[…]
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.La questione di diritto posta dall’ordinanza di rimessione. La questione controversa è la seguente: “… se il curatore possa o meno esercitare la facoltà concessagli dall’art. 72 I. fai!., di sciogliersi dal contratto preliminare con il quale l’imprenditore poi fallito ha promesso in vendita un immobile a un terzo, anche nel caso in cui il terzo promissario acquirente abbia trascritto, anteriormente al fallimento, la domanda ex art. 2932 cod. civ., volta ad ottenere dal giudice una pronuncia costitutiva del trasferimento che tenga luogo del contratto rimasto inadempiuto”. Sul punto, l’ordinanza ha precisato che “… a quanto consta, la questione è stata ripetutamente affrontata da questa Corte solo in fattispecie in cui, ratione temporis, trovava applicazione il testo dell’art. 72 I. fall. anteriore all’entrata in vigore del d.lgs. n. 5/06, mentre nel caso in esame, poiché il[…] è stato dichiarato il […], occorre aver riguardo al testo dell’articolo novellato dal predetto decreto legislativo (non ancora, ulteriormente, riformato dal d.lgs. n. 169/07). Deve escludersi, tuttavia, che dall’applicabilità della norma posteriore alla riforma, anziché di quella anteriore, possa derivare una diversa soluzione della presente controversia: il vecchio testo dell’art. 72 IV comma I. fall., il quale prevedeva che “in caso di fallimento del venditore., se la cosa venduta non è passata in proprietà del compratore, il curatore ha la scelta fra l’esecuzione e lo scioglimento del contratto”..; trova infatti sostanziale corrispondenza nel I e nel III comma del testo dell’articolo 72 modificato dal citato d.lgs., con i quali, rispettivamente, il legislatore ha ribadito, in via generale, che il curatore ha facoltà di sciogliersi dai rapporti pendenti ed ha precisato che detta facoltà può essere esercitata anche in presenza di un contratto preliminare, fatta salva l’ipotesi, che qui non interessa, disciplinata dall’art. 72 bis”.
2. La giurisprudenza della Corte di cassazione
[…]
4. La decisione di questa Suprema Corte.
Sono necessarie alcune precisazioni in tema di trascrizione della domanda proposta ex art. 2932 c.c.. L’art. 2652 comma 1 n.2) c.c. stabilisce che devono essere trascritte le domande dirette a ottenere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre e che la trascrizione della sentenza che accoglie la domanda prevale sulle trascrizioni e iscrizioni eseguite contro il convenuto successivamente alla trascrizione della domanda.
La ratio di tale norma appare evidente.
Infatti, al fine di evitare collusioni tra il promittente ed i terzi durante il processo (v. relazione al Re, n. 1077), la norma consente al promissario acquirente di prenotare, nei confronti degli aventi causa dal promittente che – anche se hanno acquistato precedentemente alla trascrizione della domanda – trascrivano o iscrivano successivamente il loro diritto acquisito, gli effetti della trascrizione della sentenza di accoglimento della domanda, pur se tale domanda era fondata su di una situazione puramente obbligatoria. Gli effetti così prodotti retroagiscono alla data di trascrizione della domanda, rendendo inefficaci nei confronti dell’attore le trascrizioni e iscrizioni da loro effettuate contro il promittente convenuto, fermo restando che il promissario acquisterà la proprietà del bene soltanto con la sentenza (costitutiva) che avrà accolto la domanda. L’introduzione della trascrizione della domanda diretta all’esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre (con l’effetto di consentire di prenotare gli effetti della trascrizione della relativa sentenza) ha in sostanza conferito al contratto preliminare lo stesso effetto -sia pure differito- del contratto definitivo. L’incertezza è nell’ an, non nel quando. In altri termini, il contratto preliminare trascritto è circondato da una serie di pressanti garanzie volte ad assicurare l’effetto traslativo ex tunc se interverrà la sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c..
Con la trascrizione del contratto preliminare si crea in definitiva, una situazione giuridica che va oltre quella che era la volontà delle parti di far sorgere una semplice obbligazione: infatti, la norma dispone che la trascrizione della domanda (se seguita dalla trascrizione della sentenza) prevalga sulle trascrizioni o iscrizioni eseguite successivamente contro il convenuto; il che vuol dire l’opponibilità all’attore dei soli diritti trascritti o iscritti precedentemente alla trascrizione della domanda. La norma di cui all’art. 2652 n. 2 c.c. attribuisce alla trascrizione della domanda giudiziale diretta ad ottenere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre gli stessi effetti che il successivo n. 3) attribuisce alla trascrizione della domanda giudiziale diretta ad ottenere l’accertamento della sottoscrizione di scritture private in cui si contiene un atto soggetto a trascrizione o a iscrizione. Peraltro, la trascrizione della sentenza che accoglie la domanda ex art. 2932 c.c. è necessaria unicamente per ottenerne l’effetto retroattivo nei confronti dei terzi. Nei rapporti tra attore e convenuto, infatti, la sentenza ex art. 2932 c.c. ha piena efficacia costitutiva anche senza la sua trascrizione, ma solo dalla data della sua emanazione. La posizione – e quindi – la tutela del promissario acquirente è stata ulteriormente rafforzata con l’introduzione, nel sistema, dell’art. 2645 bis c.c., che prevede che la trascrizione del contratto definitivo o di altro atto che costituisca comunque esecuzione del contratto preliminare, ovvero della sentenza che accoglie la domanda diretta ad ottenere l’esecuzione in forma specifica, prevale sulle trascrizioni ed iscrizioni eseguite contro il promittente alienante dopo la trascrizione del contratto preliminare. Per effetto della pubblicità immobiliare, peraltro, non si attribuisce, al contratto preliminare – che mantiene una mera efficacia relativa – alcun effetto di natura reale. La nuova disciplina della trascrizione del contratto preliminare ha esteso il campo della trascrizione con funzione prenotativa, prima riservata solo alla trascrizione delle domande giudiziali, non essendo logicamente precluso l’effetto prenotativo collegato, oltre che alla domanda ex art. 2932 c.c. anche alla trascrizione fondata sullo stesso atto che promette l’alienazione. Anche in questo caso, l’efficacia lato sensu costitutiva del contratto definitivo, o della sentenza che accolga la domanda ex art. 2932 c.c., si produce tra le parti anche in mancanza della trascrizione di tali atti, come avviene in relazione all’efficacia della detta sentenza tra le parti del giudizio di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere il contratto. Ciò che retroagisce al momento della trascrizione del contratto preliminare è unicamente l’effetto dichiarativo tipico della trascrizione dell’atto traslativo o costitutivo ovvero della sentenza costitutiva, che è quello dettato dall’art. 2644 c.c„ prenotato appunto affinché retroagisca alla data della trascrizione del contratto preliminare o della trascrizione della domanda giudiziale. La differenza fra le due trascrizioni consiste nel raggio di azione dell’effetto prenotativo offerto dalla trascrizione del preliminare. Nel primo caso, infatti, retroagisce l’effetto dichiarativo della trascrizione di qualsiasi atto traslativo o costitutivo che costituisca esecuzione del preliminare ovvero della sentenza costitutiva ex art 2932 c.c.. Nel secondo, la trascrizione della domanda giudiziale ex art. 2932 c.c. fa sì che retroagisca l’effetto dichiarativo soltanto della trascrizione della sentenza costitutiva ex art 2932 c.c.. Ciò vuoi dire che se le parti rinunciano al giudizio promosso ex art. 2932 c.c. e concludono quello definitivo, l’effetto della trascrizione di esso non retroagirebbe alla data della trascrizione della domanda giudiziale, ma solo eventualmente alla data della trascrizione del contratto preliminare, se questa è stata precedentemente effettuata.
4.1. Contratto preliminare trascritto e vicenda fallimentare.
Le considerazioni riportate consentono ora di inquadrare giuridicamente il quesito posto Se il curatore possa o meno esercitare la facoltà concessagli dall’art. 72 I. fa/I., di sciogliersi dal contratto preliminare con il quale l’imprenditore poi fallito ha promesso in vendita un immobile a un terzo, anche nel caso in cui il terzo promissario acquirente abbia trascritto, anteriormente al fallimento, la domanda ex art. 2932 cod. civ., volta ad ottenere dal giudice una pronuncia costitutiva del trasferimento che tenga luogo del contratto rimasto inadempiuto. Al curatore è riconosciuta la facoltà di scelta di subentrare nel contratto preliminare pendente alla data della dichiarazione di fallimento o di sciogliersi dallo stesso ai sensi dell’art. 72, comma 1 I.f. secondo le regole ivi previste. Un tale potere di natura sostanziale rimane integro pur dopo la proposizione di una domanda di esecuzione in forma specifica da parte del promissario acquirente finalizzata ad ottenere dal giudice una pronuncia costitutiva del trasferimento che tenga luogo del contratto rimasto inadempiuto alla data della sentenza dichiarativa di fallimento del promittente venditore. Non si discute dell’esistenza di tale potere e neppure della validità della dichiarazione del curatore di sciogliersi dal preliminare: si discute della sua efficacia verso il promissario acquirente che abbia anteriormente trascritto. La distinzione non è irrilevante perché se il procedimento ex art. 2932 cc. si estingue per qualsiasi causa, viene rimosso il limite all’efficacia nei confronti del promissario acquirente della dichiarazione di scioglimento da parte del curatore, senza che occorra una sua nuova manifestazione di volontà. A tale ultimo riguardo va aggiunto che nell’ordinamento non si rinvengono preclusioni in ordine ai tempi e ai modi con le quali il curatore eserciti la facoltà di scioglimento: può farlo in forma espressa o tacita, nell’ambito del giudizio o stragiudizialmente (purchè in tale ultimo caso ci sia un valido atto processuale che veicoli tale manifestazione di volontà portandola a conoscenza del giudice). Quel che è problematico è accertare quali siano gli effetti nei confronti del promissario acquirente che abbia trascritto la domanda di esecuzione in forma specifica anteriormente alla sentenza dichiarativa di fallimento. Sul punto queste Sezioni Unite non possono che ribadire il precedente orientamento espresso dalle Sezioni Unite del 2004. La giurisprudenza successiva che ha inteso discostarsene non offre argomenti logici o profili giuridici aventi il carattere della novità. Riesaminiamoli in rapida sintesi. Un primo argomento è di ordine testuale: dal fatto che il comma settimo dell’art. 72 l.f. espressamente esclude il potere di scioglimento del curatore in determinate specifiche ipotesi di contratto preliminare si è desunto che la regola generale deve ritenersi in senso opposto. Si può agevolmente replicare che H canone ermeneutico “inclusi° unius, exclusio alterius” richiama il vetero positivismo giuridico dell’École de l’Exégèse, ma non ha cittadinanza nel complesso apparato dei criteri ermeneutici desumibili dall’art. 12 delle Preleggi e dall’imponente elaborazione della giurisprudenza nazionale e convenzionale. In definitiva, il criterio ermeneutico indicato è ambiguo e non risolutivo: non vi sono elementi per ritenere che i casi citati dall’art. 72 I.f. siano l’eccezione ad una regola opposta o non piuttosto un’applicazione specifica della regola stessa. L’affermazione ricorrente secondo cui la dichiarazione di fallimento cristallizzerebbe il patrimonio del debitore fallito rendendolo insensibile alle vicende giuridiche successive è confutata dal rilievo che, al momento della dichiarazione di fallimento, è trascritta una domanda giudiziale di esecuzione in forma specifica del contratto preliminare: il che significa che nella sfera giuridica del fallimento è cristallizzata una pretesa giuridica del promissario acquirente. La domanda giudiziale -per ricordare un autorevolissimo tradizionale insegnamento- incarna il diritto controverso, è la sua proiezione processuale. Né appare persuasiva l’affermazione ricorrente secondo cui, in caso di fallimento, la sentenza ex art. 2932 c.c. non potrebbe essere pronunciata perché essa creerebbe l’effetto traslativo della proprietà impedito dallo spossessamento del debitore. Tale affermazione dissimula una petizione di principio perché inverte le premesse con la conclusione: invero, prima occorrerebbe dimostrare che nessuna norma consente in caso di fallimento la pronuncia ex art. 2932 c.c., e poi dedurne che il patrimonio del fallito rimane integro. Va poi detto che l’argomento esibito presenta intrinseci profili di perplessità: semmai fosse valida la tesi, il fallimento determinerebbe una preclusione processuale, non l’infondatezza della domanda che trova nel valido preliminare stipulato tra le parti il suo fondamento. Ma soprattutto l’orientamento giurisprudenziale che ritiene irrilevante la trascrizione del contratto preliminare prima della dichiarazione di fallimento si scontra con due criteri ermeneutici fondamentali: quello sistematico e quello della ratio legis. Sotto il profilo sistematico vanno richiamati i principii, riconosciuti pacificamente dalla giurisprudenza di legittimità, per i quali l’art. 45 I.f. va coordinato, non solo con gli artt. 2652 e 2653 c.c., ma anche con l’art. 2915, secondo comma, c.c.. Pertanto, sono opponibili ai creditori fallimentari, non solo gli atti posti in essere e trascritti dal fallito prima della dichiarazione di fallimento, ma anche le sentenze pronunciate dopo tale data, se le relative domande sono state in precedenza trascritte. In questa ottica acquista un particolare significato la norma dell’art. 2652, n. 2, c.c. che stabilisce che la trascrizione della sentenza che accolga la domanda diretta a ottenere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre “prevale sulle trascrizioni e iscrizioni eseguite contro il convenuto dopo la trascrizione della domanda”, ivi compresa l’iscrizione nel registro delle imprese della sentenza di fallimento a norma degli artt. 16, ult. comma, e 17 legge fall.. Né in senso contrario rileva che l’iscrizione della sentenza dichiarativa di fallimento non sia riferibile ai registri immobiliari; e ciò perché la soluzione di alcuni conflitti è legata alla priorità temporale di adempimenti pubblicitari tra loro differenti (v. ad es. in tema di convenzioni matrimoniali Cass. 12.12.2013 n. 27854). Con la riforma del 2006 tale meccanismo pubblicitario non rivesta più una funzione di mera pubblicità notizia come nel regime precedente. L’art. 16, ult. comma, I.f. stabilisce, infatti, che la sentenza dichiarativa di fallimento produce effetti nei riguardi dei terzi soltanto dalla data della sua iscrizione nel registro delle imprese, conferendo pertanto a tale adempimento una funzione di pubblicità dichiarativa. Da tale momento l’atto pubblicato acquista efficacia nei confronti dei terzi, ed è quindi a questi opponibile. Il che sancisce la sua rilevanza, non soltanto ai fini dell’art. 44 I.f., ma anche ai fini della efficacia ex art. 45 I.f. (formalità eseguite dopo la dichiarazione di fallimento). In questo modo si pone la regola per la risoluzione dei conflitti che si vengono a creare in relazione alla trascrizione delle domande giudiziali. In tale contesto sistematico l’orientamento giurisprudenziale qui avversato pone un’unica, vistosa eccezione: la trascrizione della domanda ex art. 2932 c. c. Ora, un vulnus così dirompente rispetto al sistema dovrebbe avere un fondamento giuridico in una norma che espressamente preveda tale eccezione. Ma la norma non c’è. L’eccezione al sistema viene ricavata dal principio generale dell’intangibilità del patrimonio del fallito al momento della dichiarazione del fallimento. Ma si è visto che questo principio non vale per la trascrizione antecedente delle domande giudiziali: non si vede perché debba valere solo per la trascrizione della domanda ex art. 2932 c.c. Verosimilmente al fondo dell’orientamento tradizionale si annida il pregiudizio che il contratto preliminare non ancora eseguito è fonte di obbligazioni e che l’adempimento dell’obbligazione di stipulare il contratto definitivo altererebbe in qualche modo la par condicio creditorum. In realtà, si tratterebbe di una visione riduttiva e in qualche modo sfigurante del contratto preliminare. Il contratto preliminare è regolato in modo che l’effetto traslativo sia già in esso potenzialmente incapsulato e garantito dal potente meccanismo giuridico della sentenza ex art. 2932 c.c. e della trascrizione della domanda giudiziale ad essa mirante. In sostanza, il contratto preliminare porta in sé l’ineluttabile -anche se differito- effetto traslativo. Infine, il criterio ermeneutico della ratio legis cospira ulteriormente nel favorire l’interpretazione condivisa da questa Suprema Corte. Il legislatore è chiamato ad effettuare il bilanciamento di interessi configgenti, entrambi meritevoli di tutela: quella del promissario acquirente a vedersi prestare tutela processuale con il riconoscimento del suo diritto, e quella della massa ad escludere, con l’esercizio della scelta da parte del curatore, che chiunque altro possa contrastare l’assoggettamento del bene al concorso fallimentare. Il legislatore ha risolto il conflitto affermando il principio (di cui la norma dell’art. 45 I.f. è puntuale applicazione) che la durata del processo non torni a danno di chi ha ragione. Per usare una metafora, potremmo dire che il legislatore ha fatto in modo che il tempo giuridico azzeri il tempo storico. E per far questo ha costruito il meccanismo trascrizione della domanda giudiziale – trascrizione della sentenza di accoglimento. Questo meccanismo comporta una divaricazione – come si è già detto – nella produzione dell’effetto traslativo: la sentenza costitutiva ex art. 2932 cc fissa l’an dell’effetto traslativo, la trascrizione della domanda giudiziale fissa il quando di tale effetto. Principio che ha, nelle moderne codificazioni, ricevuto un più ampio riconoscimento proprio in virtù della generalizzazione del principio della trascrizione delle domande giudiziali, in precedenza prevista solo per alcune ipotesi (domande di revocazione, rescissione e risoluzione) specificamente indicate (art. 1933, n. 3, c.c. 1865). Non senza sottolineare che un tale rilievo è stato negli anni ulteriormente rafforzato, sia dalla ratifica (con la I. 4 agosto 1955, n. 848) della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, che annovera tra i diritti fondamentali dell’individuo, la cui violazione da titolo al riconoscimento di un’equa soddisfazione (art. 41), anche del diritto alla durata ragionevole del processo (art. 6.1); sia dal nuovo testo dell’art. 111, secondo comma, Cost., che ha assunto la durata ragionevole del processo quale connotato necessario dell’attività giurisdizionale. Tali principii sono oggi di comune ed incontroversa applicazione nella giurisprudenza di legittimità e trovano la loro ragione giustificatrice nell’interesse delle parti alla più sollecita definizione del giudizio il cui rilievo è tale da giustificare il riconoscimento di un indennizzo in favore delle parti che, a causa dell’eccessivo protrarsi del processo, abbiano risentito ragione di danno. E’, quindi, evidente che – secondo una interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata – la norma, come quella in tema di trascrizione delle domande giudiziali, va necessariamente letta in modo da evitare proprio che la durata del processo possa compromettere la realizzazione di quella piena tutela, di cui la parte ha diritto di godere secondo il diritto sostanziale. Il caso in esame palesa in modo eclatante la necessità di un bilanciamento degli interessi configgenti che richiedono entrambi tutela giuridica. Basti rilevare che il fallimento della società […]i è stato dichiarato il 27 aprile 2007, mentre la domanda era stata trascritta il 3.12.1998, e la sua fondatezza era stata riconosciuta dal Tribunale con sentenza n. 1194 del 29.5.2001, confermata dalla Corte d’Appello con la sentenza n. 1812 del 14.11.2006. Ed il curatore con missiva notificata il 22.6.2007 alla […] ha dichiarato di sciogliersi dal contratto preliminare concluso il 31.12.1997, ai sensi dell’art. 72, comma 1, l.f.. Il corrispettivo era stato interamente pagato. Quindi, il curatore ha esercitato il suo potere di sciogliersi dal contratto preliminare ben 9 anni dopo la trascrizione della domanda ex art. 2932 cc. E’ difficile pensare che l’interpretazione giurisprudenziale qui confutata possa portare ad un giusto processo. Possono allora trarsi le conclusioni. Il curatore in ipotesi di domanda di esecuzione in forma specifica proposta anteriormente alla dichiarazione di fallimento del promittente venditore e riassunta nei confronti del curatore – parte del giudizio ex art. 43 I.f., ma terzo in relazione al rapporto controverso – mantiene senza dubbio la titolarità del potere di scioglimento dal contratto sulla base di quanto gli riconosce l’art. 72 I.f.. Ma – ed è ciò che rileva ai fini che qui interessano – se la domanda sia stata trascritta prima del fallimento, l’esercizio del diritto di scioglimento da parte del curatore non è opponibile nei confronti di quell’attore promissario acquirente a norma dell’art. 2652, n. 2, c.c.. Ciò che vuol dire che la domanda ex art. 2932 c.c. – trascritta prima della iscrizione della sentenza dichiarativa di fallimento nel registro delle imprese – non impedisce al curatore di recedere dal contratto preliminare: gli impedisce, piuttosto, di recedere con effetti nei confronti del promissario acquirente che una tale domanda ha proposto. Tutto ciò, naturalmente, se la sentenza è accolta ed è trascritta a sua volta. E ciò si coniuga con l’effetto prenotativo che attua la trascrizione della domanda ex art. 2652, n. 2 c.c. il cui meccanismo pubblicitario si articola in due momenti: quello iniziale, costituito dalla trascrizione della domanda giudiziale e quello finale, rappresentato dalla trascrizione della sentenza di accoglimento. Il giudice, pertanto, può senz’altro accogliere la domanda pur a fronte della scelta del curatore di recedere dal contratto: con una sentenza che, a norma dell’art. 2652, n. 2, c.c., se trascritta, retroagisce alla trascrizione della domanda stessa e sottrae, in modo opponibile al curatore, il bene dalla massa attiva del fallimento. Diversamente, se la domanda trascritta non viene accolta, l’effetto prenotativo della trascrizione della domanda cessa, con la conseguente opponibilità all’attore della sentenza dichiarativa di fallimento rendendo, in tal modo, efficace, nei suoi confronti, la scelta del curatore di sciogliersi dal rapporto. Ciò consente di mantenere inalterata la facoltà di scelta del curatore, quale espressione di un potere sostanziale che l’ordinamento con l’art. 72 I.f. gli riconosce, ma che, nella concorrenza di determinati evenienze, non è opponibile – in caso di accoglimento della domanda in forma specifica – al promissario acquirente che abbia trascritto tale domanda anteriormente alla iscrizione della sentenza dichiarativa di fallimento del promittente venditore nel registro delle imprese. Viene tutelato il promissario acquirente di buona fede, ma nei confronti di comportamenti opportunistici compiuti in frode rimane ovviamente integra la possibilità di azioni dall’indubbia efficacia dissuasiva, come l’azione revocatoria. Quel che si vuol dire è che l’interpretazione si evolve in sintonia con l’evoluzione del sistema giuridico e che certi principi – assurti quasi a dogma- come quello dell’intangibilità del patrimonio del fallito al momento della dichiarazione di fallimento devono essere costantemente adeguati ad un sistema giuridico in movimento.
5. L’esame dei ricorsi.
[…]
Il motivo è manifestamente infondato per avere la Corte di merito dando puntuale e concisa risposta (pag. 16 sent.) alla insussistenza di una inequivoca volontà della promissaria acquirente di preferenza della risoluzione con la restituzione del prezzo al mantenimento dello stesso. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli art. 1218 e 1223 cod. civ. Nella specie è applicabile ratione temporis l’art. 366 bis cpc. La norma prevede che il quesito di diritto debba essere formulato in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. Il quesito con cui si conclude il motivo è il seguente: codesta ecc.ma Corte dica ” che l’inadempimento non costituisce, di per sé, fonte di danno: dovendo essere provato anche in ipotesi sussistano i presupposti per una determinazione in via equitativa”. Trattasi di un quesito generico, senza alcun riferimento al caso concreto. La conseguenza è l’inammissibilità del motivo. Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli art. 2697 cod.civ. e 116 c.p.c.. Anche in questo caso il difetto di formulazione del quesito è evidente. Il quesito è, infatti, il seguente: La Corte dica che “i fatti, costitutivi della domanda debbono essere provati dalla parte che ha fatto valere tale preteso diritto e che un tale onere non può essere sopperito mediante ricorso alla consulenza tecnica: mezzo istruttorio che non svolge una funzione suppletiva di prova”. Un tale quesito – per la sua genericità, non consente alla Corte di legittimità di enunciare un o i principii di diritto che diano soluzione allo stesso caso concreto (Cass. ord. 24.7.2008 n. 20409; S.U. ord. 5.2.2008 n. 2658; S.U.5.1.2007 n. 36, e successive conformi). Ricorso società […]. Il ricorso per cassazione è inammissibile. Il ricorso è stato notificato il 7.5.2007, ma la società ed il socio e legale rappresentante […] erano stati dichiarata falliti con sentenza del tribunale di Venezia del […] .
E’ evidente che, con la dichiarazione di fallimento, essi avevano perso la capacità di agire che spettava al curatore ai sensi dell’art. 43 I.f.. Il conseguente difetto di rappresentanza del legale rappresentante non consentiva, quindi, il conferimento della procura speciale al difensore. È inammissibile il ricorso per cassazione proposto dal legale rappresentante di una società successivamente alla dichiarazione di fallimento di questa, neppure se il fallimento sia revocato nelle more del giudizio di legittimità. Il vizio della procura rilasciata al difensore, infatti, non potrebbe essere sanato ex tunc dalla sopravvenuta revoca del fallimento, atteso che, sulla base delle norme degli artt. 125, terzo comma, e 370 cod. proc. civ., deve escludersi la possibilità della sanatoria del vizio che invalida l’instaurazione del rapporto processuale tutte le volte in cui sia richiesta una procura speciale, come avviene per il ricorso per cassazione, per la valida proposizione del quale l’art. 365 c.p.c. richiede che la procura sia validamente conferita in epoca anteriore alla notificazione del ricorso (Cass. 28.4.2003 n. 6589). A maggior ragione quando alcuna revoca sia intervenuta. Conclusivamente, il ricorso per cassazione della società […] è dichiarato inammissibile. 5.2. Ricorso R.G. 10243/2007 La società […]. ha proposto ricorso avverso il decreto n. 7329 del 24.1/11.3.2008 con il quale il tribunale di Venezia ha rigettato la domanda di ammissione al passivo del credito di € 214.204,88 sulla base della statuizione della sentenza della Corte d’Appello n. 1812 del 2006. Con il primo motivo la ricorrente denuncia art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., falsa applicazione di norma di diritto ed omessa, contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia: dell’ammissibilità dell’eccezione, ex art. 72 LF, proposta per la prima volta nel giudizio davanti alla Suprema Corte di Cassazione. Con il secondo motivo si denuncia art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., falsa applicazione della norma di diritto ed omessa, contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia: della possibilità di comunicare lo scioglimento del contratto, ex art. 72 L.F., dopo che vi è stata la trascrizione della citazione della causa avviata ex art. 2932 c.c. e dopo la trascrizione della sentenza dei giudici di merito che hanno accolto tale domanda.
I motivi, esaminati congiuntamente, sono fondati. Le conclusioni cui la Corte a sezioni unite è pervenuta sulla questione oggetto di trattazione in ordine alla facoltà di scioglimento del curatore ai sensi dell’art. 72 c.c., e le ragioni della decisione impongono ora al giudice del rinvio un nuovo esame alla luce dei principii enunciati. Il ricorso è, dunque accolto, la sentenza cassata e la causa rinviata al tribunale di Venezia in diversa composizione. 5.3. Ricorsi: R.G. 16522/2008 + 18150/2008 La ricorrente […] ha proposto ricorso avverso il decreto del 15/21.5.2008 con il quale il tribunale di Venezia ha rigettato la domanda di rivendica dell’immobile in questione ai sensi dell’art. 103 l.f.. Avverso il medesimo decreto ha proposto ricorso incidentale condizionato il […]. Con il primo motivo la ricorrente principale denuncia art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., falsa applicazione di norma di diritto ed omessa, contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia: sull’ammissibilità dell’eccezione, ex art. 72 LF, proposta per la prima volta nel giudizio avanti alla Suprema Corte di Cassazione. Con il secondo motivo si denuncia art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., falsa applicazione della norma di diritto ed omessa, contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia: della possibilità di comunicare lo scioglimento del contratto, ex art. 72 L.F., dopo che lo stesso è stato interamente eseguito da parte promittente e dopo che vi è stata sia la trascrizione della citazione della causa avviata ex art. 2932 c.c., che la trascrizione della sentenza dei giudici di merito che hanno accolto tale domanda. Anche in questo caso i motivi (che ricalcano quelli di cui al ricorso di R.G. 10243/2007) sono fondati per le ragioni più sopra esposte. Le conclusioni cui la Corte è pervenuta e le ragioni della decisione impongono, quindi, un nuovo esame alla luce dei principii enunciati. Il ricorso incidentale condizionato – a seguito dell’accoglimento del principale – va esaminato. Esso è inammissibile. Nella specie è applicabile ratione temporis l’art. 366 bis cpc.
La norma prevede che il quesito di diritto debba essere formulato in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. E’, quindi, inammissibile il motivo di ricorso sorretto da un quesito la cui formulazione, ponendosi in violazione di quanto prescritto dal citato art. 366 bis, si risolve sostanzialmente in una omessa proposizione del quesito stesso, per la sua inidoneità a chiarire l’errore, o gli errori, di diritto imputati alla sentenza impugnata in riferimento alla fattispecie concreta (S.U. ord. 27.3.2009 n. 7433; cass. 25.3.2009 n. 7197; s.u. 30.10.2008 n. 26020). Nel caso in esame il quesito proposto in termini di violazione di norma di diritto (art. 342 cpc) è totalmente astratto non contenendo alcun riferimento al caso concreto. E’, infatti, del seguente tenore: ” Dica la corte ecc.ma che la specificità dei motivi esige che – alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata – vengano contrapposte quelle dell’impugnante, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime”. Un tale quesito non consente alla Corte di legittimità di enunciare un o i principii di diritto che diano soluzione allo stesso caso concreto (Cass. ord. 24.7.2008 n. 20409; S.U. ord. 5.2.2008 n. 2658; S.U.5.1.2007 n. 36, e successive conformi). Il ricorso principale è, dunque accolto, la sentenza cassata e la causa rinviata al tribunale di Venezia in diversa composizione; quello incidentale condizionato dichiarato inammissibile. […]