[…]
RITENUTO IN FATTO
- Con sentenza emessa in data 29 maggio 2015, la Corte di appello di
Palermo ha confermato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Termini Imerese
che aveva dichiarato la penale responsabilità di […] per il reato di violazioni edilizie di cui all’art. 44, comma 1, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001, accertato in data 11 febbraio 2014, e li ha condannati alla pena di tre mesi di arresto e 12.000,00 euro di ammenda, con concessione della sospensione condizionale subordinata alla demolizione delle opere abusive.
Secondo i giudici di merito, gli imputati, in concorso tra loro, e in assenza di
permesso di costruire, avevano realizzato: a) una piscina interrata scoperta con
scala di accesso, per una superficie di 45,25 metri quadrati, e per una profondità
di 1,55 metri; b) muri perimetrali di recinzione in parte in cemento armato e in
parte in legno, con inferriata metallica, per una lunghezza complessiva pari a
113,59 metri; c) un piazzale esterno in battuto di cemento a stampo e spazi
ricavati per le aiuole. - Hanno presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte
di appello indicata in epigrafe entrambi gli imputati, mediante un unico atto, […],
articolando nove motivi.
2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli
artt. 129 e 531 cod. proc. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod.
proc. pen., avendo riguardo alla mancata declaratoria di prescrizione.
Si deduce che erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto ancora in
corso l’attività di realizzazione dei muri perimetrali nel febbraio 2014, quando, in
realtà, l’aerofotogrammetria del 18 luglio 2004 evidenziava già l’esistenza di
muri perimetrali, anche se non era possibile distinguere esattamente di quali
parti si trattasse.
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento
all’art. 3, comma 2, legge Regione Sicilia n. 16 del 2016 ed all’art. 2, quarto
comma, cod. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1,
lett. b) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla configurabilità del reato di cui
all’art. 44, comma 1, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001 in riferimento ai muri
perimetrali.
Si contesta che l’art. 3 della legge Regione Sicilia n. 16 del 2016 consente
l’esecuzione senza titolo abilitativo di costruzioni di recinzioni, e che la stessa
sentenza, dopo aver ammesso la legittimità della realizzazione senza
autorizzazione di muri di recinzione fino all’altezza di 1,70 metri, ritiene poi il
reato a fronte di un muro di recinzione le cui altezze sono comprese tra 0,99 e
1,84 centimetri, senza specificare quali parti di muro superano l’altezza di 1,70
metri, nonostante questi potrebbero essere proprio quelli esistenti nel 2004 e
rilevati nell’aerofotogrammetria. Si aggiunge che, come confermato dal
responsabile dell’ufficio tecnico del Comune interessato, l’ente locale aveva
sempre consentito la realizzazione di tutti i muri di recinzione,
indipendentemente dall’altezza, sulla base di una sola autorizzazione.
2.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento
all’art. 3, comma 2, legge Regione Sicilia n. 16 del 2016 ed all’art. 2, quarto
comma, cod. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1,
lett. b) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla configurabilità del reato di cui
all’art. 44, comma 1, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001 in riferimento al battuto in
cemento.
Si rileva che l’art. 3 della legge Regione Sicilia n. 16 del 2016 consente
l’esecuzione senza titolo abilitativo di opere di pavimentazione e finitura di spazi
esterni, e che la sentenza nulla dice in proposito alla violazione determinata dalla
realizzazione della pavimentazione, salvo ad affermare che la stessa sussiste.
2.4. Con il quarto motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento
all’art. 3, comma 2, legge Regione Sicilia n. 16 del 2016 ed all’art. 2, quarto
comma, cod. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen.,
avendo riguardo alla configurabilità del reato di cui all’art. 44, comma 1, lett. b),
d.P.R. n. 380 del 2001 in riferimento alla piscina.
Si osserva che l’art. 3 della legge Regione Sicilia n. 16 del 2016 consente
l’esecuzione senza titolo abilitativo di vasche di raccolta delle acque e di bacini, e
che è apodittica l’affermazione della sentenza secondo cui la piscina non può
essere qualificata come vasca interrata.
2.5. Con il quinto motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento alle
leggi n. 47 del 1985, n. 724 del 1994 e n. 326 del 2003, e all’art. 9 d.P.R. n. 380
del 2001, nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b)
ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla configurabilità del reato di cui all’art.
44, comma 1, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001 in riferimento alla condonabilità
delle opere in contestazione.
Si assume che erroneamente la sentenza impugnata ritiene che le opere in
contestazione possano essere condonate solo a condizione che vengano
rispettate le prescrizioni della Sovrintendenza e del Genio Civile, così come
indicato nella nota del Comune del 10 febbraio 2017, in quanto in primo grado è
stato irrevocabilmente esclusa la configurabilità dei reati previsti a tutela delle
bellezze naturali e del paesaggio ovvero contro i rischi di eventi sismici. Si
rappresenta che se la configurabilità dei reati previsti a tutela delle bellezze
naturali e del paesaggio ovvero contro i rischi di eventi sismici è stata esclusa
deve ritenersi esclusa anche la necessità delle autorizzazioni del Genio Civile e
della Sopraintendenza, che sono previste, rispettivamente, proprio per il caso di
zone sismiche e di vincoli paesaggistici.
2.6. Con il sesto motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli
artt. 163, 165 e 166 cod. pen., e all’art. 31, comma 9, d.P.R. n. 380 del 2001,
nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod.
proc. pen., avendo riguardo alla subordinazione della concessione della
sospensione condizionale alla demolizione delle opere abusive.
Si deduce che la sospensione condizionale non si applica alle sanzioni
amministrative, quale appunto l’ordine di demolizione, e che, quindi,
l’ottemperanza alle sanzioni amministrative non può trasformarsi in un obbligo di
fare la cui violazione determina il venir meno del beneficio. Si aggiunge che
l’obbligo di eliminare le conseguenze dannose o pericolose del reato previsto
dall’art. 165 cod. pen. non è in discussione, in quanto le opere in questione non
hanno prodotto danno alla collettività, né possono integrarlo, non essendo
necessaria l’autorizzazione del Genio Civile, o della Sopraintendenza, per
l’assenza di rischio sismico e di vincoli paesaggistici.
2.7. Con il settimo motivo, si denuncia violazione del potere dell’autorità
amministrativa da parte dell’autorità giudiziaria, a norma dell’art. 606, comma 1,
lett. a), cod. proc. pen., avendo riguardo ancora alla subordinazione della
concessione della sospensione condizionale alla demolizione delle opere abusive.
Si contesta che l’ordine di demolizione non può essere disposto due volte,
una volta come obbligo di fare per ottenere la sospensione condizionale e la
seconda volta come sanzione amministrativa accessoria. Si aggiunge che l’ordine
di demolizione impartito dal Comune è stato sospeso dal T.A.R. in attesa delle
definizione della pratica di condono edilizio relativa al fabbricato principale, e che
la decisione del giudice penale, quindi, contravviene quella del T.A.R.
2.8. Con l’ottavo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli
artt. 178, comma 1, lett. c), 179 e 180 cod. proc. pen., nonché vizio di
motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen.,
avendo riguardo alla conoscenza del decreto di citazione da parte dell’imputata
[…]. Si rileva che la dichiarazione di assenza di […] deve ritenersi
nulla per violazione del principio fissato dall’art. 6, par. 3, CEDU, in quanto non
vi sono elementi per poter ritenere che l’imputata abbia avuto effettiva
conoscenza della citazione a giudizio, essendo stata la notificazione dell’atto
effettata nelle mani di altra persona.
2.9. Con il nono motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento
all’art. 44, comma 1, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001, a norma dell’art. 606,
comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avendo riguardo alla configurabilità del reato
ritenuto in sentenza.
Si deduce che le opere in contestazione o sono realizzabili senza titolo
abilitativo, come la pavimentazione in battuto cementizio ed i muri alti fino a
1,70 metri, o sono realizzabili sulla base di semplice S.C.I.A., come la piscina, la
quale non esprime una volumetria superiore al 20 % dell’edificio, o come i muri
perimetrali più alti di 1,70 metri. Si aggiunge che tutte le opere in questione
hanno natura pertinenziale, sono state realizzate in zona cd. “bianca”, cioè priva
di destinazione urbanistica, a seguito della decadenza dei vincoli preordinati
all’esproprio, ed attengono ad un fabbricato principale per la cui condonabilità,
da un lato, l’ufficio tecnico del Comune competente ha già rilasciato parere
favorevole con nota del 10 febbraio 2017, e, dall’altro, non deve ritenersi
necessaria alcuna autorizzazione del Genio Civile o della Sopraintendenza. Si
segnala, ancora, che i muri perimetrali di altezza superiore a 1,70 metri erano
quelli preesistenti, e documentati dall’aerofotogrammetria del 18 luglio 2004,
che le piscine di modeste dimensioni asservite ad edifici a destinazione
residenziale sono ritenute nella giurisprudenza amministrativa delle pertinenze,
anche se insistano su area agricola, e che l’art. 3, comma 1, lett. e), d.P.R. n.
380 del 2001 definisce come interventi di nuova costruzione per i quali è
necessario il permesso di costruire solo le pertinenze realizzate in zone di
particolare pregio paesaggistico o implicanti un volume superiore del 20 ° al
volume dell’edificio principale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
- Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito precisate
- Manifestamente infondate sono le censure proposte nel secondo, nel
terzo, nel quarto e in parte del nono motivo, tra loro strettamente connesse e da
esaminare congiuntamente, le quali contestano la configurabilità del reato di cui
all’art. 44, comma 1, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001, deducendo che le opere in
questione potevano essere eseguite senza il preventivo rilascio di titolo
autorizzativo, e, in particolare, che la piscina doveva essere qualificata come
vasca interrata o, comunque, come pertinenza, e che la stessa, così come il
muro perimetrale per parte superiore a metri 1,70, potevano essere realizzati
sulla base di S.C.I.A.
2.1. Per una corretta valutazione delle censure occorre premettere quale
risulta essere lo stato degli orientamenti giurisprudenziali in materia.
Per quanto riguarda i muri perimetrali di recinzione, va rilevato,
innanzitutto, che, secondo quanto affermato da più decisioni, la realizzazione di
un’opera di tale tipologia necessita del previo rilascio del permesso a costruire
nel caso in cui, avuto riguardo alla sua struttura e all’estensione dell’area
relativa, lo stesso sia tale da modificare l’assetto urbanistico del territorio, così
rientrando nel novero degli “interventi di nuova costruzione” di cui all’art. 3, lett.
e), del d.P.R. n. 380 del 2001 (cfr., per tutte, Sez. 3, n. 52040 del 11/11/2014,
Langella, Rv. 261521-01, relativa a fattispecie concernente un muro in cemento
armato avente spessore di cm. 25 ed un’altezza di circa metri 1,80, nonché Sez.
3, n. 5755 del 13/12/2007, dep. 2008, Romano, Rv. 238788-01). E’ utile
aggiungere che si è anche precisato che, per la realizzazione di un muro di recinzione di un fondo agricolo che modifichi l’assetto urbanistico del
territorio per struttura ed estensione, occorre il permesso di costruire, senza che
la presenza all’interno del fondo di un edificio adibito ad abitazione possa far
ritenere il muro pertinenza dell’edificio (così Sez. 3, n. 41518 del 22/10/2010,
Bove, Rv. 248744-01).
Con riferimento alla piscina, poi, va segnalato che la giurisprudenza,
sebbene riconosca la possibile natura pertinenziale di tale opera quando la stessa abbia un volume non superiore al 20% di quello dell’edificio cui accede, richiede che tale manufatto sia preordinato ad un’oggettiva esigenza funzionale
dell’edificio principale, non abbia un autonomo valore di mercato, in modo da
non consentire, rispetto a quest’ultimo e alle sue caratteristiche, una
destinazione autonoma e diversa (così Sez. 3, n. 52835 del 14/07/2016, Fahrni,
Rv. 268552-01), non sia in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti (cfr.,
tra le tante, Sez. 3, n. 25669 del 30/05/2012, Zeno, Rv. 253064-01), ed inerisca
ad un edificio preesistente legittimamente edificato (cfr. Sez. 3, n. 37257 del
11/06/2008, Alexander, Rv. 241278-01).
Anche relativamente alla realizzazione di un pavimento in cemento nel
piazzale, è utile considerare che, in giurisprudenza, è consolidato un
orientamento rigoroso. Secondo una decisione, in particolare, integra il reato
previsto dall’art. 44, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001, la pavimentazione di una
vasta area con tappeto bituminoso in assenza di permesso di costruire, in quanto
tale attività edilizia rientra tra gli interventi di urbanizzazione secondaria ovvero
infrastrutturali considerati come di “nuova costruzione” dall’art. 3, comma 1,
lettere e.2) ed e.3), d.P.R. cit. (Sez. 3, n. 42896 del 24/10/2008, Carotenuto,
Rv. 241545-01). Altra pronuncia ha affermato che il regime dell’attività edilizia
libera, ovvero non soggetta ad alcun titolo abilitativo, di cui all’art. 6 del d.P.R.
n. 380 del 2001, non è applicabile agli interventi che, pur rientrando nelle
tipologie di tale disposizione, siano in contrasto con le prescrizioni degli
strumenti urbanistici, e che, quindi, è configurabile il reato di cui all’art. 44
d.P.R. cit. in ipotesi di realizzazione di piazzali da adibire a parcheggio in area
classificata come zona agricola (Sez. 3, n. 19316 del 27/04/2011, Ferraro, Rv.
250018-01).
Ancora, occorre evidenziare, in linea generale, che, secondo l’insegnamento
consolidato della giurisprudenza di legittimità, in tema di reati edilizi, la
valutazione dell’opera, ai fini della individuazione del regime abilitativo
applicabile, deve riguardare il risultato dell’attività edificatoria nella sua
unitarietà, senza che sia consentito considerare separatamente i singoli
componenti (cfr., per tutte, Sez. 3, n. 16622 del 08/04/2015, Casciato, Rv.
263473-01, nonché Sez. 3, n. 5618 del 17/11/2011, dep. 2012, Forte, Rv.
252125-01).
2.2. La sentenza impugnata ha ricostruito, anche sulla base delle
dichiarazioni del responsabile dell’ufficio tecnico del Comune competente, l’esatta dimensione delle opere in contestazione.
Si premette che le opere in questione accedono ad un fabbricato già
realizzato abusivamente e per il quale era stata avanzata istanza di condono. Si
rappresenta, poi, che la recinzione, in parte in cemento armato, presenta tratti di
altezza pari a 1,84 metri, mentre le legge Regione Sicilia n. 16 del 2016
consente di realizzare senza preventivo titolo abilitativo recinzioni di altezza non
superiore a 1,70 metri, e che la piscina non può essere qualificata come vasca
interrata o cisterna, strutture per le quali la medesima legge regionale prevede
l’edificabilità senza autorizzazione. Si conclude, quindi, che le opere realizzate
«presentano una importante consistenza» e che la astratta condonabilità del
fabbricato principale non esclude la illiceità dei lavori per i quali è stata
pronunciata condanna. Si aggiunge, per completezza, che il condono, secondo
quanto rappresentato dal responsabile dell’ufficio tecnico del Comune
competente, può essere concesso solo se vengono rispettate le prescrizioni della Sovrintendenza e del Genio Civile, non rilasciate.
La sentenza di primo grado, tra l’altro, segnala che: a) il muro perimetrale,
di altezza compresa tra 0,99 metri e 1,84 metri, è di una lunghezza complessiva
pari a 113,59 metri ed è inoltre sovrastato da una schermatura lignea avente a
sua volta un’altezza di 2,00 metri; b) la richiesta di condono dell’edificio
preesistente, costituito con due elevazioni fuori terra, non solo non è stata
accolta, ma, in radice, non può essere accolta, perché l’edificio è in contrasto con
la destinazione di zona prevista dal piano regolatore generale del Comune, in
quanto edificato in zona territoriale omogenea F3, relativa ad infrastrutture di
interesse pubblico ed escludente interventi di tipo residenziale; c) le diverse
opere, e precisamente la piscina, il muro perimetrale di recinzione e il pavimento
in cemento del piazzale debbono essere valutate unitariamente e non
singolarmente ai fini della qualificazione del tipo di intervento edilizio effettuato.
2.3. In considerazione dei principi giuridici applicabili e degli elementi di
fatto indicati dai giudici di merito, e sostanzialmente non contestati, le
conclusioni della sentenza impugnata risultano correttamente motivate.
In effetti, già le singole opere per le quali è intervenuta condanna, per come
descritte dai giudici di merito, hanno un rilievo significativo, tale da determinare
una trasformazione dell’assetto del territorio, come evidente, in particolare, per il
muro di recinzione. E’ poi legittima la decisione di procedere ad una valutazione
unitaria delle stesse, con definitivo giudizio di illiceità dei lavori nel loro
complesso, in quanto si tratta di interventi tutti relativi allo stesso immobile.
Infine, non può essere trascurato che dette opere ineriscono ad un edificio a due
elevazioni fuori terra non solo abusivamente realizzato, ma anche non
condonato. - Prive della specificità normativamente richiesta, o comunque
manifestamente infondate sono le censure esposte nel quinto e in parte del nono
motivo, riguardanti la condonabilità delle opere in contestazione.
Invero, non solo può rilevarsi che, ai fini dell’estinzione del reato di cui
all’art. 44, comma 1, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001, è necessario sia stato
effettivamente rilasciato il permesso in sanatoria, secondo quanto prevede l’art.
45 d.P.R. cit.
Deve aggiungersi, infatti, così come già segnalato in precedenza, che le
opere sono collegate ad un edificio non condonabile, perché realizzato in
contrasto con la destinazione di zona prevista dal piano regolatore generale del
Comune, che quanto meno il parere del Genio Civile è senz’altro necessario,
poiché il condono deve avere ad oggetto anche l’immobile principale, e che
meramente assertive sono le indicazioni del ricorrente, secondo cui la zona
interessata deve ritenersi “bianca”, ossia priva di destinazione urbanistica. - Manifestamente infondate sono le censure formulate nel primo motivo, e
riguardanti la mancata dichiarazione di prescrizione.
La sentenza impugnata ha richiamato le dichiarazioni testimoniali del
responsabile dell’ufficio tecnico del Comune competente, il quale ha detto che le
opere per cui è stata pronunciata condanna erano di recente realizzazione o
addirittura ancora in corso all’atto dei sopralluoghi, effettuati tra il febbraio ed il
marzo 2014. La sentenza di primo grado ha anche rappresentato che le riferite
dichiarazioni trovano riscontro nella documentazione fotografica in atti, ivi
compresa quella prodotta dalla difesa, da cui si evince che il colore del cemento
è «fresco», che, anzi, l’intera area, nelle immagini depositate dalla difesa, risulta
ancora sottoposta ai lavori, e che l’aerofotogrammetria del 2003 non consente di rilevare la presenza né della piscina, né dei muri di recinzione, né del piazzale
con pavimentazione in cemento.
Sulla base di questi elementi, con i quali il ricorrente non si è puntualmente
confrontato, limitandosi solo ad affermare che l’aerofotogrammetria
documenterebbe l’esistenza, nel 2004, di una parte del muro, risulta
sicuramente corretta la conclusione della sentenza impugnata secondo cui la
condotta di realizzazione delle opere per le quali è stata pronunciata condanna
era in corso alla data dei sopralluoghi.
Di conseguenza, la prescrizione non è maturata alla data della presente
sentenza, e, comunque, non era maturata alla data della sentenza di appello,
pronunciata in data 11 luglio 2018. - Manifestamente infondate sono anche le censure di cui al sesto ed al
settimo motivo, che attengono alla subordinazione della concessione della
sospensione condizionale alla demolizione delle opere abusive, deducendo che il
beneficio non è applicabile all’ordine di demolizione, che questo non può essere
emesso due volte, una dalla Pubblica Amministrazione, ed una dal giudice
penale, e che i manufatti in contestazione non hanno prodotto danno o pericolo
per la collettività.
Secondo la ormai consolidatissima giurisprudenza di legittimità, infatti, è
fuori discussione che il giudice possa subordinare la concessione della
sospensione condizionale della pena per i reati di cui all’art. 44 d.P.R. n. 380 del
2001 alla demolizione delle opere; l’unico profilo controverso attiene alla
necessità o meno di una specifica motivazione (cfr., per tutte, Sez. 3, n. 23189
del 29/03/2018, Ferrante, Rv. 272820-01, e Sez. 3, n. 51014 del 15/06/2018,
P., in attesa di amssimazione). E’ inoltre principio consolidato quello secondo cui
l’ordine giudiziale di demolizione ha natura di sanzione amministrativa
costituente espressione di un potere autonomo e non residuale o sostitutivo di
quello spettante all’autorità amministrativa, in quanto assolve ad una autonoma
funzione ripristinatoria del bene giuridico leso (cfr., ancora, Sez. 3, n. 23189 del
2018, cit., non massimata sul punto, nonché Sez. 3, n. 37120 del 11/05/2005,
Morelli, Rv. 232172-01).
La sentenza impugnata, poi, ha espressamente indicato le ragioni poste a
base della scelta di subordinare la concessione della sospensione condizionale
alla demolizione delle opere abusive. Ha infatti precisato che non solo non è
emerso alcun elemento favorevole all’imputato, ma che è evidente «la reiterata
azione di violazione di norme poste a tutela del territorio, considerato che non
solo le opere abusive, ma anche l’immobile principale, risultano essere state
realizzate in assenza di tutte le prescrizioni in materia». - Manifestamente infondate, ancora, sono le censure esposte nell’ottavo
motivo, aventi ad oggetto la validità della dichiarazione di assenza dell’imputata
[…], sul rilievo della effettuazione del decreto di citazione a giudizio
non a mani proprie, ma di altra persona.
La sentenza impugnata, come già quella di primo grado, dà atto che la
notificazione del decreto di citazione a giudizio alla ricorrente è stata effettuata
presso il domicilio dichiarato dalla stessa, e precisamente presso la sua
abitazione, a mani del […], indicato come capace e convivente nell’attestazione dell’ufficiale giudiziario.
La notificazione effettuata è del tutto conforme a quanto previsto dall’art.
157 cod. proc. pen. per la prima notificazione all’imputato non detenuto. Né,
nella specie, può sollevarsi seriamente questione di mancata conoscenza
dell’atto: l’imputata aveva dichiarato il domicilio in data precedente alla
notificazione, ed è stata assistita da un difensore di fiducia nel corso di tutto il
processo, sin dal giudizio primo grado. […]