Corte di Cassazione, Sez. Tributaria, Sentenza n. 3670 del 2007, dep. il 16 febbraio 2007

[…]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La controversia concerne l’impugnazione del silenzio rifiuto opposto dall’amministrazione alla richiesta di rimborso presentata dal notaio […] dell’imposta di registro applicata in misura proporzionale, in luogo della misura fissa ritenuta giusta dall’istante, su un atto pubblico di recesso di socio e trasformazione di società in nome collettivo irregolare in impresa individuale, da quest’ultimo stipulato.
La Commissione adita rigettava il ricorso e la decisione era confermata in appello con la sentenza in epigrafe, avverso la quale il contribuente propone ricorso per Cassazione con unico motivo. L’[…], nei cui confronti è stato proposto il ricorso non si è costituita. Il […] ha, invece, depositato un “atto di costituzione” ai soli fini della partecipazione all’udienza di discussione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di ricorso, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, comma 1, e dell’art. 9 della tariffa, parte prima, allegata al predetto decreto e dell’art. 4, lettere c) e d) della stessa tariffa: erroneamente il giudice di merito ha ritenuto corretta la posizione dell’Ufficio che aveva interpretato come “cessione d’azienda”, con conseguente applicazione dell’imposta proporzionale di registro, l’atto stipulato dal notaio ricorrente, con il quale, con riferimento ad una società in nome collettivo composta da due soli soci, uno dei soci recedeva dalla società, dando quietanza dell’avvenuta liquidazione della quota, mentre l’altro, contestualmente dichiarava di non voler ricostituire la società ma di voler proseguire in proprio, quale imprenditore individuale, l’attività di impresa. Ad avviso del ricorrente, a tale atto avrebbe dovuto, invece, applicarsi l’imposta di registro in misura fissa.

Il motivo è fondato.

A norma dell’art. 2272 c.c., n. 4, una delle cause di scioglimento della società è la sopravvenuta mancanza della pluralità dei soci, se la stessa non sia ricostituita nel termine di sei mesi: siffatta situazione, nel caso si tratti dello scioglimento di una società di persone, “non determina alcuna modificazione soggettiva dei rapporti facenti capo alla società, la titolarità dei quali si concentra nell’unico socio rimasto” (Cass. n, 3269/2003). Invero “nella società di persone, l’unificazione della collettività dei soci (che si manifesta nell’attribuzione alla società di un nome, una sede, una rappresentanza ed un’autonomia patrimoniale) non perviene fino alla formazione di un ente terzo rispetto ai soci: con la conseguenza, sul piano sostanziale, dell’esclusione, nei rapporti interni, di un interesse della società potenzialmente distinto ed antagonista nei confronti dei soci, e, sul piano processuale, della regolarità dell’instaurazione del contraddittorio con la presenza in giudizio di tutti i soci, facendo stato la pronuncia anche nei riguardi della società” (Cass. n. 2226/1996, in motivazione). L’attesa semestrale della eventuale ricostituzione della pluralità dei soci può essere anticipatamente interrotta dalla scelta dell’unico socio rimasto di non trovare altri soci, bensì di continuare l’attività come impresa individuale. In questo caso non si può parlare di trasformazione nel senso tecnico che tale lemma assume nel contesto normativo di cui all’art. 2948 c.c.: infatti, la cd. “trasformazione” di una società di persone che non abbia più il requisito della pluralità di soci in impresa individuale determina, non già una modificazione dell’atto costitutivo (come accade nella trasformazione di una società da un tipo ad un altro), bensì “un rapporto di successione tra soggetti distinti, perché persona fisica e persona giuridica si distinguono appunto per natura non solo per forma” (Cass. n. 1593/2002). Tuttavia, questa “trasformazione” non realizza una “cessione d’azienda” tra società e impresa individuale, in quanto la “continuazione dell’attività”, che a mezzo di siffatta atipica “trasformazione” si vuole realizzare, è sempre preceduta dallo scioglimento della società e dalla liquidazione della medesima. Quando con il decorso di sei mesi dal venir meno della pluralità dei soci, o, anche anticipatamente, per volontà espressa del socio superstite, si determina lo scioglimento della società, deve esserne effettuata la liquidazione, che si conclude con l’assegnazione del patrimonio sociale residuo al socio superstite (art. 2311 c.c.) ai fini della successiva estinzione della società stessa (art. 2312 c.c.). L’assegnazione de qua (avente ad oggetto l’intero complesso aziendale facente capo alla società in liquidazione) è un atto proprio della società stessa, sia pur l’atto ultimo, conclusivo della procedura di liquidazione e prodromico alla sua estinzione: sicché, soprattutto sotto il profilo fiscale, deve parlarsi di “assegnazione dell’azienda” al socio superstite e non di “cessione dell’azienda” dalla società all’impresa individuale. Orbene la “assegnazione di azienda” ad un socio è soggetta ad imposta fissa di registro per il combinato disposto di cui all’art. 4, lettera d), n. 2, e lettera a), n. 3, della Tariffa, Parte prima, allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (T.U. dell’imposta di registro) a norma del quale alle assegnazioni ai soci “con conferimento di proprietà o diritto reale di godimento su aziende o su complessi aziendali relativi a singoli rami dell’impresa” si applica la “tassa fissa” e non quella proporzionale. Tale assegnazione, poi, non rientra nel campo di applicazione IVA ai sensi del combinato disposto di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 2, comma 2, n. 6 e comma 3, lett. b), a norma del quale le assegnazioni ai soci fatte a qualsiasi titolo da società di ogni tipo che abbia ad oggetto aziende (o complessi aziendali relativi a singoli rami dell’impresa) non sono considerate cessioni di beni. La ricostruzione esegetica qui proposta è stata condivisa dall’Agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 47/E del 3 aprile 2006, emessa su interpello ai sensi del D.M. 26 aprile 2001, n. 209, art. 4, comma 1, ultimo periodo.
Pertanto il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata. Ricorrendone le condizioni la causa può essere decisa nel merito con l’accoglimento del ricorso introduttivo del contribuente. La complessità della questione e l’assenza di precedenti specifici costituiscono giusti motivi per la compensazione delle spese dell’intero giudizio […]