Corte di Cassazione, Sez. I, n. 1781, dep. il 13 Aprile 1989

[…]

Svolgimento del processo

[…] in data 23.6.81 conveniva davanti al Tribunale di Modena […] per sentirlo condannare alla restituzione di L. 26.644.000, sostenendo di avergliele date a mutuo: quanto a L. 14.000.000 in data 9.7.80 mediante l’emissione in favore di lui di tre assegni bancari; quanto a L. 12.644.000 in data 6.8.80 mediante un accredito bancario, con l’intervento del notaio […], in favore della s.a.s. […], cui succedette in data 12.11.80 la s.a.s. […], che annoverava fra i soci raccomandatari […].
Costituitosi, il […], sostenendo di non essere stato il destinatario del danaro suddetto e negando che quel danaro fosse appartenuto al […], eccepiva, pregiudizialmente, la carenza di legittimazione attiva di lui nonché il difetto della sua legittimazione passiva.
Il Tribunale accoglieva solo parzialmente la domanda del […], mentre la Corte di Bologna, accogliendo l’appello incidentale di costui, riteneva accertata, mediante l’espletata indagine, l’intera pretesa del […].
Osservava la Corte che il comportamento processuale del […], il quale contro ogni evidenza si ostinava a negare di avere avuto rapporti col […] (dichiarato fallito nelle more processuali e quindi sostituito dalla curatrice del fallimento di lui, dr. Proc. […]) induceva a ritenere veritiero l’assunto del […] stesso circa la dazione del prestito di L. 14.000.000 suffragato dalla produzione delle tre copie fotostatiche degli assegni bancari emessi (dal […]) in favore del […] e da questi girati per l’incasso, nonché dal contegno processuale del […] che non aveva negato di avere ricevuto gli assegni e di averli firmati per girata.
Osservava inoltre la Corte che, quanto al mutuo di lire 12.644.000, emergeva dalle attestazioni del notaio […] e della Banca […] nonché dalla certificazione della Camera di Commercio di […] che il danaro era stato erogato dal […] in favore della s.a.s. […] (per coprire un assegno bancario emesso a vuoto da questa società), alla quale in data 12.11.80 era succeduta la s.a.s. […], la quale, annoverando tra i soci raccomandatari […] o […], era subentrata in tutte le attività e passività della dante causa.
Aggiungeva, infine, la Corte che dai documenti prodotti in causa emergeva come la modificazione della ragione sociale dell’impresa era avvenuta in famiglia, dal momento che al precedente titolare […] erano succeduti i figli […] e […] nonché il genero […].
Conseguentemente la Corte di Bologna condannava, con la sentenza dell’8.5.86, […] al pagamento, in favore del fallimento di […], della somma di L. 26.644.000 oltre gli interessi ed alle spese del doppio grado di giudizio.
Contro tale pronuncia […] ha proposto ricorso per cassazione sulla base di 4 motivi.
Il Fallimento di […] ha presentato controricorso.

Motivi della decisione

Pregiudizialmente va rilevato che risultano notificati e depositati due ricorsi, aventi il medesimo contenuto, iscritti rispettivamente sotto i n.ri 6004-87 e 6371-87 del R.G.. Essi vanno riuniti ed il primo, carente dell’esposizione sommaria dei fatti di causa, va dichiarato inammissibile. E’ evidente che l’esame della controversia va collegato ai motivi del 2° (gradi) ricorso, ritualmente notificato.
Con i primi due motivi che, data la loro intima connessione, vanno esaminati congiuntamente, il ricorrente, denunciando violazione degli artt. 1988 e 2697 c.c. nonché erronea ed insufficiente motivazione, in relazione all’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c. , sostiene che, avendo il […] qualificata la “causa petendi” nell’inadempimento del […] conseguente alla stipula di un contratto di mutuo (mancata restituzione del prestito), il giudice del merito avrebbe dovuto rilevare il difetto di prova (quale onere dell’attore: […], prima, e fallimento, poi) circa l’esistenza del mutuo e non fondare il proprio convincimento sul comportamento del […] che aveva negato ogni rapporto col […], dato che quella negazione si riferiva unicamente a rapporti aventi carattere obbligatorio ed a contenuto restitutorio.
La censura è infondata.
E’ indirizzo giurisprudenziale di questa Corte che, in difetto di una gerarchia tra i vari mezzi di prova, anche il comportamento processuale della parte può costituire unica e sufficiente fonte del convincimento del giudice del merito, dato che esso si risolve in una condotta qualificata della parte, idonea a determinare e ad orientare l’indagine valutativa di lui (sent. 6.1.82 n. 4 – sent. 23.4.83 n. 2804 – sent. 5.6.85 n. 3800).
Alla luce di un tale orientamento la Corte del merito ha deciso sul punto.
Sicché, le copie fotostatiche degli assegni bancari emessi dal […] in favore del […] non sono state considerate come prova esaustiva del contratto di mutuo: la qual cosa non sarebbe stata concepibile attesa la natura (cartolare) del titolo, avulsa dal rapporto sottostante, ma sono state valutate come elemento positivo (non negato dal […]) nel contegno complessivo del […], il quale in modo contraddittorio, pur negando ogni rapporto col […], non escludeva specificamente di avere avuto da lui gli assegni bancari, le cui copie erano state prodotte in causa.
L’aggiunta introdotta per la prima volta in questa sede, (non risultando tracce sulla motivazione della sentenza impugnata) riguardante la pretesa volontà di negare unicamente “i rapporti obbligatori a contenuto restitutorio” non può valere ad inficiare il ragionamento del giudice di merito, che, nella sua corretta esposizione, si presenta immune da vizio logico e da poca chiarezza soprattutto là dove afferma: “l’appellante contro ogni evidenza si è ostinato a negare di avere avuto rapporti col […]”.
Col terzo motivo il ricorrente, denunciando omessa ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, si duole che pur essendo emerso dall’istruttoria processuale:
a) che la somma di L 12.644.000 era stata accreditata in favore della s.a.s. […], della quale unico socio accomandatario era […];
b) che solo successivamente in data 12.11.80 la ragione sociale dell’impresa era stata trasformata in s.a.s. […], con l’attribuzione della qualifica di socio accomandatario a […], entrato a far parte della società, la Corte del merito abbia ritenuto quest’ultimo illimitatamente e solidalmente responsabile dei debiti sociali anche con riferimento a quelli pregressi e anteriori alla assunzione della qualifica di socio accomandatario di lui.
La censura è priva di fondamento, perché non tiene conto delle disposizioni legislative in base alle quali il giudice del merito è pervenuto alla decisione adottata.
Premesso che il debito sociale non subiva influenza negativa in alcuna occasione della trasformazione della ragione sociale dell’impresa e dell’ingresso in essa di altri soci tra cui […], con la qualifica di socio accomandatario, si verificava il fenomeno giuridico della responsabilità dell’accomandatario per tutte le obbligazioni sociali anche anteriori all’acquisto di tale qualità in virtù del doppio rinvio dall’art. 2315 c.c. all’art. 2293 c.c. ed all’art. 2269 c.c. e della conciliabilità delle disposizioni, applicabili nel modo conveniente secondo le regole del “mutatis mutandis” (Cass.: artt. 2318 c.c. e 2291 c.c.). Col quarto motivo il ricorrente si duole che siano state poste a suo carico le spese procesuali di 1° (gradi) e 2° (gradi) grado, nell’erroneo convincimento del giudice del merito che egli fosse soccombente.
La censura si presenta come incomprensibile, sul rilievo che il convincimento di quel giudice non è stato affatto erroneo, tant’é che col rigetto del presente ricorso il […] va condannato al pagamento delle spese processuali a […]