione del disposto dell’art. 429 c.c. al suo credito avrebbe dovuto impugnare detta statuizione con uno specifico motivo; avrebbe, in altri termini, dovuto affermare in ricorso che il suo rapporto, sebbene autonomo, rientrava ugualmente tra quelli caratterizzati da una prestazione che, per il suo carattere continuo e coordinato, presentava con il rapporto di lavoro subordinato degli aspetti di analogia, idonei a giustificare una estensione delle tutele legislativamente apprestate in ragione di situazioni di dipendenza socio-economica.
3.4. Al riguardo va anche evidenziato che il ricorrente avrebbe dovuto – per vedere accolto la domanda di rivalutazione del suo credito – esporre in ricorso in maniera esaustiva tutti i presupposti richiesti per l’applicazione dell’art. 429 c.p.c. al suo rapporto di lavoro autonomo, atteso che per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il controllo deve essere consentito ai giudici di legittimità sulla base delle sole deduzioni contenute nell’atto, senza necessità di indagini integrative (cfr. tra le tante per il principio dell’autosufficienza: Cass. 29 maggio 2002 n. 7820; Cass. 21 novembre 2001 14728; Cass. 13 aprile 2000 n. 4759).
4. In relazione alla sentenza definitiva il […] denunzia, infine, un ingiusto governo delle spese del giudizio per essere le stesse state compensate nonostante che la sua domanda fosse stata, seppure in parte, accolta.
4.1. Anche questa statuizione della impugnata decisione si sottrae ad ogni critica in quanto esula dal sindacato di legittimità e rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito la valutazione dell’opportunità della compensazione, totale o parziale, delle spese processuali, essendo la statuizione sulle spese, adottata dal giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità nei soli casi di violazione del divieto, posto dall’art. 91 c.p.c., di porre anche parzialmente le spese a carico della parte totalmente vittoriosa o nel caso di compensazione delle spese stesse fra le parti adottata con motivazione illogica o erronea (cfr. “ex plurimis”: Cass. 7 marzo 2001 n. 3272; Cass. 20 settembre 2000 n. 12431; Cass. 14 giugno 1999 n. 5909). 5) Per concludere il ricorso va rigettato con la conferma dell’impugnata sentenza.
5.1. Ricorrono giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione. […]