[…]
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
1. Con sentenza 16 marzo 2010 il Tribunale di Aosta ha dichiarato il fallimento della s.n.c. […] e di […] in qualità di socio illimitatamente responsabile. Nel corso della procedura per la dichiarazione di fallimento, iniziata a seguito di istanza ….2009 del PM a cui si era poi aggiunta l’istanza …2009 della società creditrice […] s.r.l., era stata eccepita l’inammissibilità di questo ricorso da parte della […] s.n.c. e, che, costituendosi, aveva posto a fondamento dell’eccezione la propria ammissione alla procedura di concordato preventivo.
Il Tribunale, prima di esaminare questa eccezione, ha ripercorso le vicende della società […]; tali vicende possono essere sintetizzate come segue.
– […] s.r.l. fu posta in liquidazione con delibera assembleare del […];
all’epoca i soci erano tre: […], […] e […] s.p.a.;
– il 4 agosto 2009 i fratelli […] cedettero le loro quote a […] s.p.a., che quello stesso giorno fu trasformata in s.r.l. per essere poi trasformata in s.n.c. il 15 settembre;
– il 16 settembre […] fu trasformata da s.r.l. in liquidazione in s.n.c. in liquidazione;
– il 1 ottobre […] cedette la sua partecipazione in […] a […] il quale dichiarò in atto di voler rinunciare alla ricostituzione della pluralità dei soci e di voler esercitare l’attività in forma individuale;
– la […] s.n.c. in liquidazione fu cancellata dal registro delle imprese in data ….2009, avendo presentato richiesta il giorno prima;
– l’8 ottobre fu revocato lo stato di liquidazione della […] s.n.c. e ad essa lo stesso giorno […], titolare della ditta individuale […], conferì l’azienda.
Il Tribunale ha rilevato innanzitutto che non era trascorso l’anno dalla cancellazione della società dal registro delle imprese, con conseguente possibilità di dichiararne il fallimento; ha ritenuto irrilevante il fatto che tale cancellazione non fosse stata preceduta dalla liquidazione del patrimonio sociale, trattenuto dall’unico socio quindi conferito ad altra società; ha ritenuto quindi, in applicazione di quanto disposto dall’art. 2560 c.c., che il trasferimento dell’azienda non avesse liberato il cedente dei suoi debiti e che di conseguenza non avesse privato i creditori del diritto di agire nei confronti del cedente, anche mediante istanza di fallimento; ha ritenuto poi irrilevante il fatto che il soggetto cui l’azienda era stata conferita fosse stato ammesso alla procedura di concordato preventivo.
1.1- Con la sentenza impugnata (depositata il 14.7.2010) la Corte di appello di Torino ha rigettato il reclamo proposto dalla società […] e da […], osservando che la cancellazione di detta società dal registro era avvenuta da meno di un anno e che la continuazione dell’attività aziendale ad opera dell’unico socio superstite non configurava, come sostenevano i reclamanti, una trasformazione eterogenea della s.n.c. in impresa individuale, bensì una mera cessione d’azienda che non liberava la cedente dalle pregresse obbligazioni.
Contro la sentenza di appello la s.n.c. […] e […] hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Resistono con controricorso la curatela fallimentare nonché la creditrice istante s.p.a. […]. Nel termine di cui all’art. 378 c.p.c., i ricorrenti hanno depositato memoria.
2.1.- Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione di norme di diritto (art. 2500 septies, in combinato disposto con gli artt. 2498, 2500 quinquies, 2500 sexies, 2500 octies e 2500 novies c.c.) lamentando che erroneamente la corte di merito abbia ritenuto inammissibile la trasformazione eterogenea da società di persone in impresa individuale, con applicazione dell’art. 2498 c.c.. Deducono che nella concreta fattispecie il soggetto fallibile è l’impresa individuale […] e non la s.n.c. […].
2.1.1.- Il motivo è inammissibile.
Invero, ammessa pure la configurabilità di una trasformazione eterogenea da società di persone in impresa individuale (contro, peraltro, il dato testuale di cui all’art. 2498 c.c.: trasformazione di “ente” in “ente”, mentre l’impresa individuale non è contemplata) se ne dovrebbe dedurre che il soggetto giuridico ha mutato abito ma non identità, tale essendo appunto il proprium dell’istituto della trasformazione, ed allora si tratterebbe al più di correggere l’intestazione della dichiarazione di fallimento unificando quello sociale e quello personale dell’ex socio illimitatamente responsabile divenuto titolare dell’impresa individuale, ma non certo di revocare il fallimento: donde il difetto di interesse del ricorrente a sollevare una questione di sapore essenzialmente accademico.
2.2.- Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione di norme di diritto (art. 2498 c.c., in combinato disposto con gli artt. 2500 septies, 2272 e 2308 c.c.) deducendo che una società di persone può trasformarsi in impresa individuale allorché viene meno la pluralità dei soci e l’impresa in tal modo trasformata subentra ex art. 2498 c.c., conservando e proseguendo tutte le situazioni giuridiche, sia attive che passive, della società.
2.2.1.- In motivo è infondato.
La nascita di un’impresa individuale, cui quella collettiva trasferisca il proprio patrimonio, non preclude la dichiarazione del fallimento della società entro un anno dalla sua eventuale cancellazione dal registro delle imprese (Sez. 1, n. 1593/2002). Principio affermato in una fattispecie nella quale era stata dichiarata fallita una società disciolta, per mancata ricostituzione della pluralità dei soci a seguito di recesso di uno di questi, con assorbimento integrale del patrimonio nell’impresa individuale del socio superstite).
Secondo la giurisprudenza di questa Corte nell’ipotesi di assegnazione di azienda rientra l’atto con il quale uno dei soci receda da una società in nome collettivo composta da due soli soci, dando quietanza dell’avvenuta liquidazione della quota, mentre l’altro contestualmente dichiari di non voler ricostituire la società, ma di voler proseguire in proprio, quale imprenditore individuale, l’attività d’impresa. Ciò in quanto lo scioglimento della società, che a norma dell’art. 2272 c.c., n. 4, si determina per la sopravvenuta mancanza della pluralità dei soci, se la società non sia ricostituita nel termine di sei mesi, quando riguarda una società di persone non determina alcuna modificazione soggettiva dei rapporti facenti capo all’ente, la titolarità dei quali si concentra nell’unico socio rimasto; l’attesa semestrale dell’eventuale ricostituzione della pluralità dei soci può essere anticipatamente interrotta dalla scelta del socio superstite di non trovare altri soci, bensì di continuare l’attività come impresa individuale. Una siffatta vicenda non integra una trasformazione nel senso tecnico inteso dall’art. 2498 c.c., riferito alla trasformazione di una società da un tipo ad un altro, bensì un rapporto di successione tra soggetti distinti, distinguendosi, appunto, persona fisica e persona giuridica per natura, e non solo per forma. L'”atipica trasformazione” in parola è preceduta dallo scioglimento della società e dalla liquidazione della stessa, concludentesi con l’assegnazione del patrimonio sociale residuo al socio superstite ai fini della successiva estinzione della società stessa (Sez. 5, n. 3670/2007). Principio indubbiamente valido anche alla luce della riforma del diritto societario, posto che, come innanzi rilevato, l’art. 2498 c.c., riserva la disciplina della trasformazione a quella di un “ente” in altro “ente” (nella eterogenea da società in consorzi, società consortili, comunioni d’azienda, associazioni non riconosciute e fondazioni e viceversa: artt. 2500 septies e 2500 octies). È assorbente, peraltro, la circostanza che i ricorrenti non censurano adeguatamente l’accertamento (in fatto) operato dalla corte di merito, secondo cui l’atto posto in essere con la c.d. trasformazione della s.n.c. in impresa individuale non implicherebbe affatto un intento di trasformazione, bensì il semplice conferimento dell’azienda sociale al socio unico superstite come modalità di liquidazione del patrimonio della società, dovendosi prescindere dalla mera intestazione dell’atto notarile anche come “trasformazione”.
2.3.- Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano la violazione dell’art. 2498 c.c., in combinato disposto con l’art. 2560 c.c., e L. Fall., art. 10.
Deducono che, essendo stata poi la medesima azienda ulteriormente trasferita dal socio unico superstite ad altra società che era stata ammessa a concordato preventivo, sarebbe venuta meno la possibilità di dichiarare il fallimento del cedente.
2.3.1.- La censura è inammissibile perché dalla sentenza impugnata si evince che la questione relativa agli effetti dell’ammissione della […] al concordato preventivo, mentre è stata affrontata dalla sentenza del tribunale, non è stata riproposta, con specifico motivo di reclamo, alla Corte di appello. Nè i ricorrenti indicano in ricorso se e con quali modalità sia stata prospettata la censura stessa alla corte di merito, in violazione del principio di autosufficienza.
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