Corte di Cassazione, Sez. L, Sentenza n. 7473 del 2012, dep. il 14 maggio 2012

 

[…]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di Appello di Milano, confermando la sentenza di primo grado, accoglieva la domanda dell'[…] d’insinuazione al passivo del Fallimento […] in epigrafe limitatamente alle somme richieste a titolo di contributi omessi e relative sanzioni per il periodo dal 1 febbraio 1993 alla data del fallimento e respingeva quella parte della domanda concernente le somme richieste a titolo di contributi ed accessori riferiti al periodo intercorrente tra la dichiarazione del fallimento e la data in cui il curatore aveva intimato ai dipendenti il licenziamento.
La predetta Corte, per quello che interessa in questa sede, disattendeva, pregiudizialmente, l’eccezione, sollevata dal Fallimento […], di estinzione del processo a seguito dell’omessa notifica – nel termine perentorio assegnato all'[…] dal giudice di primo grado – dell’atto integrativo finalizzato a sanare la nullità dell’atto introduttivo e tanto in considerazione della irrilevanza di tale integrazione stante la natura della dichiarazione tardiva – di cui all’art. 101, L. Fall. di domanda giudiziale volta ad ottenere il riconoscimento del diritto al concorso e la funzione introduttiva dì un giudizio a carattere contenzioso ancorché suddiviso in due fasi, la prima delle quali di carattere sommario e, tuttavia, dotata di piena attitudine a definire la vertenza, con l’ammissione del credito in caso di mancata contestazione e conseguente modificazione dello stato passivo.
Riteneva, poi, la Corte in parola, di non poter ammettere al passivo i crediti vantati dall'[…] a titolo di contributi ed accessori riferiti al periodo compreso tra la dichiarazione del fallimento e la data di licenziamento dei dipendenti sul presupposto che, conseguendo al fallimento la cessazione dell’attività aziendale, il periodo intercorrente fino al licenziamento non poteva reputarsi quale periodo di lavoro prestato ed in quanto tale fonte di obbligazione a carico della massa. Nè secondo la Corte territoriale aveva rilevanza l’ammissione al passivo in prededuzione dei dipendenti per somme corrispondenti alle retribuzioni relative al periodo successivo alla sentenza di fallimento avendo, tale ammissione, un efficacia limitata in ambito fallimentare ed un inettitudine alla formazione del giudicato anche di carattere riflesso, stante il carattere autonomo ed indipendente dell’obbligazione retributiva da quella contributiva attestata dalla totale diversità di soggetti, causa petendi e petitum.
Avverso questa sentenza l'[…] ricorre in cassazione sulla base di due censure.
Resiste con controricorso il Fallimento in epigrafe che propone impugnazione incidentale assistita da un’unica censura. L'[…] deposita procura.

MOTIVI DELLA DECISIONE
I ricorsi vanno preliminarmente riuniti riguardando l’impugnazione della stessa sentenza.
Con il primo motivo del ricorso principale l'[…], deducendo violazione dell’art. 2119 c.c., R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 72, D.L. 9 ottobre 1989, n. 338, art. 1 convertito dalla L. 7 dicembre 1989, n. 389, formula, ex art. 366 bis c.p.c., il seguente quesito di
diritto: “se, una volta riconosciuta la prosecuzione dei rapporti di lavoro subordinato con il fallimento al momento della dichiarazione di fallimento sino al momento del licenziamento dei lavoratori da parte del curatore, con il permanere di tutti gli obblighi sorti dal momento dell’instaurazione del rapporto di lavoro sia dovuta da parte del datore di lavoro poi fallito la contribuzione previdenziale sulle retribuzioni che sarebbero spettate ai lavoratori subordinati nel medesimo lasso temporale”.
Con la seconda censura l'[…], denunciando violazione dell’art. 2909 c.c., R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, art. 37, comma 1 convertito in L. 6 aprile 1936, n. 1155, e D.L. 9 ottobre 1989, n. 338, art. 1 convertito in L. 7 dicembre 1989, n. 389, articola, ex art. 366 bis cit., il seguente quesito di diritto:”se, una volta sia stato riconosciuto da parte della curatela fallimentare in capo ai lavoratori il diritto alla retribuzione, per il lasso temporale che va dalla dichiarazione di fallimento al licenziamento dei lavoratori da parte del curatore, non sorga automaticamente da un verso l’obbligo da parte della curatela medesima di pagare la connessa contribuzione previdenziale obbligatoria e, dall’altro verso, in capo all'[…] il diritto da insinuare in prededuzione il proprio credito contributivo nella procedura concorsuale”.
Con l’unico motivo del ricorso incidentale il Fallimento in epigrafe, allegando violazione dell’art. 101, comma 3, L. Fall. in relazione all’art. 163 c.p.c., comma 3, n. 7 e art. 164 c.p.c. – come sostituiti dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 7 – e art. 306 c.p.c., comma 3, formula, ex art. 366 bis c.p.c., il seguente quesito
di diritto:”se essendosi il procedimento di verificazione di un credito, insinuato ai sensi dell’art. 101 L. Fall., trasformato, ex art. 101, comma 3, L. Fall., in procedimento contenzioso, a seguito della contestazione del curatore ancora non costituitosi in giudizio, la mancata osservanza, da parte del creditore istante, del termine assegnato dal giudice – per rinnovare la notifica del ricorso, al fine d’integrare l’atto introduttivo del giudizio, in relazione al difetto di vocativo in ius, non contenente l’invito previsto dall’art. 163 c.p.c., n. 7 con il relativo avvertimento in ordine la regime delle decadenze, stabilito a pena di nullità ai sensi dell’art. 164 c.p.c., comma 1 – produca gli effetti dell’art. 164 c.p.c., comma 2, ult. parte”.
È pregiudiziale l’esame del ricorso incidentale che risulta infondato. Invero l’art. 101, terzo 3, L. Fall. (previgente testo) configura due possibili forme di accertamento e dichiarazione tardiva del credito delle quali la prima, che si conclude con un provvedimento – decreto – di ammissione al passivo assunto dal giudice delegato, presuppone la ricorrenza della duplice condizione della non contestazione da parte del curatore all’ammissione del credito e l’accertamento da parte del giudice della fondatezza dello stesso, la seconda, la quale si conclude con sentenza del Tribunale fallimentare, presuppone che l’ammissione del credito, di cui si chiede l’insinuazione tardiva, sia contestata dal curatore e che, a seguito di tale contestazione, il giudice abbia provveduto alla istruzione della causa a norma degli artt. 175 segg. c.p.c.. Il procedimento di verificazione, quindi, in ragione delle contestazioni del curatore, si trasforma automaticamente (art. 101, comma 3, seconda parte, L. Fall.), in un procedimento ordinario di cognizione (Cass. 5 gennaio 2000 n. 55). Pertanto ai fini di detta automatica trasformazione non occorre un nuovo atto introduttivo in quanto è l’originario procedimento di verificazione che, apertosi a seguito del ricorso al giudice delegato di cui all’art. 101, comma 1 L. Fall. (ex R.D. 16 marzo 1942, n. 267 applicabile ratione temporis), prosegue con i caratteri del normale giudizio di cognizione, da istruirsi a norma dell’art. 175 e segg. c.p.c.. Il citato art. 101, penultimo comma, L. Fall., difatti, dispone che in caso di contestazione da parte del curatore il giudice provvede all’istruzione della causa a norma degli artt. 175 e segg.c.p.c.. Nè può fondatamente assumersi che la fase contenziosa, che sia apre a seguito della contestazione del curatore, costituisce un procedimento nuovo e diverso da quello apertosi con il ricorso ex art. 101, comma 1, L. Fall. tanto è vero che, secondo giurisprudenza di questa Corte, la richiesta di insinuazione tardiva al passivo fallimentare, al pari dell’ordinaria domanda di ammissione al passivo stesso, esige la specificazione del titolo da cui il credito si assuma derivare, sicché, nel giudizio di cognizione, che insorga per effetto della contestazione di tale credito, deve ritenersi preclusa all’istante la possibilità di far valere titoli diversi (Cass. 14 novembre 1989 n. 4844). Il contraddittorio, anche per l’eventuale fase contenziosa, si forma a seguito della notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza del giudice delegato.
È corretta, pertanto, la sentenza impugnata che ha ritenuto irrilevante, stante la specialità del procedimento di verificazione di cui al citato art. 101, L. Fall., la notifica al curatore, ai fini della fase contenziosa apertasi a seguito della contestazione del credito da parte dello stesso curatore, di una citazione integrativa della dichiarazione tardiva di credito conforme alle prescrizioni di cui all’art. 163 c.p.c., n. 7 e art. 164 c.p.c., comma 1. Passando all’esame del ricorso principale rileva il Collegio che il primo motivo è infondato.
Questo giudice di legittimità ha già, condivisibilmente affermato (Cass. 7 febbraio 2003 n. 1832) che ai sensi dell’art. 2119 c.c., comma 2, il fallimento dell’imprenditore non costituisce giusta causa di risoluzione del contratto di lavoro e la ratio di tale disposto si fonda (Cass., S.U. n. 2637 del 1966) sulla considerazione della unitarietà della azienda e della sua sopravvivenza alla dichiarazione di fallimento, alla quale non consegue la cessazione dell’impresa “che passa soltanto da una gestione per fini di produzione, suscettibile per altro di essere continuata o ripresa (come non infrequentemente accade), ad una gestione per fini di liquidazione” (Cass. n. 3493 del 1979) .Nè, ha precisato questa Corte (nella citata sentenza n. 1832 del 2003), il disposto dell’art.2119 c.c., comma 2 esclude l’applicazione dei principi relativi agli
effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti di cui è espressione l’art. 72, comma 2, L. Fall., che benché dettato per la compravendita ancora ineseguita, trova applicazione generale (salva la diversa disciplina dettata specificamente dagli articoli successivi della stessa sezione della legge) nel senso che il curatore non è tenuto a perfezionare o proseguire i rapporti che trova pendenti e ha invece, ove non ne ritenga utile il perfezionamento o la prosecuzione, facoltà di sciogliersi (Cass. n. 799 del 1980). Pertanto a seguito della dichiarazione di fallimento deve ritenersi che, nell’ipotesi in cui non vi sia esercizio provvisorio dell’attività imprenditoriale, ma cessazione dell’attività aziendale, come nella specie, il rapporto di lavoro rimane sospeso sino alla dichiarazione del curatore di cui all’art. 72, comma 2, L. Fall.. Del resto, questa Corte aveva già sancito che qualora sopravvenga il fallimento del datore di lavoro, nel corso di un rapporto di lavoro a tempo determinato, al curatore, che non ritenga di poter utilizzare le prestazioni del dipendente a causa della cessazione dell’attività aziendale e delle esigenze della procedura concorsuale, deve riconoscersi, in applicazione dei principi generali evincibili dall’art. 72, L. Fall. e non derogati dall’art. 2119 c.c., la facoltà di sciogliersi dal rapporto medesimo, senza che in conseguenza dì ciò il prestatore di lavoro possa far valere nei confronti della massa un diritto al risarcimento del danno, ancorché espressamente pattuito con il datore di lavoro con riferimento a qualunque causa di cessazione anticipata del rapporto di lavoro (Cass. 5 febbraio 1980 n. 799). Stante l’applicabilità dall’art. 72, L. Fall. non derogato dall’art.2119 c.c. deve darsi risposta negativa al quesito di cui alla censura
in esame.
Passando all’esame della seconda critica ritiene il Collegio di richiamare,in via preliminare, quanto già rilevato da questa Corte nella sentenza del 27 marzo 2004 n. 6155 che va in questa sede ribadito. La retribuzione, si è rimarcato nella citata sentenza, è collegata alla prestazione effettiva del lavoro, non soltanto ai fini della sua commisurazione (ai sensi dell’art. 36 Cost.), ma anche per la stessa configurazione del relativo diritto, il quale non sorge ex se in ragione della esistenza e del protrarsi del rapporto, ma presuppone – per la natura sinallagmatica del contratto di lavoro – la corrispettività delle prestazioni. Tale principio si è ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, con la conseguenza che con riferimento agli intervalli non lavorati intercorsi tra più contratti a termine, si è escluso che la conversione ex lege in un unico contratto a tempo indeterminato comporti il diritto a retribuzione per l’intero periodo, compresi i predetti intervalli in cui non vi è stata prestazione di lavoro (cfr. Cass. Sez. Un. 5 marzo 1991 n. 2334; Cass. 21 dicembre 1998 n. 12752; Cass. 8 dicembre 2002 n. 14381; cfr., altresì, con riferimento agli intervalli non lavorati nei rapporti a tempo parziale, Cass. Sez. Un. 6 febbraio 2003 n. 1732). In tali casi, la Corte ha avuto modo di rilevare che solo nell’ipotesi del licenziamento illegittimo e delle relative conseguenze il legislatore ha inteso attribuire diritti retributivi al lavoratore malgrado la non avvenuta prestazione lavorativa, prevedendo analiticamente il risarcimento del danno commisurato alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello della reintegrazione (in tali termini, cfr Cass. Sez. Un. n. 2334 del 1991, nonché Id. 27 luglio 1999 n. 508, con riferimento alle diverse conseguenze risarcitorie nel regime di tutela reale e in quello di tutela obbligatoria), e ciò in ragione del fatto che nel caso di licenziamento illegittimo l’equiparazione della mera utilizzabilità delle energie lavorative del prestatore alla loro effettiva utilizzazione (cfr. Cass. 23 ottobre 2000 n. 13953) consegue, oltre che alla ricostituzione del rapporto e al ripristino della lex contractus, all’accertamento giudiziale dell’illegittimità del comportamento datoriale, e cioè dell’imputabilità al datore di lavoro della mancata prestazione lavorativa (e ciò vale a spiegare, peraltro, il fatto che il risarcimento debba essere ridotto nella misura di quanto percepito per la prestazione lavorativa svolta nel periodo considerato presso altri datori di lavoro – aliunde perceptum – e non, invece, per quanto percepito a titolo diverso, per esempio a titolo di trattamento pensionistico: cfr. Cass. Sez. Un. 13 agosto 2002 n. 12194). Da tanto consegue che quando non vi è prestazione lavorativa non vi può essere (eccetto i casi di illegittima interruzione o unilaterale sospensione del rapporto, nei quali l’obbligo retributivo è riconducibile agli effetti risarcitori della condotta inadempiente del datore di lavoro) striato sensu retribuzione difettando il sinallagma funzionale del contratto.
Lo stesso denunciato R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, art. 37, comma 1 convertito in L. 6 aprile 1936, n. 1155 con riferimento alle assicurazioni per l’invalidità e per la vecchiaia, per la tubercolosi e per la disoccupazione involontaria ne stabilisce l’obbligatorietà per le persone …. che prestino lavoro retribuito alle dipendenze altrui. Il che fa presupporre, in linea generale – e, quindi salvo alcune particolari situazioni specificamente indicate (malattia, infortunio etc.) – che la contribuzione è correlata si alla retribuzione, ma solo ed in quanto questa sia ricollegabile alla effettiva prestazione lavorativa. La retribuzione, infatti, è tale solo ed in quanto sia in rapporto funzionale di sinallagmaticità con lo svolgimento della attività lavorativa.
Orbene applicando questi principi al caso di specie, in cui per effetto della dichiarazione di fallimento sino alla dichiarazione del curatore di cui all’art. 77, comma 2, L. Fall. come rilevato in sede di esame del primo motivo del ricorso principale – il rapporto di lavoro, in assenza di prestazione, pur essendo formalmente in essere, rimane sospeso è consequenziale che difettando il rapporto di sinallagmaticità non è configurabile una retribuzione e tanto slmilmente all’ipotesi dei periodi non lavorati dei contratti a termine dove l’obbligo retributivo non può discendere dalla mera sussistenza del rapporto.
Non essendovi obbligo retributivo per l’assenza di prestazione lavorativa non è configurabile un credito contributivo dell'[…]. Nè rileva, come sottolineato dalla Corte del merito, l’ammissione al passivo fallimentare dei crediti retributivi relativi al periodo di cui trattasi poiché il provvedimento giudiziale intervenuto fra la curatela e i lavoratori in relazione ai predetti crediti non spiega efficacia nel presente giudizio che attiene ad un diverso oggetto. Deve, quindi, darsi risposta negativa al quesito di cui alla seconda censura del ricorso principale.
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