Corte di Cassazione – Sezione II civile, sent. 29.07.1966 n. 2114

[…]

Svolgimento del processo – Con citazione del 27.11.1953 […] conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Brindisi […] ed […] e i coniugi […] e […] rivendicando la proprietà, fra l’altro, degli appezzamenti di terreno di cui alle particelle 4 e 33 del fol. 21 […], siti nella contrada […] del territorio […] e chiedendo la condanna dei convenuti a rilasciarle i detti appezzamenti e a renderle il conto dei frutti relativi. Esponeva l’attrice che gli appezzamenti da lei rivendicati erano compresi nel legato disposto da […] con testamento segreto del 24.05.1929, pubblicato il 13.07.1931, in favore del di lei figlio […], di cui essa era l’unica erede; che, nell’effettuare le trascrizioni dei vari legati disposti da […], i medesimi appezzamenti erano stati erroneamente attribuiti a […] e […]; che questi ultimi, con atti per notar […] del 7 gennaio e del 9 febbraio 1951, li avevano venduti ai coniugi […].
Tutti i convenuti si costituivano e resistevano alla domanda.I coniugi […] in particolare eccepivano, con riferimento all’art. 534, capov., cod. civ., di aver acquistato in buona fede i beni in questione da chi appariva essere legatario.

[…]

Motivi della decisione – Premesso che i due ricorsi, proposti avverso la medesima sentenza, devono essere riuniti, va chiarito che dal punto di vista logico e giuridico la questione fondamentale e preliminare da affrontare e risolvere è quella relativa all’azione fatta valere nel presente giudizio dall’attrice originaria […], questione dalla cui soluzione dipende quella di tutte le altre questioni dibattute tra le parti: essa costituisce oggetto specifico del secondo motivo del ricorso […].
La questione medesima è stata affrontata e risolta dai giudici del merito e, tanto il primo quanto il secondo giudice, hanno ritenuto essersi in presenza non di una petitio hereditaris sibbene di una rivendica.
Tale qualificazione giuridica appare esatta. Ben vero deve ricordarsi essere stato accertato in via di fatto: a) che i beni di cui oggi si discute erano pacificamente di proprietà di […]; b) che quest’ultimo deceduto aveva lasciato la nuda proprietà dei suoi beni a cinque eredi in parti uguali e l’usufrutto generale con diritto di accrescimento a due nipoti ([…] e […]), disponendo di numerosi legati, di cui uno a favore di […] (dante causa a titolo universale dell’attuale resistente […]) ed un altro a favore di […]; c) che sulla identificazione dei beni legati era sorta discussione, sostenendo la […] che alcuni dei beni che sarebbero rientrati nel legato disposto a favore del suo dante causa […] erano invece illegittimamente posseduti dall’altro legatario […]; d) che alcuni di quei beni medesimi erano stati venduti da […] ai coniugi […].
Sulla base di questi fatti, i giudici del merito hanno ritenuto che nella specie non fosse in discussione né la qualità di erede né quella di legatario, ma si trattasse solo della rivendita di alcuni beni determinati da parte di un legatario a carico e contro l’altro legatario ed i suoi aventi causa a titolo particolare.
Ed invero basta appena accennare che la petitio hereditaris, cui fanno cenno i ricorrenti, è diretta a conseguire non il riconoscimento di un singolo diritto su una cosa determinata, ma il riconoscimento dell’universum ius defuncti nell’erede, cioè la qualità ereditaria, universum ius nel quale è compreso il diritto anche su una o più cose. Laddove la rei vindicatio è diretta ad ottenere il riconoscimento del diritto di proprietà su cose determinate.
Nella specie, come hanno chiarito i giudici di merito, non si è mai discusso dell’universum ius e della qualifica ereditaria, ma a ben vedere non si è mai discusso nemmeno, ed anche questo hanno chiarito i giudici di merito, sulla qualità di legatario del dante causa della attuale resistente: come accertato in fatto la originaria attrice si limitava a chiedere il riconoscimento della sua proprietà sui bene determinati che essa assumeva rientrare nel legato attribuito al suo autore ed assumeva essere posseduti illegittimamente dall’[…] e dai suoi aventi causa.
Una siffatta azione non può che essere giuridicamente definita azione di rivendica di beni determinati, nella quale non viene in discussione in alcun modo la qualifica astratta e generale di erede e di legatario in un determinato soggetto.
Ciò posto, da questa definizione discende, come dianzi accennato, la risoluzione delle altre questioni sollevate dai ricorrenti.
Ed in primo luogo quella relativa alle trascrizioni, che è trattata dai ricorrenti sotto diversi angoli visuali.
Occorre anche qui premettere alcuni dati di fatto pacifici e cioè: a) che il testamento di […], costituente il titolo di acquisto dei legati e di […] e di […], fu trascritto nel 1932; b) che l’atto di acquisto, da parte dei coniugi […], dei beni loro alienati da […] ed oggi rivendicati dalla […], venne trascritto nel 1951; c) che successivamente, e cioè nel 1953, venne trascritta anche la presente domanda di rivendica dalla […], avente causa di […].
Secondo i ricorrenti (secondo motivo del ricorso […] e cenno nel primo motivo del ricorso […]), nella suddetta situazione avrebbe dovuto trovare applicazione la disposizione del 3° comma dell’art. 534 cod. civ.
E’ noto che siffatta disposizione, facendo eccezione al principio generale per cui l’erede può agire anche contro gli aventi causa da chi possiede a titolo di erede o senza titolo, fa salvo il caso dei diritti acquistati, per effetto di convenzione a titolo oneroso con l’erede apparente, dai terzi i quali provino di avere contrattato in buona fede e sempre che, trattandosi di beni immobili, l’acquisto a titolo di erede e l’acquisto dall’erede apparente siano trascritti anteriormente all’acquisto da parte dell’erede o del legatario vero o alla trascrizione della domanda giudiziale contro l’erede apparente.
Questa questione fu già dibattuta in primo grado e fu risolta da quel giudice sotto il profilo dell’inapplicabilità della norma citata, sia perché essa non si riferisce all’acquisto da parte del legatario apparente, sia perché comunque, come si è detto, non era in discussione la qualifica di legatario e si trattava solo di rivendica di beni determinati.
La medesima questione fu riproposta in appello dagli […] attraverso il loro appello incidentale: la sentenza impugnata, sinteticamente e richiamandosi alla diffusa motivazione della decisione di prime cure, ritenne parimenti che non trovava applicazione la disposizione dell’art. 534, non trattandosi di acquisto da erede apparente.
Ad avviso di questo Supremo collegio la invocata disposizione non è affatto richiamabile nella specie.
La norma dell’art. 534 si inquadra nella disciplina della petitio hereditatis e tende a limitarne la portata e gli effetti per la tutela dell’erede apparente e di coloro che hanno acquistato i diritti in buona fede da questi. La figura giuridica dell’erede apparente è classica e precisa e trae la sua origine dal possessor pro haerede del diritto romano ed è considerata dall’art. 534 appunto a tutela dell’affidamento del terzo che in buona fede stipula con l’erede apparente cioè con colui che possiede i beni ereditari come erede o come tale si comporta e appare verosimilmente ai terzi.
Per questa ragione il legislatore riconosce ed applica particolarmente a questo caso il principio dell’apparenza del diritto, che la legge ammette solo in casi eccezionali. Di guisa che la figura dell’erede apparente, l’applicabilità del principio dell’apparenza e, conseguentemente, la disposizione dell’art. 534 non possono estendersi oltre i casi espressamente previsti e tali sono, come si è detto, quelli della petitio hereditatis, il cui concetto si è innanzi chiarito, e della figura dell’erede che possiede e si comporta come erede, cioè come successore a titolo universale.
Se ciò è, è a ritenersi che l’art. 534 non può applicarsi all’acquisto dal legatario apparente (il che pure è stato ritenuto da una corrente dottrinale).
Ciò per vari ordini di ragioni.
In primo luogo, perché a proposito del legato che è acquisto a titolo particolare non può parlarsi di sussistenza di una azione che si avvicini e si assomigli alla petizione di eredità, la quale può essere concepita esclusivamente in relazione all’acquisto a titolo universale e tende appunto, come si è accennato, ad ottenere nell’erede il riconoscimento di quella qualifica di successore universale, il legato è invece sempre e soltanto acquisito a titolo particolare e, quando anche si contesti nel soggetto la qualifica del legatario, ciò non può che significare altro che la contestazione, come in qualsiasi altro acquisto a titolo particolare, del titolo di acquisto.
In secondo luogo perché, se il riconoscimento del principio della apparenza deve mantenersi nei limiti di legge, da essi si fuoriuscirebbe estendendolo dal campo dell’eredità, per cui è espressamente previsto, a quello diverso del legato e, d’altra parte, verrebbe meno, a proposito del legato, la ratio di quel riconoscimento e cioè l’affidamento che nel terzo dà la qualità anche apparente del successore a titolo universale.
Infine perché la norma parla solamente ed esclusivamente di erede apparente e di acquisto dall’erede e alcun accenno fa all’acquisto dal legatario, come invece fa espressamente in altra norma, sulla quale si avrà occasione di fermarsi in seguito, cioè quella di cui all’art. 2657, n. 7, cod.civ.
Vero è che la norma dell’art. 534, 3° comma, parla di <<acquisto da parte dell’erede o del legatario vero>>, ma ciò non significa per contrapposto riconoscimento della figura del legatario apparente, anzi non significa neanche che il legatario vero possa agire in petitio hereditatis, sibbene, come è stato notato, significa soltanto la previsione del caso che, se il legatario non è in possesso della cosa legatagli, deve l’erede, che è tenuto a fornire al legatario il possesso della cosa, sperimentare la petizione dell’eredità contro chi possiede la cosa legata ed anche contro gli aventi causa dell’erede apparente; a questo caso si applica anche la norma dell’art. 534 e perciò si parla, nel gioco delle trascrizioni, di acquisto della cosa legata non posseduta e richiesta dall’erede in petizione da parte del legatario vero.

Se questa è l’interpretazione da dare all’art. 534 e se questi sono i limiti della sua applicazione, è agevole arguire essere esatta la decisione dei giudici del merito, secondo cui la detta norma mai sarebbe applicabile nella specie, nella quale, per le ragioni dinanzi esposte, non viene in considerazione una petitio hereditatis e quindi la figura dell’erede apparente e nella quale nemmeno, come pure precisato, si discute della qualità di legatario di un determinato soggetto.
Ma qui, sempre a proposito della trascrizione, sorge un’altra questione appena accennata nell’appello incidentale degli […] e trattata in subordine nel secondo motivo del loro ricorso, quella dell’applicabilità o meno alla specie della disposizione dell’art. 2652, n. 7, cod.civ., questione di diritto che si fonda sugli accertamenti di fatto già compiuti e la cui soluzione conferma l’esattezza giuridica della decisione dei giudici del merito relativa alla reiezione da tutte le domande degli […] sulla rilevanza assunta dalla anteriorità della trascrizione del loro acquisto su quella della domanda della […]: la disamina e le precisazioni che seguono rientrano quindi nell’ambito del capoverso dell’art. 384 cod. proc. civ.
È noto che l’art. 2652, n. 7, riguarda la trascrizione delle <<domande con le quali si contesta il fondamento di un acquisto a causa di morte>>, aggiungendo che <<salvo quanto è disposto dal 2° e 3° comma dell’art. 534, se la trascrizione della domanda è eseguita dopo cinque anni dalla data di trascrizione dell’acquisto, la sentenza che accoglie la domanda non pregiudica i terzi di buona fede che, in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda, hanno a qualunque titolo acquistato diritti da chi appare erede o legatario>>.
L’ambito di applicazione di questa norma ed il suo coordinamento con l’art. 534, certamente più favorevole al terzo di buona fede, sono stati discussi in dottrina e c’è stato chi ha ritenuto che anche l’azione di cui parla l’art. 2652, n. 7, non sarebbe altro che la petizione di eredità e che la sussistenza delle due norme sarebbe dovuta solo ad imperfetto coordinamento tra i due libri del codice civile, laddove l’unica differenza tra le due disposizioni sarebbe data da ciò che, mentre la disposizione più favorevole dell’art. 534 si applicherebbe agli acquisti a titolo oneroso, quella dell’art. 2652 n. 7 si applicherebbe agli acquisti a titolo gratuito.
Opinione che non può essere seguita, sia perché essa, e lo ammettono i suoi fautori, postula l’estensione dell’art. 534 anche al legato ed all’acquisto dal legatario apparente, il che si è dimostrato dianzi essere inconcepibile, sia perché la salvezza contenuta nella norma dell’art. 2652, n. 7, rispetto all’art. 534 è chiara ed esplicita e non può essere obliterata sulla base di un non dimostrato difetto di coordinamento.
Il vero e che, mentre l’art. 534 si riferisce, con la disposizione più favorevole improntata ai criteri che sono stati dianzi chiariti, esclusivamente alla petizione di eredità ed all’acquisto a titolo oneroso da chi è da considerarsi erede apparente, cioè da chi possiede o si comporta come erede o successore a titolo universale, l’art. 2652, n. 7, si applica a tutti gli altri casi in cui si contesta il fondamento di un acquisto a causa di morte: il che significa che esso si applica all’acquisto dell’erede in tutti i casi in cui non si rientra nella petitio hereditatis e nell’acquisto a titolo gratuito dall’erede apparente e si applica anche a tutti gli acquisti dal legatario. E qui si nota la differenza tra acquisto dall’erede apparente ed acquisto dal legatario apparente, a proposito del quale ultimo caso mai si verte in tema di petizione e mai, mancando la particolare ratio della successione a titolo universale, può parlarsi di applicazione dell’art. 534. Il che vuol dire come la disposizione in esame sulla trascrizione non si riferisca ad una particolare e nominata azione (esistente solo per l’eredità) con cui si contesti la qualità di erede, ma a tutte le altre azioni a base dell’esperimento delle quali sia posta la contestazione del fondamento dell’acquisto a causa di morte a titolo universale o particolare.
Sempre che, si intende, si contesti quel fondamento, si contesti cioè il titolo da cui sorga l’acquisto, si discuta sulla validità o sulla efficacia di una determinata disposizione testamentaria.
Tale limitazione di carattere sostanziale risulta non solo dalla espressa disposizione della legge, molto chiara e significativa (<<contestazione del fondamento dell’acquisto>>), ma anche della ratio e dal collocamento della norma, dopo quella (art. 2652, n. 6) riguardante, con condizioni ed effetti simili, il fondamento degli acquisti inter vivos, cioè la nullità o l’annullamento di atti soggetti a trascrizione.
Parimenti il n. 7 dello stesso articolo con norma parallela riguarda i casi in cui si chieda o comunque, anche in via preliminare rispetto ad altra domanda (come quella di restituzione di determinati beni), si deduca al di fuori ed oltre la petitio hereditatis la nullità o l’annullamento di una clausola testamentaria da cui dipende l’acquisto determinato mortis causa.
Ne consegue che la disposizione in esame non può trovare applicazione allorché non si contesti affatto il fondamento dell’acquisto a causa di morte ed in particolare, come nel caso di specie, non si contesti affatto la qualità di legatario in un determinato soggetto, ma si tratti esclusivamente della rivendica di un bene determinato posseduto da altri, sotto il profilo addirittura che quel bene rientrava nel legato, non contestandosi, ma anzi richiamandosi la validità dell’acquisto a causa di morte.

Si è già detto che in tal caso si è in presenza di una normale rivendica fondata su un titolo ed a nulla rileva che quel titolo, non contestato, anzi presupposto valido, sia dato da una disposizione a titolo di legato.
Stabilire se un bene rientra in un legato non significa certo contestare il fondamento dell’acquisto a causa di morte, contestazione indispensabile per l’applicazione della norma al terzo di buona fede di cui all’art. 2652, n. 7, cod.civ.
Pertanto, al caso di specie non può che applicarsi la disposizione generale sulla trascrizione delle domande di rivendica di beni immobili e ciò hanno rilevato gli stessi ricorrenti i quali (e precisamente gli […] nel primo motivo del loro ricorso e […] nella seconda parte del suo primo motivo) parlano anche di violazione del principio generale sul <<conflitto delle trascrizioni>>; con il che evidentemente vogliono riferirsi all’art. 2653, n. 1, cod.civ.
Ma al riguardo è facile dimostrare l’infondatezza di tale richiamo, rifacendosi alla interpretazione costante, e in dottrina e in giurisprudenza, di quella disposizione, la quale si deve mettere in correlazione con il principio della successione di soggetti nel processo di cui all’art. 111 cod. proc. civ.; vale a dire che l’effetto particolare della trascrizione della domanda è strettamente in correlazione con il principio dell’attore, onde, con il dare pubblicità alla pretesa del rivendicante, si mira non a risolvere un conflitto sostanziale tra più acquirenti, ma ad impedire che il rivendicante possa essere pregiudicato nel suo diritto se riconosciuto, ove, dopo la domanda giudiziale, l’immobile sia ad altri rivenduto.
Perciò le trascrizioni previste in genere dagli art. 2652 e 2653 non si inquadrano nel principio della efficacia riguardo al conflitto tra più acquirenti, ma hanno gli effetti caso per caso stabiliti dalla legge: per la trascrizione della domanda di rivendica, l’effetto è quello suddetto, in collegamento con la disposizione dell’art. 111 cod. proc. civ.
Di qui, il principio che la trascrizione della domanda è necessaria nei riguardi dei terzi, laddove, nei riguardi del convenuto in rivendicazione, l’effetto della domanda si opera in dipendenza della semplice proposizione della stessa (v. tra le altre, sent. n. 145 del 1952, Foro It., Rep. 1952, voce Trascrizione, nn. 14, 15). E certamente gli […], riguardo ai beni dagli stessi acquistati anteriormente alla domanda, sono stati, direttamente ed ab origine, convenuti in rivendicazione dalla […].
In conclusione, sia pure per le suddette più precise ragioni, la decisione dei giudici di merito, secondo cui, come accennato, niuna influenza deve avere nella specie il fatto che l’acquisto degli […] fu trascritto anteriormente alla trascrizione della domanda dell’[…], è giuridicamente esatta e, conseguentemente, i primi due motivi del ricorso […] e la seconda parte del primo motivo del ricorso […] devono essere disattesi.

[…]