Corte di Cassazione, Sez. U, Sentenza n. 8432 del 1990, dep. il 18/08/1990

[…]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 27 febbraio 1986 la Corte di appello di Caltanissetta ha confermato la decisione del Tribunale di Nicosia con la quale era stata dichiarata la risoluzione, per grave inadempimento dei coniugi […] e […], come corrispettivo dell’alienazione della proprietà di un appartamento, si erano obbligati a fornire servizio e assistenza a […] in rapporto alle sue condizioni sociali e per tutta la durata della sua vita.
A tale conclusione la Corte è pervenuta avendo aderito all’orientamento dottrinale e giurisprudenziale contrario all’applicabilità al vitalizio alimentare dell’art. 1878 del codice civile, il quale in tema di contratto di rendita vitalizia non consente al creditore della rendita, in caso di mancato pagamento delle rate scadute, di domandare la risoluzione del contratto.
Ricorrono per cassazione il […] e la […].
Resiste con controricorso la […].

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, denunziandosi la violazione degli artt. 1453, 1455 e 1878 del codice civile in relazione all’art. 360 n. 3 del codice di procedura civile, si censura la sentenza impugnata per avere la Corte d’Appello escluso l’applicabilità dell’art. 1878 cod. civ. al contratto di vitalizio alimentare, pur essendo questo caratterizzato dall'”intuitus personae” e da prestazioni di dare come quello di rendita vitalizia, dal quale si distinguerebbe solo sotto il profilo economico.
In particolare, si deduce che l'”intuitus personae” si riscontra, sia nel vitalizio alimentare, sia nella rendita vitalizia, perché anche in questa la prestazione è posta a carico di una determinata persona; e che il “facere” del vitalizio alimentare è sempre riconducibile alle obbligazioni di dare, essendo permesso al debitore di versare a un terzo una somme di denaro per l’esecuzione delle sue prestazioni, eccetto il caso in cui la particolare abilità ne renda insostituibile l’opera.
La censura è infondata.
A differenza del contratto di rendita vitalizia previsto dall’art.1872 del codice civile, nel quale la prestazione del vitaliziante è costituita da una somma di denaro o da una determinata quantità di altre cose fungibili da erogare periodicamente al vitaliziato, nel contratto di vitalizio alimentare una parte si obbliga, in corrispettivo dell’alienazione di un immobile o dell’attribuzione di altri beni o utilità, a fornire all’altra parte vitto e alloggio, ad assisterla in caso di malattia e a provvedere alle sue esigenze per tutta la durata della sua vita e in misura variabile secondo i suoi bisogni.
Al fine di stabilire se al vitalizio alimentare sia o non applicabile la norma dell’art. 1878 del codice civile, dettata in tema di rendita vitalizia è necessario, innanzi tutto, accertare se il particolare contenuto delle prestazioni ne consenta l’inserimento nello schema del contratto di cui all’art. 1872 del codice civile, ovvero determini il suo inquadramento nella categoria dei contratti atipici e la conseguente applicazione ad esso della disciplina per i medesimi prevista.
Secondo un primo orientamento, prevalente in epoca meno recente nella giurisprudenza di questa Corte, il contratto di vitalizio alimentare costituisce una sottospecie della rendita vitalizia ai principi della quale deve essere ricondotto e dalle cui norme deve essere regolato, compresa quella dell’art. 1878 del codice civile (sent. nn. 1683 del 1982, 3902 e 1154 del 1981, 4801 del 1978, 3553 del 1977, 1694 del 1971, 3501 del 1969, 330 del 1966, 968 del 1965 e 1658 del 1964).
Tale orientamento, condiviso da una parte della dottrina, si fonda sull’identità dell’alea e delle prestazioni dei due contratti. Pur ammettendosi che l’alea è caratterizzata oltre che dall’incertezza della durata del rapporto, dipendente dall’esistenza in vita del creditore, anche dalla misura della prestazione, variabile in relazione al suo stato di bisogno, si afferma che questa peculiarità determina una particolare qualificazione dell’alea, ma non snatura il rapporto e non lo sottrae allo schema della rendita vitalizia tipica; e che, se è vero che le parti nel vitalizio alimentare frequentemente determinano l’entità delle somministrazioni con riferimento al concreto stato di bisogno dell’assistito, nulla esclude che ne stabiliscano l’immutabilità nel tempo.
Si è poi negato che la prestazione sia costituita prevalentemente da un “facere” e non da un “dare”, essendosi rilevato che l’obbligo del mantenimento, comprensivo della somministrazione di ciò che è necessario ai bisogni del vitalizio, si concreta nella prestazione promiscua di cose e di servizi, le une e gli altri di volta in volta prevalenti in rapporto alle esigenze del creditore.
E si è precisato che le prestazioni di fare, rappresentando nell’economia del contratto l’equivalente delle cose che il vitaliziato dovrebbe altrimenti procurarsi con l’esborso di somme di denaro, soddisfano il suo interesse allo stesso modo della somministrazione delle rate di denaro, il che non contrasta con l’essenza della rendita vitalizia, la quale è un atto di previdenza diretto ad assicurare al creditore i mezzi economici necessari per i suoi bisogni.
Per l’orientamento contrario, l’alea della rendita vitalizia e quella del vitalizio alimentare sono diverse, e le prestazioni di fare di quest’ultimo non possono ricomprendersi tra quelle di dare (sent. nn. 7679 del 1986, 3625 del 1982, 5855 e 50 del 1980 e 2924 del 1975).
Si ritiene che nel vitalizio alimentare l’alea del vitaliziante presenti una complessità che la distingue nettamente da quella della rendita tipica, e che l’eventuale previsione dell’immutabilità delle prestazioni nel tempo, da cui dovrebbe derivare l’identità dell’alea, determini la formazione di un contratto diverso da quello in relazione al quale si pone il problema dell’applicabilità della norma dell’art. 1878 del codice civile.
Si nega, inoltre, che le prestazioni di “facere” siano riconducibili a quelle di dare, non solo se siano infungibili e caratterizzate dall'”intuitus personae”, ma anche se siano fungibili, in base al rilievo che altrimenti ogni prestazione di servizi fungibili si ridurrebbe sempre a una prestazione di dare il denaro necessario per il costo dei servizi pattuiti.
Per queste Sezioni Unite dei due orientamenti è giuridicamente corretto quello che propende per l’atipicità del contratto di vitalizio alimentare, la quale deve ammettersi, sia per le evidenziate ragioni attinenti alla particolarità dell’alea e delle prestazioni del vitaliziante, sia per la diversità dell’elemento della causa negoziale, la quale fissa la tipicità di un determinato contratto, in quanto l’intento delle parti, mentre nella rendita vitalizia è diretto allo scambio di un immobile o di un capitale con delle prestazioni periodiche di denaro o di altre cose fungibili, nel vitalizio alimentare mira allo scambio di un immobile o di un capitale con il mantenimento del vitaliziato.
Escluso che il vitalizio alimentare rientri nello schema della rendita vitalizia e che quindi nei suoi confronti operi direttamente l’art. 1878 del codice civile, si deve accertare se la “ratio” che ispira tale norma ricorra o meno anche con riguardo alla fattispecie non direttamente contemplata, perché, in caso positivo, il divieto della risoluzione dovrebbe estendersi ad essa per analogia.
L’inapplicabilità al contratto di rendita vitalizia dell’istituto della risoluzione per inadempimento (art. 1453 e 1455 cod. civ.) a volte è stata spiegata con l’intento di evitare l’ingiusto arricchimento del vitaliziato, il quale, a causa dell’irretroattività della risoluzione per le prestazioni già eseguite nei contratti di durata (art. 1458 cod. civ.), oltre a ottenere la restituzione del capitale o dell’immobile ceduti per la costituzione della rendita, si gioverebbe delle prestazioni già ricevute; e altre volte è stata giustificata con la tutela dello stesso vitaliziato, il quale, conseguita la restituzione dell’immobile o del capitale anteriormente trasferito al vitaliziante, potrebbe essere incapace (per ragioni di età o per altri motivi) di reinvestire il denaro o di amministrare il bene.
Ma ne’ l’una ne’ l’altra di queste ragioni può avere determinato la formulazione dell’art. 1878 del codice civile, perché ciascuna di esse avrebbe dovuto indurre il legislatore a escludere sempre la risoluzione del contratto di rendita vitalizia, mentre questa, ai sensi dell’art. 1877, può essere chiesta dal creditore di una rendita costituita a titolo oneroso nel diverso caso in cui il vitaliziante non gli dia o diminuisca le garanzie pattuite.
Si deve invece ritenere che il legislatore abbia introdotto nel codice civile la norma dell’art. 1878 sul presupposto che l’inadempimento dell’obbligazione di dare, consistente nel pagamento di una o più rate della rendita, non sia tanto grave da turbare l’equilibrio contrattuale e da ledere l’altrui interesse, il quale è rivolto all’intero rapporto, come risulta dall’art. 1877, il quale prevede la risoluzione del contratto in un caso in cui l’inadempimento del vitaliziante (omessa prestazione delle garanzie promesse o diminuzione delle stesse) metta in pericolo l’intero rapporto giuridico.
Questa scarsa importanza dell’inadempimento non si riscontra però nel vitalizio alimentare, perché la mancata corresponsione, anche per un breve periodo, delle prestazioni fungibili (vitto, vestiario e alloggio) priva il creditore del minimo indispensabile per la sopravvivenza.
Inoltre, il creditore, mentre nella rendita vitalizia, pur non potendo ottenere la risoluzione del contratto per il mancato pagamento di una o più rate, può conseguire il relativo importo perché la norma dell’art. 1878 gli consente di chiedere il sequestro e la vendita dei beni del debitore e d’impiegare con il ricavato di essa una somma di denaro sufficiente ad assicurargli la rendita, invece di tale rimedio – che presuppone una prestazione di dare frazionabile fungibile e suscettibile di coercizione – non può ovviamente servirsi nel vitalizio alimentare per le prestazioni consistenti in un “facere”, anche perché queste sono fondate sull'”intuitus personae” per la fiducia che determina la scelta del contraente.
E non sussistendo l’identità di “ratio”, la quale costituisce il presupposto per l’estensione analogica di una determinata norma a una fattispecie simile a quella da essa regolata, il contrasto esistente nella giurisprudenza di questa Corte deve risolversi nel senso dell’inapplicabilità dell’art. 1878 del codice civile e della operatività del rimedio della risoluzione per inadempimento al contratto di vitalizio alimentare nel quale le prestazioni siano costituite, come nel caso in esame, da “servizio e assistenza in relazione alle condizioni sociali del vitaliziato”. Infatti, ai sensi dell’art. 1323 del codice civile, anche i contratti non appartenenti ai tipi aventi una disciplina particolare, sono sottoposti alle norme generali del titolo secondo (dei contratti in generale) del libro quarto delle obbligazioni, titolo del quale fanno parte gli artt. 1453 e 1455, la cui inapplicabilità al vitalizio alimentare lascerebbe privo di tutela il creditore nei confronti del vitaliziante che abbia già ricevuto la prestazione spettantegli.
Con il secondo motivo si denunzia la violazione degli artt. 244 ss. del codice di procedura civile in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 dello stesso codice e si censura la sentenza impugnata deducendosi che la Corte d’Appello ha confermato la pronuncia di primo grado di risoluzione del contratto per colpa dei vitaliziati, avendo erroneamente conferito rilevanza alle deposizioni testimoniali superficialmente valutate, mentre un esame più approfondito di esse avrebbe consentito di rilevarne la contraddittorietà e quindi l’insufficienza ai fini della prova della gravità
dell’inadempimento.
Anche questa censura è infondata.
Contrariamente a ciò che sostengono i ricorrenti, la Corte d’Appello ha adeguatamente e logicamente motivato il proprio convincimento in ordine alla sussistenza del contratto, avendo affermato che dagli elementi probatori acquisiti al processo (valutari con insindacabile apprezzamento dei vitaliziati, i quali, disinteressandosi sempre più della persona della vitaliziata, avevano progressivamente determinato l’erosione del rapporto di fiducia e del clima di serenità indispensabili per la prosecuzione del rapporto […]