[…]
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto tempestivamente depositato e notificato […] appellava la sentenza n. 18745 del 2004 con cui il Giudice del lavoro del Tribunale di Roma aveva respinto la sua domanda proposta nei confronti dell’INAIL e del datore di lavoro ([…] s.n.c.) ai fini della condanna al pagamento delle indennità conseguenti all’infortunio del […].
In particolare l’appellante affermava l’erroneità della sentenza di primo grado per ultrapetizione in quanto l’INAIL si era limitato in sede di costituzione a dedurre non raggiunta la prova in ordine alla subordinazione mentre il giudice aveva argomentato il rigetto sulla mancanza di nesso causale tra l’infortunio e l’attività di lavoro;
sosteneva inoltre l’erroneità della ricostruzione dei fatti e della valutazione degli stessi operata dal Tribunale.
L’INAIL si costituiva chiedendo il rigetto del ricorso mentre la […]s.n.c. restava contumace.
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza depositata il 25-11-2010, respingeva l’appello e compensava le spese.
In sintesi, premesso che era onere dell’infortunato provare la sussistenza dei presupposti del diritto azionato e considerato che l’INAIL, costituendosi in primo grado, aveva affermato che la asserita inesistenza di un rapporto di lavoro rendeva “superflua ogni ulteriore indagine”, la Corte territoriale rilevava che “sostenere che un’indagine sugli altri elementi della fattispecie sia superflua per mancanza di un presupposto non vuoi dire ammettere implicitamente che detti elementi sussistano”.
La Corte, poi, in base alle risultanze della prova testimoniale accertava che l’infortunio (incidente stradale avvenuto il 10-7- 1998 mentre la […] era alla guida di un ciclomotore) non era ricollegabile ad una occasione di lavoro e che neppure era emersa la necessità dell’uso del ciclomotore.
Per la cassazione di tale sentenza la […] ha proposto ricorso con due motivi.
L’INAIL ha resistito con controricorso.
La […] è rimasta intimata. La […] ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c. e, da ultimo, anche brevi osservazioni scritte ex art. 379 c.p.c., u.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, denunciando violazione del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 2 e vizio di motivazione, la ricorrente censura l’impugnata sentenza nella parte in cui ha ritenuto che l’infortunio de quo non sarebbe ricollegabile ad una “occasione di lavoro” ed in particolare, premesso che tale concetto è “ben più ampio e comprensivo che non quello di causalità”, rileva che nella specie era risultato che l’incarico di “andare a prendere i bicchieri di carta”, necessari per il bar, era “stato comunque dato alla ricorrente, lavoratrice con mansioni di banchista”, e che l’infortunio si era verificato nell’espletamento di tale incarico. Con il secondo motivo, denunciando violazione dell’art 112 c.p.c. e vizio di motivazione, la ricorrente lamenta che la Corte di merito sarebbe incorsa in ultrapetizione, nel rilevare d’ufficio la sussistenza di un rischio elettivo, che non era stato dedotto dall’INAIL il quale si era limitato ad eccepire la mancanza di prova del “requisito della subordinazione in relazione al rapporto intercorrente tra infortunata e la società convenuta”, nonché la “mancanza dei requisiti soggettivi richiesti dal T.U. n. 1124 del 1965, artt. 1 e 3, per il riconoscimento dell’infortunio sul lavoro”. La ricorrente si duole, inoltre, della mancata considerazione della circostanza che la sussistenza della subordinazione era stata anche accertata dalla sentenza del Tribunale di Roma n. 27358/2003.
Entrambi i motivi, connessi fra loro, non meritano accoglimento.
In materia di infortuni sul lavoro – con riferimento alla normativa anteriore al D.Lgs. n. 38 del 2000 – questa Corte ha ripetutamente affermato che l’occasione di lavoro di cui al D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1224, art. 2, ricomprende tutte le condizioni, incluse quelle ambientali e socio – economiche in cui l’attività lavorativa si svolge e nelle quali è insito un rischio di danno per il lavoratore, indipendentemente dal fatto che tale danno provenga dall’apparato produttivo o dipenda da terzi o da fatti e situazioni proprie del lavoratore, con il solo limite, in questo caso, del cosiddetto rischio elettivo” (v. Cass. 5-1-2015 n. 6, Cass. 23-7-2012 n. 12779, Cass. 27-2-2002 n. 2942, Cass. 27-11-1999 n. 13296). Al riguardo, peraltro, è stato più volte precisato che “quando l’infortunio si verifica al di fuori, dal punto di vista spazio- temporale, della materiale attività lavorativa e delle vere e proprie prestazioni di lavoro (e cioè anteriormente o successivamente a queste, ovvero durante una pausa), la ravvisabilità della occasione di lavoro, ai sensi dell’art. 2 del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, è rigorosamente condizionata all’esistenza di circostanze – la cui prova, a norma dell’art. 2697 c.c., incombe sull’assicurato che agisce in sede giudiziaria per ottenere la prestazione previdenziale – che non ne facciano venir meno la riconducibilità eziologica al lavoro e lo facciano invece rientrare nell’ambito dell’attività lavorativa o di tutto ciò che ad essa è connesso in virtù di un collegamento non del tutto marginale; in particolare, l’attività non intrinsecamente lavorativa, e non coincidente per modalità di tempo o di luogo, con le prestazioni dovute, deve essere richiesta “ex necessitate” o dalle modalità di esecuzione imposte dal datore di lavoro, o da circostanze di tempo e di luogo che prescindono dalla volontà di scelta del lavoratore” (v. Cass. 30-5-1995 n. 6088, Cass. 7-12-1996 n. 10910, Cass. 4-2-1998 n. 1143, Cass. 6-6-1998 n. 5598). In specie, poi, è stato chiarito che, con riguardo all’infortunio in itinere (rispetto al quale la nozione di rischio elettivo assume una connotazione “più ampia” – v. Cass. 10-9-2009 n. 19496, Cass. 18/3/2013 n. 6725, Cass. 3-8-2005 n. 16282), la occasione di lavoro
non può essere ravvisata “ove l’uso del veicolo privato non rappresenti una necessità, in assenza di soluzioni alternative, ma una libera scelta del lavoratore, tenuto conto che il mezzo di trasporto pubblico costituisce lo strumento normale per la mobilità delle persone e comporta il grado minimo di esposizione al rischio della strada” (v. Cass. 3-11-2011 n. 22759, cfr. Cass. 23-5-2008 n. 13376, Cass. 6-10-2004 n. 19940, nonché Cass. 6-7-2007 n. 15266, che, tra l’altro, ha evidenziato come tali criteri, costituenti diritto vivente sull’interpretazione del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 2 – che va applicato nella fattispecie ratione temporis – sono stati, poi, recepiti dal D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 12). Alla luce di tali principi deve, quindi, ritenersi che i detti requisiti di indennizzabilità dell’infortunio costituiscano condizioni dell’azione esperita dal lavoratore danneggiato, di guisa che i giudici di merito, nel relativo accertamento, non sono incorsi in alcuna ultrapetizione, anche nel rilevare il rischio elettivo. Peraltro, come pure è stato precisato, la valutazione in ordine alla sussistenza del rischio elettivo è riservata al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità ove logicamente e sufficientemente motivata (v. Cass. 2-2-2011 n. 2451). Orbene, nella fattispecie, la Corte di merito ha accertato che la tesi attorea, secondo cui, l’infortunio sarebbe ricollegabile ad una occasione di lavoro, essendo avvenuto in esecuzione di un ordine del datore di lavoro, non è risultata provata, in quanto, “in realtà la deposizione del teste […] (secondo cui era stato quest’ultimo a dare incarico alla […] di andare a prendere i bicchieri di carta) contrasta su quanto dichiarato e sottoscritto in sede di accertamento ispettivo Inail laddove aveva affermato che fu il titolare dell’azienda a dare detto ordine” e “in secondo luogo non sussistendo rapporto gerarchico tra il […] (barman) e la […] (cassiera) non può parlarsi comunque di disposizione datoriale”.
La Corte territoriale ha poi, rilevato che “le prove testimoniali nulla hanno appurato riguardo al fatto che il ciclomotore (notoriamente più pericoloso dei mezzi pubblici) fosse l’unico mezzo che l’appellante potesse utilizzare o che ci fosse un’urgenza tale di bicchieri e piatti di plastica da esigere l’utilizzo stesso”, aspetto, questo, neppure dedotto in primo grado ne’ risultante da alcuna documentazione, laddove anzi “come emerge sempre dalla dichiarazione della […] in sede di accertamento ispettivo, la distanza tra i due luoghi era di soli 500 mt, distanza comunque percorribile a piedi in breve tempo”.
Tale accertamento di fatto risulta conforme ai principi sopra ribaditi ed altresì sorretto da congrua motivazione, e tanto basta per respingere il ricorso, risultando superfluo ogni altro rilievo. Infine sulle spese non si provvede, ratione temporis, in base al testo originario dell’art. 152 disp. att. c.p.c., vigente anteriormente al D.L. n. 269 del 2003, conv. in L. n. 326 del 2003, essendo il ricorso di primo grado anteriore all’entrata in vigore del citato D.L. (v. Cass. 30-3-2004 n. 6324, Cass. 12-12-2005 n. 27323).
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